Le dichiarazioni di Recep Tayyp Erdogan sulla richiesta di ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato hanno riportato l’attenzione su questioni mai risolte. Le motivazioni addotte dal presidente turco per frenare l’adesione dei due paesi, che ieri hanno presentato richiesta formale nelle mani del Segretario generale Stoltenberg, vanno considerate nel contesto degli ultimi anni.

In particolare, Ankara accusa la Svezia di aver accolto nella numerosa diaspora curda esponenti del Pkk come rifugiati politici e di rifiutare la loro estradizione. Inoltre, anche cittadini turchi legati alla rete di Fethullah Gülen, ritenuto architetto del fallito golpe del 2016, sono riparati in Svezia. La Turchia considera sia il Pkk sia Feto organizzazioni terroristiche.

Il caso Pkk

L’Unione europea ha inserito il Pkk nella lista delle organizzazioni terroristiche dal 2002, così come il gruppo scissionista Tak dal 2020. Il regime di Erdogan vuole perciò garanzie che i movimenti curdi non trovino in Scandinavia un “santuario terrorista” da cui organizzare piani eversivi, oltre che la possibilità di estradare i sospetti gulenisti, cosa che però non avviene neanche dagli altri paesi Ue.

Anche la Finlandia è ritenuta colpevole di solidarizzare con i curdi, specialmente quelli siriani dello Ypg che hanno sconfitto l’Isis in Siria. Infatti, nel 2019 i due paesi richiedenti adesione alla Nato hanno sanzionato la Turchia con un embargo di armi per aver invaso il cantone di Afrin a maggioranza curda e la zona del nord sotto controllo Ypg-Sdf. Stati Uniti e paesi europei sanno che Erdogan non porrà il veto all’ingresso delle due democrazie e sono già in corso trattative per trovare un compromesso politico.

Sul piatto, la Turchia vuole la possibilità di comprare caccia F16 dagli Stati Uniti e la riammissione nel programma F35, da cui è stata espulsa per aver comprato il sistema missilistico S-400 dalla Russia, incompatibile con gli standard Nato.

Una possibile soluzione che sta emergendo è l’apertura sugli F35, che però verranno venduti anche ad Atene per mantenere gli equilibri politico-militari nell’Egeo. Ma Erdogan spinge anche per aiuti urgenti alla sua economia in piena crisi.

Il rapporto tra Turchia, Grecia e Nato non è mai stato semplice, sin dall’adesione avvenuta il 18 febbraio 1952, lo stesso giorno dell’eterno rivale ellenico.

La loro partecipazione all’Alleanza Atlantica non è venuta meno né con la guerra turco-cipriota del 1974, né durante le gravi crisi del 1987 e del 1996 per le dispute territoriali nel mar Egeo, con l’abbattimento reciproco di caccia.

La rivalità è stata rinfocolata negli ultimi anni dalle scoperte di giacimenti sottomarini di gas, sino al paradosso per cui la Francia si è impegnata militarmente a difendere la Grecia in caso di aggressione - sottinteso da parte della Turchia - cioè un altro paese Nato.

Il rapporto tra Turchia e Nato

In this photo made available by the Turkish Presidency, Turkish President Recep Tayyip Erdogan, front center, walks with Saudi officials upon his arrival at an airport in Jiddah, Saudi Arabia, Thursday, April 28, 2022. Erdogan is visiting Saudia in a major reset of relations between two regional heavyweights following the slaying of a Saudi columnist in Istanbul. The Turkish presidency said talks in Saudi Arabia will focus on ways of increasing cooperation and the sides will exchange views on regional and international issues. (Turkish Presidency via AP)

La Turchia mantiene un’importanza strategica fondamentale per il fianco sud-orientale dell’Alleanza Atlantica: confina con i principali focolai di crisi del Medio Oriente, controlla una parte del mar Nero e del Mediterraneo orientale. Se per ipotesi la Nato cacciasse la Turchia, farebbe un regalo alla Russia e perderebbe il membro con il secondo esercito più numeroso, ma soprattutto un vantaggio strategico nella dimensione geopolitica.

