Country-404: un riferimento all’errore della rete “404 pagina non trovata” è il modo con cui i russi favorevoli alla guerra chiamano l’Ucraina. La macabra ironia di questo soprannome è una rappresentazione spaventosa di una più vasta insistenza tra politici e propagandisti russi sul fatto che l’Ucraina non ha il diritto di esistere.

Nella sua dichiarazione sull’Ucraina del 21 febbraio, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che l’Ucraina è un paese illegittimo, che esiste in un territorio che è storicamente e di diritto russo: «L’Ucraina in realtà non ha mai avuto tradizioni stabili di stato reale», ha detto Putin. Simili affermazioni si basano su un saggio del 2021 in cui Putin aveva descritto l’Ucraina, nei suoi confini legalmente riconosciuti, come un «progetto antirusso» e aveva negato l’esistenza degli ucraini come popolo indipendente. L’esercito russo prontamente ha inserito questo testo nell’elenco delle opere da studiare obbligatoriamente.

Nonostante numerose prove del contrario, alcuni esperti credono ancora che il mondo possa mettere fine alla guerra della Russia in Ucraina accordandosi su concessioni territoriali o emendamenti costituzionali. Si tratta di una considerazione ingenua. I leader politici russi hanno chiarito perfettamente che il loro scopo è di distruggere l’idea stessa di Ucraina come di un’entità indipendente e sovrana con una propria identità. Per questo prendono di mira importanti siti culturali e massacrano civili innocenti.

Musei distrutti

Maria Prymachenko era un’artista popolare ucraina del ventesimo secolo molto amata. Dopo la presa della città di Ivankiv, a nord ovest di Kiev, la capitale dell’Ucraina, il 27 febbraio, le truppe russe hanno distrutto il museo della città che ospitava le sue opere. Molto più a est, l’esercito russo ha bombardato diversi edifici culturali di Kharkiv, nota come la città universitaria dell’Ucraina perché vanta circa 42 istituti di istruzione superiore. I russi hanno danneggiato pesantemente il Teatro nazionale dell’opera e del balletto di Kharkiv e la Società filarmonica di Kharkiv, situata in piazza della Libertà. Nelle vicinanze, missili russi hanno sfondato le finestre della famosa Biblioteca scientifica statale Korolenko, una delle più grandi d’Europa, e danneggiato un pianoforte a coda suonato una volta dal compositore russo Sergej Rachmaninov.

Come suggerisce l’ultimo episodio raccontato, è alquanto paradossale che la Russia debba prendere di mira icone culturali in quelle parti dell’Ucraina con cui condivide così tanta storia culturale. L’argomento di Putin, che gli ucraini non sono una popolazione a sé, si fonda sulla premessa che russi e ucraini discendono dalla Rus’ di Kiev e che sono legati da una lingua storica e dalla fede ortodossa. Nel saggio del 2021, Putin cita persino il profeta Oleg, chiamando Kiev «la madre di tutte le città russe». Perché allora la Russia dovrebbe distruggere ciò che giudica essere la culla della propria civiltà?

Possesso culturale

Il Cremlino non ha esitato a distruggere i tesori culturali dell’Ucraina perché esiste una sorta di antica arroganza imperiale tra le élite russe che si manifesta come un senso di possesso sulle altre culture e come diritto di ricostruire o rifare queste culture a propria immagine.

Questo possesso si basa su un patologico senso messianico della storia che ha trasmesso alla Russia il diritto morale di difendere ciò che vede come verità storica. La fonte più ovvia di questa dispensa deriva, nella prospettiva russa, dalla vittoria sovietica sul nazismo nella seconda guerra mondiale, ma va molto oltre. Thomas Bagger, consigliere di politica estera di alto rango del governo tedesco, in un’intervista al New York Times si è espresso in questi termini: «Non ci siamo resi conto che Putin si è trasformato in un mito storico e pensa per categorie da impero millenario».

Mille anni può essere troppo poco: presumibilmente Putin ha investito costantemente in una visione che risale a oltre duemila anni fa, fatta di geografia e cultura, che presenta la Russia come l’unica vera erede delle civiltà classiche europee. Non c’è luogo in cui questo sia più sconcertante che in Siria, dove, tra le rovine, si può tracciare un quadro doloroso di ciò che attende l’Ucraina.

Con il presidente siriano Bashar al Assad non disponibile o non in grado di ricostruire il proprio paese, e la comunità internazionale impegnata altrove, la Russia si è consacrata salvatore della Siria. In un certo senso, questa posizione continua la relazione stretta tra Urss e Siria degli anni Ottanta. La ripetizione odierna presenta notevoli differenze; ad esempio, il governo di Putin ha svolto un ruolo intenso e specifico nel prendere il controllo dei beni culturali della Siria. In questo modo, la Russia si proclama custode imperiale più o meno allo stesso modo in cui un tempo le potenze coloniali europee hanno preso migliaia di reperti dall’Asia e dall’Africa da conservare nei musei europei.

