Il vertice in Alaska: Trump vuole un trofeo Maga, Putin staccare l’Ue dagli Usa

Donald Trump ha avvertito che «c’è un 25 per cento di probabilità di fallimento del summit con Vladimir Putin» che si tiene oggi in Alaska. Se si considera che in Scozia, a trattare con Ursula von der Leyen di commercio, aveva dato a un accordo «il 50 per cento» – dunque il 50 di fallimento – si noterà che il tycoon attribuisce più chance di riuscita al rapporto con Mosca. La postura di Trump – anche in Alaska – è opposta rispetto a quella del predecessore democratico Biden: lui, il presidente attuale, non pone questioni di sistema valoriale, ma afferma semmai il principio che le relazioni internazionali si basino su rapporti personali fra strongmen, tra uomini forti. E ribadirlo è di per sé uno degli obiettivi dell’appuntamento ad Anchorage. Marte al tavolo Fra Putin e Trump vi è più intesa che fra Washington e Bruxelles, ovvero fra “Marte” e “Venere” (come definì Stati Uniti ed Europa il neocon Robert Kagan). Questo meeting serve ad accelerare ancora in direzione di un mondo centrato sulla politica di potenza, che ha come corollario l’abbandono di un sistema multilaterale di gestione dei conflitti e delle relazioni internazionali. Marte interloquisce con Marte: gli attori che possono partecipare al tavolo della grandi scelte strategiche sono quelli che hanno qualcosa da mettere sul piatto (soldi, materie prime, forza militare, capacità tecnologiche). Vedere Putin di persona è di per sé un corollario della filosofia politica degli uomini forti; ci ricorda, appunto, che le relazioni internazionali sono entrate in una nuova era, definitivamente post-novecentesca. E ci sono entrare per volontà di Trump, il quale nel frattempo, continua le sue esercitazioni da autocrate a Washington, schierando forze federali, con l’ipotesi di rendere questo esperimento sistema. Trump minaccia Putin. «Gravi conseguenze se non accetta la pace» Politica di adattamento La dottrina “America First” è una politica di adattamento degli Stati Uniti al loro declino relativo. Smantellando il sistema di governo globale e multilaterale del mondo – esso stesso un prodotto americano, ma di un’altra fase storica (quella dell’espansione post-guerra fredda) – gli Usa si attrezzano a una fase nella quale intendono rallentare, in modo aggressivo, l'avanzata della potenza cinese. Per Washington non è chiaro quale sia la strada da percorrere in questo senso nel lungo periodo – è vero che oggi non è tempo di dettagli e raffinatezze, dalla parti della Casa Bianca – ma è chiaro che l’interlocuzione con Mosca sia da intendersi come una chance per allentare la presa di Pechino sul suo vicino. L’effetto secondario è quello di tenere sotto scacco l’alleato europeo: l’Europa è remissiva, senza mezzi militari adeguati, divisa, impotente dal punto di vista istituzionale, lontana dal primato tecnologico di Cina e Stati Uniti. Colpire la colonia europea quando è debole, per renderla ancora più remissiva nei confronti di Washington: è un must delle tattiche trumpiane. Il nuovo ordine d’Alaska non durerà senza l’Europa Contro l’Europa Accreditare Putin sulla scena globale è oggi una politica anti-europea. Da noi vogliono soldi e silenzio: i soldi per alimentare il debito americano - sempre più insostenibile, il vero convitato di pietra di questa fase globale - e silenzio sulle scelte strategiche globali. L’assertività dell’amministrazione Trump ha una logica, anche se caotica e potenzialmente controproducente: l’Europa la subisce, mentre la Cina le tiene testa (pensiamo alle differenze di postura fra Pechino e Bruxelles nella trattativa sui dazi: la Cina ha avuto la forza di reagire, e sta ancora trattando). Non sappiamo se il risultato finale sarà un’accelerazione del declino americano o il suo contrario, ma l’evoluzione della crisi Ucraina ci darà senz’altro una misura delle relazioni fra potenze. Trump e Putin, i due autocrati decidono per noi. All’Ue resta la videoconferenza Incantare i Maga E poi c’è il fronte interno. Nessuno poteva davvero credere che la guerra terminasse in 24 ore: nessun Maga biasimerà Trump per non aver posto fine alla guerra in un tempo brevissimo. Sulla percezione da parte dei supporter Maga riguardo a quanto fa e dice il presidente, vi è una grande difficoltà dei media – pure americani – nel comprendere che la misura della popolarità del tycoon non ha nulla a che fare con il fact checking: il racconto magico di Trump si basa su seduzione e incantamento. L’incantamento può finire da un momento all’altro, per i motivi più diversi: si può intravedere qualche crepa nel mondo trumpiano, specialmente nella politica estera; ma il racconto Maga è tanto semplice quanto efficace, almeno per ora. Trump si è intestato qualsiasi evento positivo accaduto sulla scena internazionale, dalla pace fra Congo e Ruanda a quella fra Armenia e Azerbaigian. Non importa quanto sia vero e decisivo il suo intervento, Trump è il piazzista di sé stesso: non a caso giovedì sera, alla vigilia d’Alaska, si è piazzato davanti alle telecamere della Casa Bianca per rivendicare presunti successi interni e fare promesse sulla sicurezza sociale che in realtà il suo «Big Beautiful Bill» prontamente smentisce nei fatti. Verso il vertice Trump-Putin: nel bagaglio per l’Alaska due ego e molte ambizioni Finché si resta attaccati alla tv a comprare le pentole trumpiane – un po’ come ai tempi d’oro di Vanna Marchi e del Mago do Nascimiento – si accetterà il suo racconto: sarà merito suo se finirà il conflitto in Ucraina, colpa degli altri se non sarà così. Di certo, il sogno di Trump è sempre quello di poter vantare un successo politico/mediatico. Una foto da appendere nella sua galleria personale che ricordi quella di Clinton, Arafat e Rabin nel 1993: anche quella foto doveva sancire la nascita di un nuovo ordine internazionale.