Una manifestazione è una manifestazione. Per definizione essa ha un obiettivo preciso, limitato, urgente: fermare la mattanza a Gaza. Il resto è a seguire. Non si richiede a una manifestazione di scrivere un piano o un trattato di politica estera. David Grossman ha osservato che l’orrore del 7 ottobre non ci esonera dal condannare senza esitazione l’abominio cui stiamo assistendo
Non riesco a trattenere il disappunto per la circostanza che non si sia riusciti a fare una manifestazione unitaria per Gaza da parte delle opposizioni. Lo trovo imperdonabile. Leggo che, all’origine, vi sarebbe stato un irrigidimento sul testo della piattaforma ricalcata su una mozione parlamentare a tre sole firme: Partito democratico, Movimento Cinque stelle, Alleanza Verdi-Sinistra italiana. Non ho informazioni più precise al riguardo. Se così fosse, chi ha responsabilità dell’irrigidimento ha sbagliato. Possibile che, lavorando sul testo, non fosse possibile convergere? Resta il fatto della divisione e, ai miei occhi, nulla la può giustificare a fronte della portata del dramma, della esigenza – semmai clamorosamente tardiva – della mobilitazione e della sostanziale unità di intenti.
Se, come è inscritto nella natura stessa di una manifestazione di cittadini che si vuole largamente partecipata, lo scopo è quello di dare voce e vigore alle sue ragioni, l’unità è preziosa, necessaria, direi obbligata. Eticamente e politicamente.
In questo caso, tra gli obiettivi di essa, quello di denunciare timidezza, reticenza e inerzia del governo italiano che si segnala per inettitudine (sino alla complicità) a paragone della più parte dei governi europei e non solo.
Dal governo parole evasive e sbiaditi aggettivi. Zero iniziative: sullo stop alle armi che, incredibilmente, ancora forniamo, sugli accordi commerciali e sul partenariato con Israele, sul riconoscimento dello Stato palestinese. Su deliberati in sede Onu e Ue. Nulla di nulla. Per due note ragioni: la vile sudditanza a Donald Trump e – come ha scritto un serio studioso della destra Mario Tarchi – il complesso legato ai trascorsi della nostra destra post-missina di cui è erede il partito di maggioranza relativa.
Francamente deboli e “tirate” le ragioni della defezione di Azione e Italia Viva che si sono date appuntamento a Milano. In un teatro. Un convegno, per sua natura intessuto di parole. Non una manifestazione che, grazie alla mobilitazione dei cittadini, mira a produrre fatti, decisioni. Quella di Milano è stata indetta invocando argomenti offensivi per chi ha promosso quella romana.
Quasi che i promotori di quest’ultima siano permeabili all’antisemitismo, siano sospetti di indulgenza verso Hamas e il pogrom del 7 ottobre, siano insensibili alla causa della liberazione degli ostaggi, non solidarizzino con l’opposizione israeliana a Netanyahu.
Io, che mi ostino a non disperare che si possa fare unità tra le nostre opposizioni in vista di un’alternativa, sarei in difficoltà se pensassi che tra partner ci si spingesse a questo limite di sfiducia e di pregiudizio. Magari nel timore che in piazza ci sia - non è da escludere - qualche idiota o provocatore. Una manifestazione è una manifestazione.
Per definizione essa ha un obiettivo preciso, limitato, urgente: fermare la mattanza a Gaza. Il resto è a seguire. Non si richiede a una manifestazione di scrivere un piano o un trattato di politica estera. David Grossman ha osservato che l’orrore del 7 ottobre non ci esonera dal condannare senza esitazione l’abominio cui stiamo assistendo.
Certo che, nella sequenza dei fatti, all’origine sta la mattanza di Hamas, ma non per questo tutto ciò che è seguito - comunque lo si definisca, la “cosa” conta più del “nome” - era necessario è giustificato. Non si possono cancellare altre, precise responsabilità. Attive e omissive.
Tornando a noi, difficile sottrarsi all’impressione dell’abituale cedimento all’istinto di marcare distinzioni politiciste da parte dei cultori di una terzietà artificiosamente ricercata. Difficile condividere la pietosa bugia della minoranza Pd secondo la quale due iniziative sono meglio di una.
No, più semplicemente alimentano confusione e indeboliscono il messaggio. Difficile seguire il ragionamento di chi sostiene che vi sarebbe uno specifico modo “riformista” (?) di manifestare contro lo sterminio di Gaza.
Difficile, infine, non osservare che la divaricazione fornisce materia alla destra e ai suoi media per denunciare l’inadeguatezza delle opposizioni a proporsi quale alternativa di governo. Ma soprattutto imbarazzante e avvilente che le forze democratiche, che semmai dovrebbero andare oltre le opposizioni, si dividano su una tragedia di tale portata che pesa e peserà a lungo sulla coscienza dell’umanità. Nel mentre, ogni giorno e ogni ora, si consumano eccidi di massa prodotti da bombe e carestia scientificamente deliberata e gestita.
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