Gli esperti della cultura russa insistono che i danni in Siria sono stati così estesi che le strutture antiche possono essere ricostruite soltanto incorporando parti significative di materiali nuovi. La comunità internazionale non ha fatto obiezione a questa diagnosi, così come all’obiettivo della Russia di ricostruire.

Ricostruendo il programma principale (o unico) per la Siria del dopoguerra, le autorità russe possono ripulire le vecchie macerie per far spazio al nuovo. Gran parte dei resti andrà alla Russia, ufficialmente per il restauro, ma anche per essere esposte. La presenza fisica di colonne e statue sarà offerta come prova che la Russia è la nuova custode dell’eredità greco-romana. Si tratta di un moderno reimpiego, dal latino spolium, bottino o conquista dal nemico, la pratica del riutilizzo di materiali architettonici e decorativi per nuove strutture. La spolia russa è l’esibizione dei tesori presi, a gloria del potere e della capacità dell’esercito e della civiltà del paese.

L’esempio di Palmira

L’esempio principe è Palmira, un tempo città cosmopolita sull’Eufrate e celebre per la sua arte e l’architettura greco-romana. Palmira e l’adiacente città moderna di Tadmur, in Siria, hanno subito gravi perdite nella guerra in Siria.

Lo Stato islamico ha danneggiato e distrutto i manufatti che considerava eretici. Gli attacchi aerei russi e siriani hanno causato ulteriore devastazione. Le autorità russe insistevano che i loro attacchi aerei erano mirati alle unità dello Stato islamico, ma i residenti descrivevano il bombardamento indiscriminato che uccideva i civili, radeva al suolo ospedali e scuole e danneggiava le strutture antiche.

Nel 2016 la Russia ha celebrato la vittoria sullo Stato islamico a Tadmur con un concerto di musica classica nell’antico anfiteatro di Palmira, sullo stesso palcoscenico in cui, l’anno precedente, militanti dello Stato islamico avevano giustiziato i soldati siriani durante una terribile manifestazione pubblica. Non sorprende che la Russia si sia presentata come l’attore principale della liberazione della città, dimenticando però di raccontare in patria e in occidente di come i bombardamenti aerei russi avessero avuto un ruolo centrale nella distruzione di Palmira.

Da allora la Russia dice di essere la figura chiave della ricostruzione di Palmira, approfittando di ogni occasione per lodare la propria superiorità morale e condannare il fallimento dell’Occidente nel contribuire a questi sforzi. Alcuni siriani però hanno notato che la Russia sta soltanto riparando quello che ha distrutto, e solo in minima parte.

Nel 2019 la Russia ha annunciato una partnership con le autorità siriane per ricostruire Palmira, patrimonio mondiale dell’Unesco. Ha creato una mostra di successo al Museo statale dell’Ermitage, il museo più grande e famoso della Russia, che si trova nella città natale di Putin. Lo spettacolo “Due Palmira” confonde la città russa di San Pietroburgo e Palmira tra passato e presente, mostrando che la storia di San Pietroburgo è intimamente legata alle glorie della classica Palmira.

Potenza globale

Analogie storiche come le due Palmira hanno permeato la copertura del conflitto siriano da parte dei media allineati allo stato russo sin dall’inizio, quando l’intervento militare è stato descritto principalmente in termini geopolitici. La televisione di stato ha celebrato il successo militare in Siria, a prova del fatto che la Russia era tornata ad essere una potenza globale, si era ripresa lo status perduto di superpotenza sovietica. Al pubblico russo è stato detto ripetutamente che la Russia aveva ripreso il suo posto al tavolo più importante, dove offriva una nuova visione geopolitica, basata sul soft power sovietico ma che dava priorità ai valori tradizionali, ai modelli di governo autoritari e alla cosiddetta sovranità più che al comunismo.

L’importanza di restituire e proteggere la cultura dell’autopercezione esaltata della Russia tiene insieme il comportamento in Ucraina e quello in Siria. Ad esempio, un altro monumento di Palmira, l’Arco di trionfo, continua ad attrarre un notevole interesse da parte dei russi. Nelle fasi iniziali di quello che la Russia ha chiamato “operazione militare speciale” in Ucraina, un modo in cui i media si sono distratti dall’ovvio fallimento di prendere Kiev in tre giorni è stato concentrarsi su un gruppo di specialisti di San Pietroburgo che stavano ricostruendo l’Arco di trionfo di Palmira. Ha anche distolto l’attenzione dalle atrocità russe in città come Mariupol, in Ucraina.

A fine marzo, i principali canali di informazione russi hanno raccontato con un dettaglio minuzioso e autocelebrativo il lavoro della squadra di San Pietroburgo nel restituire “all’umanità” il simbolo perduto dell’arco, distrutto dallo Stato islamico. I corrispondenti hanno sottolineato la grande attenzione ai dettagli e gli instancabili sforzi degli specialisti, mettendo in rilievo la benevolenza russa nella difesa del patrimonio per tutta l’umanità. Palmira non è però solo una distrazione, ma anche un modello: le autorità russe hanno poi annunciato il gemellaggio di Mariupol con San Pietroburgo, dichiarando che a quest’ultima sarebbe stata affidata la ricostruzione di ciò che oggi resta della città portuale ucraina.

