La faccia feroce di Trump, ultimatum ai miliziani e minacce agli oppositori

Specialista degli ultimatum pronunciati e poi disattesi, Donald Trump ha detto che Hamas ha «tre o quattro giorni» per valutare la proposta del piano su Gaza presentato lunedì, spiegando che se non lo accetteranno «sarà una fine triste» e «sperimenteranno l’inferno». Cosa che del resto aveva già detto nel marzo scorso, e prima ancora a dicembre, con i risultati che sappiamo. Nel vertice di lunedì a Washington, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha formalmente accettato la strategia in 20 punti che prevede la fine delle ostilità, il rilascio degli ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi e la progressiva smilitarizzazione di Gaza, il cui controllo passerebbe inizialmente sotto un organo tecnico presieduto dalla Casa Bianca, ma martedì, dopo le proteste della parte più a destra della sua coalizione di governo, ha già modificato il perimetro dell’accordo. «Una cosa abbiamo detto chiaramente, che ci opponiamo con forza a uno Stato palestinese», ha detto Netanyahu, negando di avere concordato con Trump su questa prospettiva. Eppure, nel 19esimo punto del piano diffuso dalla Casa Bianca si fa esplicito riferimento a un «percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese». Si rincorrono, confondendosi, voci e fonti attribuite agli ambienti di Hamas che fanno trapelare aperture o nette chiusure all’offerta di Washington. Mustafa Barghouti, il segretario generale del partito Palestinian National Initiative, ha detto che «non c’è nulla che garantisca la pace» in questo piano, che è «totalmente dalla parte degli israeliani». Il piano di Trump per Gaza è fatto di incognite e malintesi (voluti) Il vertice militare Trump ha partecipato martedì anche all’irrituale adunata di vertici militari convocata dal segretario della Guerra, Pete Hegseth, che da giorni fa discutere. Alla base dei Marine di Quantico, in Virginia, il capo del Pentagono ha tracciato una linea di demarcazione netta. Davanti a centinaia di ufficiali e ammiragli statunitensi, e con il presidente in prima fila, ha annunciato la fine della «leadership politicamente corretta, ipersensibile e attenta a non ferire i sentimenti di nessuno» e ha rilanciato un nuovo ethos guerriero, da opporre al vecchio Pentagono woke. Il discorso, che ha assunto i toni di un manifesto per la nuova stagione delle forze armate, ha insistito su tre punti principali: il ritorno a standard estetici e fisici più rigidi, l’applicazione «spietata e imparziale» delle regole e il rifiuto di promozioni basate su criteri diversi da merito e prestazioni in guerra. «Basta con barbe, capelli lunghi e superficialità nell’espressione individuale», ha detto Hegseth, sottolineando che l’esercito non può trasformarsi in «un raduno di pagani nordici», e ci sarà forse rimasto male il direttore dell’Fbi, Kash Patel, che dopo l’assassinio del suo amico Charlie Kirk ha detto che spera di incontrarlo nel Valhalla, il paradiso della mitologia nordica. Da oggi, ha proseguito Hegseth, sarà obbligatorio radersi e presentarsi con un aspetto professionale, pena il trasferimento ad altri incarichi o l’uscita dalle forze armate. Il capo del Pentagono ha poi attaccato frontalmente l’immagine di ammiragli e generali «grassi» del dipartimento della Difesa, ribattezzato alla Guerra: «È del tutto inaccettabile che figure di comando si presentino in condizioni fisiche inadatte, è una brutta figura che non rispecchia ciò che siamo». La nuova bussola del dipartimento della Guerra è semplice: «Tratta la tua unità come faresti con quella di tuo figlio». Significa che un soldato americano non deve trovarsi in reparti in cui gli standard fisici sono stati abbassati per ragioni politiche, in cui si tollerano carenze di addestramento o in cui i leader sono scelti per criteri diversi dall’esperienza sul campo. Secondo Hegseth, il rispetto di queste regole è l’unico modo per garantire l’efficienza operativa delle truppe in uno scenario internazionale che resta ad alta intensità. Le evidenze si accumulano, non si può più ignorarlo: Donald Trump è un tiranno Quali invasioni Il presidente ha usato l’occasione per allargare il discorso al fronte interno. Rivolgendosi ai generali, ha definito la situazione ai confini e nelle città americane come una «guerra a tutti gli effetti», condotta contro migranti irregolari e criminalità organizzata. «L’America è sotto invasione dall’interno», ha detto. «Non è diversa da un nemico straniero, ma per molti versi è più difficile perché non indossano uniformi». Trump ha citato il dispiegamento della Guardia Nazionale in diverse aree metropolitane come prova della necessità di trattare la sicurezza interna con lo stesso linguaggio e la stessa struttura della difesa esterna. La giornata di Quantico ha rappresentato un cambio di paradigma nella politica militare americana. Dopo anni di attenzione alla diversità e all’inclusione, l’amministrazione Trump sceglie la strada opposta: uniformità estetica, disciplina fisica, centralità del merito bellico. Il messaggio rivolto alle forze armate è diretto: chi non si conforma agli standard, estetici o professionali, non avrà più spazio. Per Trump e Hegseth, la credibilità dell’America passa anche dall’immagine e dalla forma fisica dei suoi comandanti.