Le cicatrici ambientali della guerra, Kiev chiede un risarcimento a Mosca

Palazzi in fiamme, esplosioni continue al fronte, elicotteri e aerei in volo, intere aree impossibili da coltivare, ricoperte da mine o da chilometri di cavi in fibra ottica. Foreste rase al suolo con crateri al posto di alberi e piante, corsi d'acqua e fiumi inquinati. La guerra in Ucraina ha avuto e continua ad avere un impatto anche sull’ambiente. Per la prima volta nella storia di un conflitto, è un impatto che potrebbe avere anche un prezzo, una compensazione economica. «Molti danni sono stati causati a foreste, acqua e terre», ha detto Pavlo Kartashov – vice ministro ucraino con delega all’ambiente e all’agricoltura – di recente a Reuters. E ha annunciato che l’Ucraina è pronta a chiedere 44 miliardi di dollari alla Russia, per danni ambientali e per l’aumento delle emissioni nel paese, causati dall’invasione russa. L’accordo di pace è ostaggio delle debolezze dei giganti Il rapporto In un report molto dettagliato il GHG Accounting of War – specializzato in questo tipo di elaborazioni nella guerra russo-ucraina – ha stimato un aumento di 237 milioni di tonnellate di CO₂ dovuto alle operazioni militari, sommando i dati dei primi tre anni di guerra. È una cifra quindi destinata a crescere, data l’intensità degli ultimi mesi di attacchi – con 600\800 droni e decine di missili in una sola notte – ma che già così rappresenta le emissioni totali in un anno emesse da Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Secondo il report a inquinare di più sono diesel e cherosene, che fanno volare caccia e muovere nel fango carri armati e mezzi corazzati. Si usano meno munizioni per via dei droni, che però con le loro esplosioni su depositi e mezzi militari creano una sorta di effetto compensazione a livello di emissioni. «Le mine terrestri, le munizioni d’artiglieria e i droni comportano ciascuno rischi specifici per l’ambiente, e tali rischi sono fortemente influenzati dall’intensità e dai luoghi in cui vengono impiegati, così come da eventuali interventi di bonifica successivi», dice a Domani in un’intervista Doug Weir, considerato uno dei massimi esperti sul tema e direttore del Conflict and Environment Observatory. Spiega una delle criticità da tenere in considerazione quando si parla di danni ambientali. Non solo la stima del danno, ma il fatto di poter mandare squadre sulla linea del fronte a controllare periodicamente cosa è successo. «La guerra ha gravemente compromesso la rete di monitoraggio della qualità dell’acqua in Ucraina, e la frequenza e l’intensità degli incidenti stanno creando sfide per il lavoro di monitoraggio dell’Ispettorato Statale per l’Ambiente», spiega. «Ci sono molte strutture danneggiate nelle aree della linea del fronte che potrebbero rappresentare un rischio di inquinamento, ma che devono ancora essere valutate adeguatamente. Inoltre, esiste un gran numero di siti in cui i combattimenti hanno aumentato il rischio di gravi incidenti di inquinamento da pericoli come le discariche di residui minerari, già ben note prima dell’invasione su larga scala», aggiunge. È un problema che si presenta se si considerano anche aree verdi e foreste. «In molte aree, la presenza di mine e residuati esplosivi di guerra sta complicando le attività di valutazione e intervento», spiega Weir a Domani. Come analizzano gli esperti di GHG Accounting of War, gli incendi di aree boschive «causati dalla guerra sono aumentati drasticamente nel 2024, con un’estensione delle aree bruciate pari a più di 20 volte la media del periodo 2006–2021». Se anche la caduta di Pokrovsk è un capitolo della guerra ibrida in Ucraina Un ripristino difficile Come sottolinea Weir, «le conseguenze ecologiche della perdita di foreste provocata dal conflitto dipendono fortemente dal contesto e da ciò che accadrà dopo», dove una volta arrivati a un cessate il fuoco duraturo si dovrà pensare al ripristino di queste aree. «I programmi di rimboschimento dovrebbero privilegiare specie locali appropriate, comprese quelle più resilienti ai cambiamenti climatici della regione», dice Weir. In più trincee, fortificazioni e il passaggio di carri armati hanno segnato intere aree. «I paesaggi colpiti da guerra meccanizzata intensa tipicamente portano queste cicatrici per decenni», spiega. «Ciò che conta di più è minimizzare le perdite, comprendere i cambiamenti e i nuovi elementi – come le specie aliene invasive – e poi sviluppare piani di gestione coerenti e favorevoli alla natura che sostengano la più ampia ripresa dell’Ucraina», conclude. Facendo estrema attenzione – spiega l’esperto a Domani – «che i siti potenzialmente contaminati vengano valutati prima che inizino le attività di ricostruzione» tenendo conto che nel tentativo di far in fretta c'è il rischio di «indebolire le tutele ambientali». Un’altra variabile da tenere in considerazione e che è altamente inquinante, è l’intensificarsi degli attacchi sulle infrastrutture energetiche ucraine. Provocano blackout e disagi alla popolazione, ma non solo. «Gli attacchi continui all’infrastruttura energetica ucraina hanno causato il rilascio non solo di CO₂, ma anche del gas serra estremamente potente SF₆», un gas che ha un impatto sul clima 24.000 volte superiore rispetto alla CO₂. E la ricostruzione degli edifici bombardati avrà un impatto significativo sulle emissioni. «Ricostruire ciò che è stato distrutto richiederà enormi volumi di materiali da costruzione, e il cemento e l’acciaio – entrambi altamente intensivi in termini di emissioni – saranno responsabili di oltre l’80 per cento delle future emissioni legate alla ricostruzione», si legge nel report di GHG. La loro stima è che l’ambiente ne risentirà per 64 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente. «Esistono diversi modi per evitare queste emissioni legate alla ricostruzione, ad esempio: produrre cemento a basse emissioni utilizzando una maggiore quantità di additivi. Recuperare l’acciaio dalle macerie invece di utilizzare acciaio vergine» spiega direttamente a Domani Lennard de Klerk, prima firma del report e che guida l’iniziativa di monitoraggio delle emissioni legate alla guerra in Ucraina. L’analista aggiunge nella sua analisi per Domani tecniche di trasformazione del calcestruzzo e l’impiego di materiali di ricostruzione «di origine biologica, come canapa e legno». Vietnam cinquant’anni dopo: il fantasma ecologico della guerra Risarcimenti necessari È un tema molto complesso, dove le variabili da tenere in considerazione si moltiplicano, il territorio di riferimento nel caso ucraino è molto vasto e gli effetti non si possono quantificare del tutto fin quando la guerra è in corso. La richiesta ucraina di danni alla Russia può però aprire un nuovo scenario. Se si riuscirà a mettere a punto un meccanismo di risarcimenti e compensazioni in ambito europeo – che dovrebbe essere istituito dal Consiglio d’Europa – le emissioni militari oltre a essere studiate da esperti, istituti indipendenti e organizzazioni, avranno anche un peso economico e soprattutto politico. Mettendo a punto anche un sistema di risarcimenti programmati e fondi ad hoc che certifichi modalità e impiego per processare richieste, ad esempio utilizzando gli asset congelati del paese ritenuto responsabile dei danni ambientali. Un sistema che finora – nessun paese è obbligato a fornire numeri sulle emissioni militari dai tempi del protocollo di Kyoto – non è mai stato stabilito.