La donna ha entrambi piedi gonfi, la pelle tesa e rossa che lascia intravedere in più punti il bianco giallastro di una larga infezione. Un odore pesante permea la piccola casa sperduta nell’ampia pianura dell’Ucraina orientale, nel cuore del fronte del Donbass. Il figlio dice di non sapere non sa cosa le sia successo.

Lavora lontano da qui, nella regione di Kharkiv, e l’ha trovata in questo stato, incapace di muoversi. Oleksandr Stesenko, che da due anni guida una squadra che si occupa di evacuare dalla zona di guerra civili senza mobilità, dice che non aveva mai visto un’infezione così grave.

La donna geme e poi grida di dolore quando due volontari la sollevano per portarla fuori, sul furgone che la condurrà nel centro di transito per rifugiati di Pavlohrad, circa tre ore di distanza.

Quando il figlio la saluta, con quattro baci sulle guance, gli tremano le mani e le spalle. Dice che è stato già una volta a Pavlohrad e non ha voglia di tornarci. Fa capire che ha evitato la mobilitazione e che se la polizia lo fermasse sarebbe spedito subito al fronte.

Fronte orientale

Con l’attenzione del mondo concentrata sul dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin e sulla ritirata ucraina da Kursk e la minaccia di attacco russo alla vicina Sumy, il fronte del Donbass è passato in secondo piano. Ma i combattimenti in questa regione, dove ucraini e russi si confrontano ormai da 11 anni, non sono mai cessati.

Soltanto una settimana fa, a pochi chilometri da qui, un attacco aereo russo nella cittadina di Dobropillia ha ucciso undici persone e ne ha ferite altre 47. Tra loro, parecchi volontari e soccorritori, arrivati sul posto dopo il primo attacco e colpiti da una seconda scarica di razzi e droni – un tipo di attacco che gli ucraini chiamano con il termine inglese double tap, “doppio tocco”, una tattica premeditata dei russi per uccidere il maggior numero possibile di soccorritori, sostengono.

Stesenko dice che negli ultimi due mesi la situazione si è fatta più difficile in questa regione. La paura più grande che hanno lui e i suoi colleghi è quella per le Kab, le bombe plananti russi che possono pesare fino a una tonnellate e mezzo, abbastanza da abbattere un palazzo intero.

Fortunatamente, i russi le impiegano principalmente contro trincee e posizioni fortificate militari. Droni e colpi di artiglieria sono molto più frequenti. Il mese scorso, durante un’evacuazione, una granata è esplosa a meno di venti metri dal suo furgone. Per fortuna l’esplosione non ha causato danni.

L’organizzazione di Stesensko, “Sos Est”, ha acquistato il furgone con una donazione dell’agenzia americana UsAid, il cui logo è ben vista sulla portiera. Dopo il congelamento dell’agenzia da parte dell’amministrazione Trump, sarà difficile trovare i soldi per comprarne un altro.

La tregua

Martedì, Stesenko e i suoi colleghi hanno evacuato in tutto tre persone, tutti anziani incapaci di muoversi da soli. Altri due casi sono stati segnalati dagli assistenti sociali di Mykolaivka, un sobborgo di palazzoni vicino a Slovyansk che, insieme a Kramatorsk, costituisce la principale area urbana ancora sotto controllo ucraino nel Donbass e, quindi, il principale obiettivo delle truppe russe.

Il governo locale e le gran parte dei volontari vorrebbero sgomberare quasi completamente dai civili le aree di combattimento, per dare più libertà ai soldati e rendere meno complicata la difesa. Ma si tratta di un compito quasi impossibile. Mancano i mezzi materiali e legali per trasportare le centinaia di migliaia di persone che ancora vivono nei pressi del fronte. Se un adulto non vuole lasciare la propria abitazione, non ci sono mezzi legali per costringerlo. I minori, che possono legalmente essere trasferiti in caso di pericolo, sono stati sgomberati da tempo con le loro famiglie.

Mentre Stesenko e il suo collega guidavano il furgone sulle strade accidentate dal passaggio dei veicoli militari, Trump e Putin erano al telefono per quella che avrebbe dovuto essere una conversazione risolutiva sul conflitto. Stesenko, come quasi tutti gli ucraini con cui abbiamo parlato in questi giorni, non crede al cessate il fuoco. «Mi piacerebbe che la guerra finisse, vorrei che tutto questo smettesse – dice – Ma la mia opinione è che la pace è impossibile. Non ci si può fidare della Russia».

Quello che chiedono sono garanzie da parte degli alleati dell’Ucraina che un’invasione simile non possa mai più verificarsi. Ma gli Stati Uniti di Trump non sembrano disposti a elargire queste garanzie, mentre gli europei, più disposti a concederle, non è chiaro se siano davvero in grado di scoraggiare futuri attacchi russi. Fino a che l’alternativa sarà tra una capitolazione immediata e continuare a difendersi, molti ucraini, e quasi certamente il loro governo, sceglieranno la seconda opzione.

Proprio in Donbass gli ultimi mesi hanno dimostrato che non è una strada completamente impossibile da percorrere. Per sgomberare gli ucraini da Kursk, le truppe di Mosca hanno dovuto sospendere la loro offensiva di qui. Questo ha permesso agli ucraini di condurre una serie di contrattacchi di successo nella regione, un’occorrenza che non si vedeva da mesi.

Il presidente ucraino Zelensky si è spinto a dire che questa è la prova che l’incursione di Kursk ha raggiunto il suo obiettivo. Quanti altri successi come questo l’Ucraina potrà permettersi rimane ancora una domanda senza risposta.

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