A Marco Rubio tocca un compito che probabilmente sarebbe fuori dalla portata di chiunque: rassicurare gli alleati. Mentre Donald Trump sferra colpi e mina certezze su qualunque fronte, il segretario di Stato si muove per mediare, sostenere e  contestualizzare. Ieri al vertice dei ministri degli Esteri della Nato ha detto che almeno l’Alleanza atlantica non è in discussione.

Ha perfino accusato alcuni media di essere «isterici» per aver ipotizzato uno scossone anche in quella struttura, come se fosse un sacrilegio immaginare che l’Amministrazione che dichiara guerra commerciale a tutto il mondo, minaccia di invadere la Groenlandia, di annettere il Canada e riprendere con la forza il Canale di Panama possa avere progetti bislacchi anche sulla Nato.

Il messaggio che Trump «ha trasmesso nella sua prima amministrazione è quello che porta anche in questa: non è contro la Nato», ha detto Rubio, prima di addentrarsi nei molti “però” che contraddistinguono il sostegno di Washington in questa fase. Il presidente, infatti, «è contro una Nato che non ha le capacità necessarie per adempiere agli obblighi che il Trattato impone a ogni singolo Stato membro». E qui il discorso torna alla percentuale di Pil da investire nella difesa, il numero magico su cui sempre di discute. 

Washington vuole che tutti i 32 membri si impegnino per arrivare al 5 per cento, oltre il doppio del tradizionale impegno del 2 per cento. Tutte le amministrazioni americane, da quando esiste la Nato, esortano gli altri componenti a dare di più, ma ora la situazione dell’alleanza, dice Rubio, è complicata da eventi enormi – una guerra terrestre su vasta scala nel cuore dell'Europa, ad esempio – che sono «promemoria del fatto che il potere duro è ancora necessario come deterrente».

Quindi, ha detto il segretario, «vogliamo andarcene da qui con la consapevolezza che siamo su un percorso, un percorso realistico affinché ogni singolo stato membro si impegni e rispetti la promessa di raggiungere fino al 5 per cento di spesa, promessa che include gli Stati Uniti». 

Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha subito colto la rassicurazione e ammesso che gli alleati europei e il Canada «devono spendere di più» e mostrare i loro buoni propositi agli STati Uniti, «alleato fedele della Nato».

Il nodo dei dazi

È evidente che il nodo della spesa militare è legato anche ai dazi, questione che è stata portata all’attenzione del rassicuratore Rubio e si è poi articolata nei vari incontri bilaterali. La delegazione del Canada ha spiegato che la sicurezza comune non si limita al campo della difesa, ma si estende a quella «economica», concetto ripetuto anche dal ministro degli Esteri norvegese Espen Barth Eide: «Se si vuole una Nato forte, si deve fare in modo che ci sia la massima crescita economica possibile nei paesi della Nato», progetto a cui i dazi globali imposti dalla Casa Bianca tagliano le gambe.

Dal consiglio di difesa riunito a Varsavia l'Alta rappresentante per la Politica estera Ue, Kaja Kallas, che già ha avuto un incidente diplomatico con Rubio, ha in qualche modo espresso sentimenti incoraggianti sui messaggi del segretario di Stato, cercando però non dare troppo peso alle cifre: «Non mi concentrerei tanto sui numeri».

Molto concentrato sui numeri, invece, Antonio Tajani, che ribadisce l’impegni dell’Italia a fare meno della metà di quello che Trump chiede: «Se si chiede di arrivare al 5 per cento e contemporaneamente si pongono i dazi, è un po' difficile fare entrambe le cose».

Nei vari incontri Rubio ha visto anche il ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen. Nel mezzo della bufera politica attorno alla Groenlandia, i due «hanno discusso delle priorità comuni, tra cui l'aumento della spesa per la difesa della Nato e la condivisione degli oneri, e la gestione delle minacce all'Alleanza, comprese quelle poste dalla Russia e dalla Cina» e hanno «ha ribadito la forte relazione tra gli Stati Uniti e il Regno di Danimarca».

Purghe su commissione

Mentre Rubio a Bruxelles dava voce alla parte più diplomatica e pragmatica dell’amministrazione, alla Casa Bianca Trump licenziava almeno tre membri degli apparati della sicurezza nazionale perché così le ha chiesto di fare una influencer complottista convinta che il governo americano abbia orchestrato gli attacchi dell’11 settembre 2001. Fra questi c’è anche un consigliere vicino a Rubio.

I funzionari licenziati sono Brian Walsh, Thomas Boodry e David Feith, che ricoprivano diversi ruoli negli apparati di sicurezza. Non è chiaro se nel novero dei cacciati ci sia anche Alex Wong, viceconsigliere per la sicurezza nazionale al centro dell’incredibile scandalo sui piani di guerra condivisi su una chat di Signal a cui è stato invitato anche un giornalista. 

La decisione è avvenuta dopo che Laura Loomer – attivista così radicalmente MAGA che il mondo MAGA normale la considera una pericolosa estremista – ha parlato con Trump nello Studio Ovale, e le fonti che hanno ricostruito l’accaduto con la Cnn, che ha dato per prima la notizia, hanno spiegato che i due fatti sono collegati.

Loomer è ossessionata da tante cose, ma l’ultima è la convinzione che gli apparati della sicurezza siano infestati da funzionari infidi che si proclamano trumpiani ma in realtà lavorano per distruggerlo, qualcuno addirittura rispondendo agli ordini dei dominatori del partito democratico. L’attivista ripete queste cose a ciclo continuo su tutti i suoi canali – ha un milione e mezzo di follower su X – ma ieri l’altro ha presentato a Trump una lista di persone che lavorano contro di lui. E ieri il presidente ha preso provvedimenti.

Il consiglio per la sicurezza nazionale non ha commentato la decisione, mentre Loomer ha soltanto detto che continuerà a ribadire l’importanza del controllo del personale nell’amministrazione. 

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