Donald Trump è sempre il centro sui cui convergono tutte le tempeste del mondo. Nel giro di ventiquattro ore, il presidente americano ha avuto un colloquio telefonico con Xi Jinping, ha lanciato nuove restrizioni ai viaggiatori provenienti da 19 paesi, ha incassato il presunto sostegno di Vladimir Putin sulla trattativa nucleare con l’Iran, ha alimentato una clamorosa escalation verbale con Elon Musk e, per non farsi mancare nulla, ha dato ordine di bloccare i visti per gli studenti internazionali ad Harvard.

«Pronto, Xi?»

Trump ha parlato al telefono con il leader cinese, circostanza che era stata anticipata da giorni da alcuni funzionari della Casa Bianca. Il colloquio, avvenuto su iniziativa americana, è stato confermato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua. Secondo fonti vicine all’amministrazione, i due leader rivali hanno discusso le crescenti tensioni sul fronte commerciale e tecnologico, con particolare riferimento al regime di sanzioni imposte dagli Stati Uniti su alcune aziende strategiche cinesi, e alla concorrenza sull’intelligenza artificiale.

Il tono della conversazione è stato diplomaticamente definito «costruttivo», ma il contesto rimane teso: Pechino non ha nascosto il malcontento per i nuovi dazi imposti da Washington, mentre Trump ha ribadito la sua intenzione di «difendere la sovranità tecnologica americana».

Ritorna il travel ban

Sul fronte interno, Trump ha firmato un nuovo ordine esecutivo che impedisce l’ingresso negli Stati Uniti a cittadini provenienti da dodici paesi. Si tratta in diversi casi di paesi a maggioranza musulmana, come Iran, Yemen, Somalia, Siria, Afghanistan e Libia – cosa che ha immediatamente evocato il controverso “muslim ban” introdotto da Trump nel suo primo mandato – ma ci sono anche altri paesi non di tradizione islamica, come Haiti e Myanmar.

Accanto alla lista dei paesi completamente interdetti ce ne sono altri sette che avranno restrizioni parziali: Burundi, Sierra Leone, Venezuela, Cuba, Togo, Laos e Turkmenistan. L’amministrazione ha giustificato la misura come una «necessaria protezione contro minacce alla sicurezza nazionale», e il presidente lo ha approvato dopo avere esaminato un recente report del dipartimento di Stato sulle minacce alla sicurezza.

I paesi sono stati scelti sulla base delle loro insufficienti capacità di garantire procedure di sicurezza adeguate nel rilascio di passaporti e visti, ma sono anche state incluse nazioni i cui cittadini tendono a violare frequentemente i termini del loro soggiorno negli Usa. La decisione arriva dopo l’attentato di Boulder, in Colorado, dove un uomo armato di lanciafiamme ha ferito oltre una decina di persone che manifestavano per gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas a Gaza.

A detta di Trump l’attacco «sottolinea il pericolo di stranieri che non sono stati controllati adeguatamente». Insomma: «Non li vogliamo». Secondo gli inquirenti, l’attentatore del Colorado è un immigrato egiziano arrivato i con un visto. L’Egitto non è però nella lista dei paesi interdetti.

In un altro sviluppo di rilevanza globale, Trump ha riferito di aver ricevuto l’appoggio di Vladimir Putin nella delicata trattativa sul programma nucleare iraniano. Durante la conversazione tra i due presidenti, il leader russo avrebbe offerto la collaborazione di Mosca per facilitare i negoziati con Teheran, facendo leva sui rapporti storici tra Russia e Iran.

«La finestra per una soluzione pacifica si sta chiudendo rapidamente», ha detto Trump, aggiungendo che «Putin è d’accordo: l’Iran non deve possedere armi nucleari». Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha confermato la disponibilità russa a «intervenire nei negoziati quando sarà necessario», sottolineando che sono già in corso scambi con entrambe le capitali.

Segnalando la volontà di Trump di isolare diplomaticamente Teheran, Trump segnala anche di volere evitare una soluzione militare, che è quella che a ripetizione ha prospettato agli ayatollah se rifiutassero un percorso negoziale che prevede necessariamente l’abbandono del programma nucleare compatibile con scopi militari.

L’escalation di Musk

Il duello a distanza con Musk continua poi a dominare quello che rimane della scena trumpiana. L’ex consigliere che Trump ha prima delegato a tutto e poi licenziato, anche la cosa è stata presentata non come una vera separazione, e comunque consensuale, ha nuovamente attaccato pubblicamente il presidente, definendo il nuovo disegno di legge sul debito federale una «trappola per le generazioni future» e una «catastrofe economica mascherata da patriottismo».

Trump ci è rimasto male: «Sono molto deluso», l’altro risponde «senza di me avrebbe perso le elezioni». L’escalation retorica tra i due sembra ormai essere diventata una guerra ideologica tra visioni opposte del paese: quella nazionalista e muscolare di Trump, e quella iper-tecnologica e libertaria di Musk. Fatto sta che il titolo Tesla a Wall Street è precipitato.

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