Un cognome importante in politica può aprire molte porte. E anche negli Stati Uniti far parte di una dinastia è la chiave di accesso al potere. Non solo per quanto riguarda dinastie presidenziali come gli Adams, i Roosevelt e i Bush, ma anche di politici nazionali come i Romney.

O i Cheney, a cui appartiene Liz Cheney, allontanata il 12 maggio dalla leadership repubblicana della Camera per le sue costanti critiche verso gli altri dirigenti per quanto riguarda la sudditanza nei confronti dell’ex presidente, Donald Trump, e l’indulgenza con cui le sue teorie infondate sulle elezioni rubate vengono trattate, sostituita dalla neotrumpiana Elise Stefanik, convertita sulla via di Mar-a-Lago da un’eccezionale ondata di donazioni dopo la sua spericolata difesa di Trump ai tempi del primo impeachment.

Sembrerebbe, a un’analisi disattenta, che Liz Cheney sia una nota critica delle politiche proposte dall’ex presidente nel suo quadriennio. Invece così non è: l’unica rappresentante del Wyoming è sempre stata un voto affidabile.

Nei primi due anni di presidenza il suo allineamento con la Casa Bianca ha toccato il 95,8 per cento. Quindi chi è veramente Liz Cheney? E qual è la sua strategia per superare questa fase in cui è il bersaglio numero uno della cerchia trumpista?

Ritorno da Washington

Per capirlo bisogna allontanarsi da Washington e andare in Wyoming, facendo lo stesso percorso fatto dalla figlia del potente vicepresidente Dick Cheney nell’autunno 2012, dopo una promettente carriera prima nel dipartimento di Stato con la delega sul medio oriente negli anni della presidenza di George W. Bush, dove ha sponsorizzato le politiche di “regime change”, in particolar modo nei confronti dell’Iran. Senza successo.

Nei primi anni della presidenza di Barack Obama, sembrava essersi accontentato di un posto da commentatrice di Fox News. Senza troppi sforzi. Fino a che decise di tornare in Wyoming, vicino a Jackson Hole, lussuosa località sciistica.

E da lì prepararsi a sfidare l’anziano senatore repubblicano Mike Enzi, tanto da attirarsi le accuse di essere una candidata paracadutata, che non risiedeva più in Wyoming sin dagli anni in cui era bambina.

Ma lei non si perse d’animo, anche se durante la campagna per le primarie fece gaffe notevoli: come mostrarsi a un evento con dei jeans così nuovi tanto da tingere le mani di blu o di scrivere su Facebook da McLean, Virginia, sobborgo residenziale di Washington.

Enzi vinse comodamente, nonostante la candidata giurò opposizione ostruzionistica dura al presidente Obama, una mossa per lei “patriottica” così come la difesa del possesso personale di armi. Ma soprattutto, qualcosa che le provocò problemi in famiglia.

Matrimonio gay

Accusata da Enzi di avere valori “liberal” come la difesa del matrimonio gay, lei si disse esplicitamente contraria. E pazienza se la sorella Mary si era sposata nel 2012 con Heather Poe. Il divario che si creò tra le due sorelle fu irreparabile e non si sa se è stato sanato.

Due anni dopo finalmente l’elezione alla Camera, dopo essere stata esaltata da un’icona del conservatorismo pretrumpiano come la star radiofonica Rush Limbaugh che la definì «il più bel contributo alla politica del vicepresidente Dick Cheney».

Ma si costruì anche una solida base nello stato, come spiega il professore James King, docente di scienze politiche all’università del Wyoming: «A differenza di altri rampolli, come il figlio dell’ex senatore Alan Simpson, Colin, che pur essendo diventato lo speaker della Camera statale non riuscì ad andare oltre al quarto posto alle primarie per la carica di governatore prima di tornare a fare l’avvocato».

La base di Cheney non è stata creata soltanto basandosi sui legami col potente ex vicepresidente e con la presenza fissa agli eventi politici del partito repubblicano all’interno del piccolo stato. Ma anche forgiando alleanze con gli esponenti delle categorie economiche maggiori del Wyoming, che sono gli allevatori e l’industria mineraria.

Basta sfogliare i comunicati stampa emanati dal suo ufficio per capire quanto ci tenga: il 30 marzo ha fatto un tour delle miniere dello stato insieme a Bruce Westerman, il rappresentante repubblicano di minoranza nella commissione risorse naturali della Camera, per attaccare il Jobs Plan del presidente Joe Biden che con la transizione energetica darebbe un colpo mortale ai produttori di carbone.

Vacche e carbone

Il Wyoming è il più grande estrattore di carbone e il governatore Mark Gordon ha appena creato un fondo da 1,2 milioni di dollari per fare causa agli stati della West Coast che rifiutano di importare carbone, una mossa molto azzardata e con scarso fondamento che però ha trovato l’appoggio della deputata dello stato, fautrice di un maggior uso del carbone “pulito” e scettica riguardo all’impatto umano sul cambiamento climatico.

Anche per gli allevatori di bovini c’è un problema analogo e infatti il 22 marzo ha introdotto alla Camera un disegno di legge per trovare nuovi mercati per la carne del Wyoming, che negli ultimi anni non viene più consumata con l’intensità di un tempo, sempre per i problemi legati alla salute sia all’impatto ambientale.

Nonostante questo, la sua lealtà all’ex presidente Trump è stata messa in discussione per un motivo soltanto: per aver rifiutato con decisione di seguire la narrativa che vorrebbe le elezioni “rubate” dai democratici. «Sono una repubblicana conservatrice e proprio per questo la rule of law per me è la cosa più importante», ha dichiarato alla Camera.

Già lo scorso febbraio la sua posizione come numero tre alla Camera era stata messa ai voti, ma era sopravvissuta, anche grazie all’appoggio del leader repubblicano al Senato Mitch McConnell. Fino al 12 maggio, quando è stata cacciata con un voto a voce, senza verbalizzare. In fretta e furia, tanto che si è parlato di “purga trumpiana”.

Ma secondo il professor King, non bisogna darla per sconfitta: «In Wyoming questa disputa viene vista come lontana. Cheney è ancora popolare. Non ha spostato molto nemmeno il tour del deputato trumpiano Matt Gaetz a febbraio».

I suoi sfidanti alle primarie sono quattro, ma nessuno di loro ha una particolare spinta: secondo i dati di aprile, Cheney ha raccolto la cifra record di un milione e 540mila euro, più che negli anni precedenti. «I sondaggi che la danno in svantaggio sono fatti sull’onda dell’emozione e della popolarità di Trump, potrebbero sopravvalutare i suoi sfidanti», spiega King.

La chiave per capire la strategia di Cheneyè l’esempio di un altro repubblicano, John Boehner: «Nel 1999 venne rimpiazzato da Newt Gingrich, ma nel 2011 riuscì a conquistare il martelletto di speaker». E di questa divisione non potrebbero avvantaggiarsi i democratici? King lo esclude: «Nello stato sono quasi inesistenti, confinati nelle due piccole aree urbane di Jackson Hole e Cheyenne. Saranno le primarie a decidere il suo destino».

E se le premesse sono quelle che le hanno fatto guadagnare una cifra record di piccole donazioni, vuol dire che Cheney ha molte frecce al suo arco per riconquistare in futuro l’anima del Partito repubblicano che un tempo suo padre Dick aveva avuto in pugno.

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