Prima forti restrizioni all’uso di Internet, poi la clamorosa decisione dell’esecutivo di mettere al bando il Pastef, principale partito d’opposizione, ufficialmente colpevole di «aver radunato i suoi sostenitori e aver fomentato i disordini», infine la sospensione totale di TikTok fino a «nuovo avviso» a causa della diffusione di messaggi «di odio e sovversivi».

È questa la preoccupante serie di misure adottate negli ultimi giorni dal governo, al culmine di gravissime tensioni che da mesi scuotono il Senegal. Le proteste inscenate all’inizio di giugno dalle opposizioni, all’indomani della condanna di Ousmane Sonko, capo del partito Pastef e uno dei loro leader più rappresentativi, non si sono mai interrotte.

Negli ultimi giorni, dopo l’esclusione del Pastef, si sono nuovamente intensificate e alle decine di morti accertati tra giugno e luglio (almeno 60 secondo l’opposizione, ndr), si sono aggiunti due uomini rimasti senza vita negli scontri avvenuti il 2 agosto nella città meridionale di Ziguinchor, dove Sonko è sindaco.

Il malcontento verso Sall

Il pacifico e democratico Senegal, uno dei paesi più stabili d’Africa, vive probabilmente la sua stagione più critica dall’indipendenza dalla Francia del 1960. Ma dietro l’esplosione di rabbia di ampie fette della popolazione di questi mesi, ci sono anni di malcontento nei confronti di Macky Sall, il presidente in carica dal 2012, in gran parte intercettato da Sonko.

Quest’ultimo, arrivato terzo nel 2019 con il 15 per cento dei voti, ha visto accrescere il suo consenso politico nel giro di pochissimo tempo fino a divenire un leader temutissimo. Rappresenta una nuova classe politica africana, stanca di influenze europee e coloniali che auspica panafricanismo e decolonizzazione definitiva a partire dall’abbandono del franco Cfa.

Tradizionalista e fervente musulmano, con posizioni conservatrici verso l’omosessualità, denuncia la corruzione dei politici e assurge a leader incontrastato dei giovani, la stragrandissima maggioranza della popolazione senegalese.

«Ed è per questo che da quel momento in poi il governo cerca ogni modo per bloccarlo – spiega Diop Youssouf, membro del Pastef – fino a inventarsi imputazioni ridicole. Prima lo hanno accusato di stupro di una massaggiatrice nel 2021 (assolto con formula piena, ndr). Poi sono passati a “corruzione di giovani” un reato di cui non si comprendono bene le caratteristiche che gli è costato la condanna a due anni. Poi hanno richiesto sei mesi di carcere per diffamazione nei confronti di un ministro che accusava di aver sperperato 36 miliardi di franchi Cfa e infine, qualche giorno fa, poiché le sue guardie del corpo hanno tolto di mano il cellulare a un’agente in borghese che filmava i movimenti di Sonko nei pressi della residenza a Dakar, è stato accusato di sequestro e arrestato. Al momento è in carcere».

Cancellare l’opposizione

Le proteste di questi mesi, quindi, hanno la loro origine nel 2021, all’indomani della prima imputazione per stupro. Moltissimi senegalesi hanno visto, nel goffo tentativo del governo, una chiara manovra per tagliare fuori Sonko dalle presidenziali del febbraio 2024. Ma a incendiare le folle ha contribuito anche la possibilità che Macky Sall ricorresse a emendamenti costituzionali pur di assicurarsi un terzo mandato proibito per legge.

L’annuncio del ritiro della candidatura fatto lo scorso 6 luglio, ha contribuito a stempera lievemente le tensioni ma non a fermare la piazza. «Quello che sta accadendo in Senegal  – dice Pape Diaw, attivista della diaspora senegalese in Italia – ha dell’incredibile: un presidente che arriva a cancellare l’opposizione per decreto, circa 800 arresti di attivisti politici, siamo ormai in un regime di tirannia con un elemento molto preoccupante, una giustizia asservita completamente al potere che confeziona accuse patetiche. Non vedo spiragli di pace imminenti, almeno finché Sonko sarà in prigione e fino alle elezioni a febbraio sarà una stagione complessa».

A uscire malconcia, quindi, è una delle esperienze democratiche più solide del continente. Ciò, da una parte, segnala senza dubbio una fragilità strutturale perfino delle migliori democrazie africane, tutte, è sempre utile ricordarlo, giovanissime e uscite da pochi decenni da un sistema di oppressione violenta e schiavista.

Ma dall’altra evidenzia una presa di coscienza tra le nuove generazioni di africani che sempre meno ammettono deragliamenti e lottano per non vedersi scippare nuovamente libertà e democrazia per quanto esili possano essere. «Macky Sall – conclude Diaw – raffigura la vecchia classe dirigente che rappresenta gli interessi europei prima di quelli africani e se la dovrà vedere con i senegalesi che non gli daranno tregua».

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