Si preannuncia un incontro lungo, nel quale i due presidenti metteranno finalmente le carte in tavola, quello che si svolgerà oggi a San Francisco tra Joe Biden e Xi Jinping. Biden e Xi si ritrovano dopo un anno, 12 mesi di aspro confronto geopolitico, commerciale e di collisioni sfiorate nel Pacifico tra le rispettive armate.

Per capire quali sono gli obiettivi della Cina alla vigilia di questo vertice, che potrebbe favorire una distensione con gli Usa, o solo un “accordo sul disaccordo”, abbiamo intervistato il professor Maurizio Scarpari, sinologo, già direttore del dipartimento di studi sull’Asia orientale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore di La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine globale (il Mulino).

Da Taiwan, all’embargo hi-tech contro la Cina, al Mar cinese meridionale, Pechino e Washington hanno tanti contenziosi aperti. A prescindere dai singoli hotspot, qual è lo stato attuale della loro relazione bilaterale?
Il percorso lungo e accidentato che ha portato Biden e Xi a questo incontro conferma che i fronti aperti tra Cina e Stati Uniti sono tanti, e dunque si tratta di un vertice utilissimo per raffreddare la tensione, ma che non potrà risolvere nessuna delle questioni più spinose. L’aspetto più preoccupante della relazione bilaterale Pechino-Washington non è a mio avviso la loro competizione economico-tecnologica, ma quello della sicurezza, l’aspetto militare.

Il “disordine globale” di cui parlo nel mio ultimo libro vede la Cina, ormai da alcuni anni, in un ruolo da protagonista. Si è creata una situazione di grande tensione geopolitica internazionale nella quale la Cina è totalmente immersa. Lo scontro Cina-Stati Uniti è estremamente delicato perché si lega a tutta una serie di hotspot, di punti caldi sparsi per il pianeta.

Al di là della retorica ufficiale sulla “neutralità” della Cina in Ucraina, quella tra Pechino e Mosca è ormai una alleanza di fatto, contro un comune avversario?
Col tempo questo rapporto è risultato sempre più come un’alleanza strutturata: la Cina di Xi Jinping e la Russia di Putin hanno alcuni obiettivi comuni e un comune nemico, gli Stati Uniti. E questo aspetto ideologico della loro relazione ne sovrasta ogni altro. La Cina è inoltre riuscita a trarre vantaggi economici dalla guerra in Ucraina, colmando tutti i vuoti che si sono creati con le sanzioni e l’isolamento della Russia da parte dell’Occidente.

Putin al momento può giocare a fare il leader globale, ma la “amicizia senza limiti” con Xi ha in realtà limiti ben definiti: si è ribaltato il rapporto secolare tra Russia e Cina, e quando si troverà la soluzione al conflitto in Ucraina, Putin si accorgerà che la Cina tratterà la Russia come tutti gli stati limitrofi, con i quali il suo rapporto è strumentale, funzionale allo sviluppo nazionale della Cina.

Il 13 gennaio Taiwan andrà al voto e i sondaggi danno nettamente in testa per la presidenza William Lai, il candidato “indipendentista”. Esiste un compromesso possibile tra Pechino, Washington e Taipei per scongiurare una quarta crisi dello Stretto?
Su Taiwan c’è la necessità - da parte di tutti gli attori coinvolti - di un compromesso che non faccia perdere la faccia a nessuno. Al momento tutti mostrano i muscoli, anche perché nel 2024 ci saranno le elezioni, prima a Taiwan e, a novembre, negli Stati Uniti. Ma sia Pechino, sia Washington sanno che utilizzare Taiwan per alzare il livello dello scontro è troppo pericoloso. Il problema è che la ricerca di una soluzione della questione taiwanese è estremamente complicata. Anche perché è indubbio che la Cina non mollerà mai su Taiwan, che considera una parte inalienabile del suo territorio.

La Cina di Xi si propone sempre più come alfiere del cosiddetto “Sud globale”. Che tipo di ordine mondiale alternativo ha in mente Pechino?
Il nuovo ordine globale “multipolare” che dovrebbe sostituire quello nato dalle macerie della Seconda guerra mondiale viene sbandierato sia da Xi sia da Putin, sebbene con obiettivi diversi. Per quanto riguarda il presidente cinese, i progetti che lancia - come, ad esempio, la Iniziativa per la sicurezza globale - fanno parte della sua retorica politica.

Ma c’è un gap sempre più manifesto tra gli obiettivi dichiarati e le azioni della Cina. In questo contesto, il modello “multipolare” che ha in mente la Cina di Xi è un mondo che potrebbe sì avere più poli, ma che sarebbe comunque a trazione cinese. Il concetto astratto di “tianxia” (tutto sotto lo stesso cielo, ndr) non ha senso: nell’ottica cinese, se non saranno gli Stati Uniti a trainare il mondo, a farlo non potrà che essere la Cina, secondo un nuovo ordine che risponda a princìpi dettati dall’agenda cinese.

Con la pandemia di Covid-19 e l’aggressione russa all’Ucraina è come se in Occidente la Cina fosse diventata antipatica: c’entrano questi eventi spartiacque o c’è dell’altro?
La percezione che la Cina dà di sé è quella di un paese sempre più assertivo, e ciò fa paura. Nel 2019 abbiamo firmato un memorandum sulla via della Seta che ci è stato presentato dal governo di allora come un accordo commerciale. Poi con il Covid la Cina ci è stata mostrata come un paese efficiente che aveva fermato subito l’epidemia e che ci aiutava inviandoci le mascherine.

La storia però ha rivelato che le mascherine le abbiamo pagate a caro prezzo (e che in buona parte erano contraffatte), e che la Cina non solo non aveva arginato il Covid, ma che aveva bloccato una serie di filiere economiche, chiusure delle quali abbiamo risentito tutti. Così come è diventata evidente la nuova assertività della Cina nei confronti sia degli Stati Uniti sia dei suoi vicini asiatici.

E, con l’uscita di scena di Angela Merkel, è cambiato anche il rapporto con l’Europa, che ha finalmente capito che la Cina non è disinteressata e benevola, ma che la via della Seta ha obiettivi egemonici e non solo commerciali. In definitiva, il cosiddetto “soft power” cinese non funzionava prima e ha finito per funzionare ancor meno di fronte ai drammatici eventi degli ultimi anni.

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