Il tribunale di Atene, dopo più di cinque anni di trafile giudiziarie, lo ha sancito con una sentenza: Alba dorata, il partito neonazista che nel 2012 riuscì a far eleggere diciotto parlamentari, è una «organizzazione criminale». Gli assalti che i suoi membri hanno compiuto contro immigrati, sindacalisti, attivisti di sinistra - assalti mortali, nel caso del rapper antifascista Pavlos Fyssas - sono figli di una precisa catena di comando.

«Il verdetto mostra che la leadership del partito era coinvolta nella scelta di usare la violenza in modo sistematico», dice Federico Varese, criminologo dell’università di Oxford. «Nei processi contro le organizzazioni criminali, il punto è dimostrare che i reati singoli sono parte di un piano: non ha senso condannare i soldati e non i capi». Il segretario del partito, Nikos Michaloliakos, e altri sei leader, sono ora colpevoli di guidare una organizzazione criminale, gli altri undici ex parlamentari sono responsabili di farne parte, e il militante Giorgios Roupakis è riconosciuto colpevole dell’omicidio di Fyssas, dopo sette anni di battaglie legali da parte della madre del rapper, Magda Fyssa. La sua gioia per la giustizia fatta, e quella di migliaia di persone, si è manifestata in strada, sotto il tribunale. La polizia ha disperso la folla coi lacrimogeni.

«Questa decisione passerà alla storia. Non sono mai stati innocenti. Lo sapevano, lo sapevamo», ha detto l’ex primo ministro greco Alexis Tsipras. Alba dorata dice di essere «vittima di una cospirazione» e nega la filiazione neonazista, ma le prove ci sono da tempo. La Carta di Alba dorata, per esempio, descrive la struttura organizzativa: in cima ci sono i leader, poi c’è la loggia, e in fondo alla piramide la congregazione popolare. Nella rigida gerarchia nessun anello della catena sfugge al controllo. In cima a ogni pagina di quella “Carta” scritta a mano, requisita sei anni fa in casa del parlamentare Christos Pappas, c’è la sigla “SS”.

La sentenza arriva quando ormai il consenso, almeno elettorale, per Alba Dorata è in declino: nel 2019 alle elezioni parlamentari per poco non ha raggiunto la soglia di sbarramento del tre percento. Eppure otto anni fa fu tra le apripiste europee dell’ascesa istituzionale della destra estrema. La tedesca Alternative für Deutschland, xenofoba, è nata nel 2013. Alba dorata esiste in realtà da quarant’anni, dal dicembre 1980, all’inizio si è presentata come un giornale nazionalsocialista. Erano passati solo sei anni dalla fine del regime dei colonnelli, e il partito di destra che ha preso il potere dal 1974, Nuova democrazia, ha cercato di ripulirsi dagli elementi più radicali e violenti.

Il primo tentativo riuscito di istituzionalizzare quelle posizioni risale al 2000, con il Laos (Raggruppamento popolare e ortodosso). Alba Dorata, che alla nascita elogiava esplicitamente Hitler, prende piede nel 2010 alle elezioni amministrative. Il boom di consensi arriva quando la Grecia sta vivendo la crisi finanziaria e il regime di austerità: nel 2012 il sentimento popolare dei greci (stando a Eurostat) è che il settanta percento non fa piani per il futuro e per tutti loro «la situazione economica va male».

Un terzo degli elettori di Alba la vota per le posizioni sull’immigrazione riassunte nel suo manifesto così: «Ogni immigrato che lavora è un greco disoccupato». Gli immigrati «vanno espulsi». Nel 2014 alle elezioni europee diventa terzo partito di Grecia, supera il nove per cento. Negli anni successivi, il successo elettorale pian piano si spegne, complici anche l’ammorbidimento della crisi e il travaso di consensi in direzione di Soluzione greca, partito ultranazionalista di destra. Nonostante le trasformazioni di Alba dorata, una caratteristica è invariata: la scelta della violenza. Anche quando la formazione entra nelle istituzioni, non si “modera”, anzi.

Eppure «non è stato facile portare a galla violenze e responsabilità, anche perché Alba Dorata raccoglie “simpatie” tra le forze dell’ordine», dice Nils Muiznieks, ex commissario per i diritti umani nel Consiglio d’Europa. Ora è direttore europeo di Amnesty, che raccoglie testimonianze: solo nel 2012 più di novanta migranti hanno subito violenze dall’estrema destra; in otto casi, il legame con Alba è acclarato. «Spero che la sentenza sia un segnale per il resto d’Europa». Nel 2013 Alba Dorata e CasaPound hanno sancito la loro alleanza: «Abbiamo lo stesso programma e un destino comune», dichiararono allora.

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