Ogni settimo giorno del mese assume un peso simbolico per Israele, nel ricordo di quanto è successo a ottobre. Ma a sei mesi dall’inizio della guerra e alla vigilia di una possibile tregua per la fine del Ramadan, c’è stato un altro passaggio denso di significati: il ritiro della gran parte delle truppe nel sud della Striscia di Gaza. Come riportato dai media israeliani è rimasta soltanto una brigata in difesa del corridoio Netzarim, la strada che divide la parte settentrionale dell’enclave da quella meridionale.

Nella decisione potrebbero aver pesato le critiche degli Stati Uniti, dopo l’uccisione di sette operatori umanitari a Gaza. Secondo il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano, John Kirby, le truppe israeliane avrebbero necessità di riposarsi e questo sarebbe il vero motivo del ritiro.

Fonti militari israeliane, citate sempre dai media locali, hanno confermato che il ritiro coincide con l’ingresso nella terza fase della guerra con Hamas. Dopo quattro mesi di combattimenti a Khan Younis, l’esercito dovrebbe seguire una strategia diversa per questa zona, fatta «di raid mirati e limitati».

Significa però anche che le truppe potrebbero essere eventualmente indirizzate altrove: a Deir el-Balah, nel centro della Striscia. Oppure a Rafah, sul confine con l’Egitto, con un raid che è stato a lungo annunciato e altrettanto a lungo criticato, anche dagli alleati internazionali. In altre parole, come dicono le stesse fonti, ora saranno possibili «ulteriori opportunità operative e di intelligence». 

In un contesto in cui è sempre più alta la tensione con Theran dopo che, a inizio mese, Israele ha attaccato il consolato iraniano a Damasco, causando la morte di sette ufficiali, fra cui due generali.

L’Iran

Le ambasciate israeliane restano chiuse in tutto il mondo, Italia compresa, per questioni di sicurezza. Gli Stati Uniti si aspettano un attacco significativo dell’Iran entro la prossima settimana: è la «vendetta inevitabile», che è stata annunciata sabato da Mohammad Bagheri, capo di Stato maggiore delle forze armate iraniane.

Seyyed Yahya Safavi, un consigliere personale dello ayatollah, ha detto che le ambasciate di Israele «non sono più sicure». Le dichiarazioni sono state riportate dall’agenzia di stampa Tasnim, vicina ai pasdaran, accompagnate da generiche accuse a Stati Uniti e paesi arabi «rimasti in silenzio».

«Per anni l’Iran ha agito contro di noi: è per questo che Israele agisce contro l’Iran e i suoi alleati, sia in modo difensivo sia offensivo», ha detto il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, parlando al consiglio dei ministri, in occasione dell’anniversario dell’inizio della guerra. 

«Dal 7 ottobre siamo stati attaccati su molti fronti dagli affiliati dell’Iran: Hamas, Hezbollah, gli Houthi, le milizie in Iraq e Siria», ha detto. «Sapremo come difenderci e agiremo secondo un principio semplice: chiunque ci faccia del male o abbia intenzione di farci del male, noi gli faremo del male».

Le trattative

Intanto continuano le trattative per arrivare a una tregua. Il quotidiano del Qatar Al-Arabi Al-Jadid, ripreso dai media israeliani, ha riferito da fonti egiziane di un possibile cessate il fuoco temporaneo a Gaza per tre giorni, durante la festa di Eid al-Fitr che martedì sera chiuderà il Ramadan.

Il capo della Cia, Bill Burns, ha raggiunto il Cairo per incontrare il capo del Mossad israeliano, David Barnea, insieme a funzionari egiziani, delegati di Israele e Hamas, e il ministro degli Esteri del Qatar. Burns nel frattempo ha incontrato il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah Al Sisi. In un comunicato diffuso dall’ufficio di presidenza, è stato confermato l’impegno congiunto di Egitto, Stati Uniti e Qatar per il cessate il fuoco e per fornire un’assistenza umanitaria alla popolazione nella Striscia di Gaza. 

Il Gabinetto di guerra ha conferito «un mandato significativo» alla squadra negoziale israeliana, secondo una fonte locale, citata dai media. Insieme al capo del Mossad, dovrebbe esserci quello dello Shin Bet, Ronen Bar, e il generale Nitzan Alon, responsabile dell’intelligence per la liberazione degli ostaggi.

Posizioni distanti

Ma Netanyahu ha ribadito, ancora una volta, le condizioni per la pace: «Non ci sarà un cessate il fuoco se non saranno liberati gli ostaggi», ha detto. «Hamas spera di beneficiare delle pressioni internazionali per ottenere vantaggi, ma questo non accadrà». Israele è «disponibile» per trovare un accordo, ma non alle condizioni date dalla controparte.

«Arrendersi alle richieste di Hamas gli permetterebbe di provare a replicare i crimini del 7 ottobre, come aveva promesso di fare», ha detto Netanyahu.

Dall’altra parte, anche Hamas non sembra disposta a fare passi indietro. In una nota, con la quale ha confermato la presenza della sua delegazione, ha detto che le condizioni restano le stesse di metà marzo: la fine delle operazioni di Israele a Gaza e il ritiro completo dei militari israeliani dalla Striscia; il ritorno degli sfollati alle proprie case, specialmente nella parte settentrionale di Gaza; un’ampia consegna di aiuti in tutta la Striscia, la cui ricostruzione deve iniziare immediatamente; un processo per lo scambio di ostaggi e prigionieri palestinesi.

Il ricordo

Domenica è stato anche l’anniversario della morte di Alessandro Parini, il giovane avvocato romano ucciso sul lungomare di Tel Aviv, quando un’auto era piombata sulla folla. L'ambasciatore in Israele, Sergio Barbanti, ha fatto visita al memoriale delle vittime del terrorismo di Tel Aviv.

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