Una visione della storia

I media statali russi usano questi progetti per enfatizzare la correttezza morale della Russia, ma c’è anche un inconfondibile sottofondo sciovinista, poiché i presentatori affermano che solo la Russia è sufficientemente sviluppata per avere l’esperienza e la tecnologia necessarie per svolgere il lavoro, a differenza della Siria e dei suoi vicini. Ci sono parallelismi tra questa retorica e il linguaggio usato dai musei britannici e dell’Unione europea nel presentarsi come meglio attrezzati dei musei non occidentali per conservare ed esporre reperti.

Questa idea si inserisce anche in una narrativa più ampia, in cui la Russia si presenta come la difesa del passato. In questa visione binaria del mondo, la Russia è la protettrice del patrimonio e della cultura e chi è contro di lei è anche contro la storia, siano i terroristi, l’Ucraina o l’occidente.

Ad esempio, in Ucraina i media russi da tempo sostengono che stanno combattendo contro chi riscrive la storia e vorrebbe che i nazisti avessero vinto la Seconda guerra mondiale. Esiste un’ossessione politica russa di lunga data secondo cui gli altri tentano di falsificare, distruggere o riscrivere la storia. Preoccupazioni simili si estendono ai livelli più alti delle élite politiche russe, come si riflette nella dottrina del governo.

La Strategia di sicurezza nazionale del Cremlino del 2021 cita storia e memoria una trentina di volte, sottolineando l’importanza esistenziale attribuita alla necessità della Russia di controllare la narrazione storica. In molti modi, questo bisogno di essere il trionfatore che si accaparra i bottini culturali o il vincitore che scrive la storia è centrale nella visione della Russia del Cremlino e del suo diritto a una sfera di influenza, anche quando comporta invadere e distruggere altri paesi. Idee ed emozioni sono state trascurate come forze trainanti del comportamento russo a favore di discussioni sull’espansione della Nato o garanzie di sicurezza non soddisfatte. Prima della guerra in Ucraina, gli esperti hanno persino spiegato l’interesse della Russia per le antichità siriane come lo sforzo del Cremlino di normalizzare le relazioni con l’occidente.

Ora è più chiaro. Alla Russia non interessa normalizzare le relazioni con l’occidente. Vuole aggirare la necessità di queste relazioni e stabilire la propria traiettoria storica.

Valori universali

Questa visione della Russia viene intesa come un contrasto netto alla presunta amorale e generica cultura americanizzata che (a quanto si dice) ha corrotto la bussola morale e l’identità dell’Europa moderna. Dal 2015 al 2016, secondo i media e i politici russi, l’occidente è ipocrita, sostiene segretamente lo Stato islamico, sminuisce i coraggiosi soldati russi e trascura il suo dovere morale nei confronti dei cristiani. Palmira era al centro di questa argomentazione, con il sito di patrimonio culturale intessuto in una narrativa che combina la barbarie dello Stato islamico, l’assenza dell’occidente e la superiorità culturale russa.

Questa narrazione viene ora abilmente piegata sulla guerra russa in Ucraina. Tra i massacri di Bucha e Mariupol, queste affermazioni sull’autorità storica e morale suonano oscene ai più all’estero, ma non ai molti russi a livello nazionale, e per diverse ragioni. In primo luogo, questa narrativa auto-esaltante è un atto di propaganda e disinformazione che distrae dai danni russi in Siria e Ucraina, rafforzando l’idea che la Russia compie solo il bene e mettendo in dubbio le accuse sulle atrocità.

In secondo luogo, dipingendosi come salvatrice di Palmira, la Russia può dire di difendere i valori universali, anche se conduce una campagna contro questi stessi in patria e all’estero, usando i manufatti rotti di comunità profondamente danneggiate come terreno di prova per le sue ambizioni geopolitiche.

In terzo luogo, le pretese di legittimità del Cremlino poggiano fortemente sul tracciare i giusti antecedenti storici, dal momento che c’è poco o nulla che può offrire al suo popolo nel presente o nel futuro. Così com’è, deve essere in grado di controllare la storia il più possibile per inserirla meglio nel tritacarne narrativo del Cremlino. Si possono trarre lezioni importanti sull’abilità del governo russo nel dichiararsi salvatore delle stesse culture che ha distrutto prima di ricostruire i manufatti in modo tale da aumentare la propria grandezza e sminuire o addirittura nascondere la cultura originaria. Pur imitando il linguaggio della conservazione culturale, gli sforzi del Cremlino vanno letti nella migliore delle ipotesi come propaganda, nella peggiore, come distruzione culturale mascherata.


Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Foreign Policy Traduzione di Monica Fava.
 

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