Naturalmente questo problema reca con sé implicazioni etiche e politiche non trascurabili, perché la democratura turca è regredita dopo il tentato golpe ad un’autocrazia con purghe, processi farsa e centinaia di prigionieri politici. Se la Nato è davvero una comunità difensiva di democrazie e stati di diritto, che posto ha la Turchia nell’Alleanza?

Non esiste un meccanismo formale di espulsione e i precedenti storici ci dicono che la Nato ha tollerato al suo interno stati autoritari come la giunta dei colonnelli greca dal 1967 al 1974, ma anche l’Estado Novo portoghese fino allo stesso anno.

Un cambio di regime ad Ankara è ipotizzabile se la crisi economica diventerà irreversibile portando il Partito repubblicano a superare l’Akp nelle elezioni dell’anno prossimo, ma non sarà una garanzia di maggiore democraticità.

Il governo di Erdogan ha flirtato per anni con la Russia di Putin, dopo una fase di escalation culminata l’abbattimento di un caccia russo nel 2015 per essere entrato nello spazio aereo dalla Siria e l’assassinio in diretta televisiva dell’ambasciatore Andrei Karlov nel 2016, ad opera di un poliziotto radicalizzato dalla guerra civile siriana.

Da quel momento, Erdogan e Putin hanno lavorato per abbassare la tensione tra i due paesi. Infatti, è proprio nel 2017 che Ankara ha firmato un contratto per la fornitura del sistema missilistico russo S-400, consegnato nel 2019 da Mosca.

Questa politica dei due forni ha scatenato un cortocircuito tra Washington e Ankara con il blocco delle forniture di missili Patriot, dei caccia F16 e di quelli F35.
Tuttavia, dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la Turchia ha mantenuto un’ambiguità di fondo. Da un lato, ha condannato l’aggressione insieme agli altri paesi Nato e ha fornito i vitali droni Bayraktar Tb2 a Kiev, dall’altro si è offerta come mediatrice con Mosca. Erdogan ha interesse a mantenere un equilibrio geopolitico nel mar Nero, affinché la Russia non controlli troppa costa.

La Convenzione di Montreux firmata nel 1936 assegna alla Turchia il controllo dello stretto del Bosforo con il passaggio delle navi militari e la Russia avrebbe interesse a sostituire varie delle sue navi affondate o danneggiate, a cominciare dall’ammiraglia Moskva.

I timori europei

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 18-05-2022 Roma Politica Palazzo Chigi - Il Presidente del Consiglio Mario Draghi incontra la Prima Ministra della Repubblica di Finlandia Sanna Marin Nella foto Sanna Marin Photo Roberto Monaldo / LaPresse 18-05-2022 Rome (Italy) Chigi palace - Prime Minister Mario Draghi meet the Prime Minister of the Republic of Finland Sanna Marin In the pic Sanna Marin

La politica espansionista e disinvolta della Turchia in Siria ed Iraq è vista con preoccupazione ed imbarazzo da Bruxelles, perché diventa sempre più difficile giustificare la presenza di Ankara nella nuova Nato. All’apice dell’espansione del cosiddetto Califfato dell’Isis, i vertici della Nato nutrivano il sospetto che la Turchia favorisse il gruppo jihadista in chiave anti-curda e per indebolire il regime siriano di Assad. Anche per questo smisero di condividere alcuni dossier con Ankara sulle operazioni belliche antiterrorismo.

L'adesione di Svezia e Finlandia alla Nato sposterà il baricentro dell’Alleanza verso nord, probabilmente a sfavore degli interessi nazionali di sicurezza dei paesi Mediterranei, Italia inclusa. La richiesta di due democrazie consolidate, che apportano un contributo difensivo enormemente superiore a quello di Montenegro e Nord Macedonia, è comunque un passo storico.

Il ruolo della Turchia nella Nato resta un nodo irrisolto per l’identità politica di un’organizzazione la cui morte cerebrale era stata annunciata da Macron, ma che è stata rivitalizzata dall’invasione di Putin. Se si tratterà di un’alleanza di democrazie e stati di diritto, presto o tardi andrà affrontata la contraddizione turca con tutte le sue implicazioni.

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