Mediare e negoziare. Questo pare il motto del presidente cinese Xi Jinping che, nel corso della sua ultima visita a Mosca, la prima dalla fine del lockdown in Cina, in un faccia a faccia, avrebbe ammonito il presidente russo Vladimir Putin contro un attacco nucleare in Ucraina.

Lo riporta il Financial Times, aggiungendo che «i funzionari cinesi si prendono privatamente il merito di aver convinto il leader russo a fare marcia indietro rispetto alle velate minacce atomiche». Vanterie senza fondamento? Ovviamente il Cremlino, in difficoltà dopo la rivolta fallita di Prigožin, ha smentito la notizia.

Xi, che fornisce alla Russia prodotti duali come semiconduttori e droni a uso sia civile che militare, sa che non deve superare la linea rossa della fornitura diretta di armi. Ed è questo il punto: l'invasione dell'Ucraina ha messo Mosca e l'alleato Pechino in contrasto con l’Europa e gli Usa. Inoltre ha spinto Finlandia (già accettata) e Svezia (bloccata dal veto di Erdogan) a chiedere di entrare nella Nato per poter avere la protezione dell’ombrello atomico americano.

Le ragioni geopolitiche  

La rivelazione del quotidiano della City è avvenuta alla vigilia dell’arrivo della segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, che oggi sarà a Pechino. Si tratta della seconda visita di alto livello dopo quella del segretario di Stato, Antony Blinken. Yellen sta cercando di mantenere aperti i canali di comunicazione con la Cina. Secondo l’Economist se «la Cina vuole sfidare la leadership globale americana deve essere più amichevole con i suoi vicini».

Pechino vuole avere una particolare attenzione all’Europa che, dopo aver messo nel cassetto il piano di liberalizzazione degli investimenti cinesi nella Ue, approvato sotto la regia della ex cancelliera tedesca Angela Merkel poco prima dell’insediamento di Biden, ora sta sanzionando la Cina sui semiconduttori e delocalizzando gradualmente dal paese in asse con gli Usa.

Ma la guerra in corso (e un ipotetico attacco nucleare russo all’Ucraina) minacciano di far fallire gli sforzi cinesi di mantenere aperti i mercati occidentali. «Il problema più grande della Russia non è che sta perdendo la guerra in Ucraina, ma piuttosto che sta perdendo il XXI secolo», ha scritto il giornalista Fareed Zakaria sul Washington Post.

Pechino inoltre sta premendo sul governo iraniano affinché firmi l’accordo sul nucleare come riferisce l’agenzia cinese Xinhua secondo cui l'Iran ha detto lunedì che le altre parti che hanno partecipato ai recenti colloqui per rilanciare l'accordo nucleare del 2015, hanno mostrato «tracce di realismo». Un segnale importante.

Le regioni economiche

Poi ci sono le ragioni economiche che spingono Pechino a fare pressioni su Putin e sugli ayatollah iraniani sul nucleare. Pechino vuole esportare e non può permettersi di perdere i legami con l’occidente in una fase in cui i consumi interni non decollano.

Chiara Silvestre, economista, e Marco Valli, Global Head of Research di Unicredit, sono molto cauti sulla Cina e prevedono «una crescita del del 5,4 per cento nel 2023 e del 4,3 per cento nel 2024. I consumi privati ​​continueranno a beneficiare del progressivo calo dei risparmi accumulati durante la pandemia, ma l'elevato tasso di disoccupazione giovanile pone un notevole rischio al ribasso per una ripresa guidata dal terziario. La PBoC probabilmente continuerà a tagliare i tassi a breve termine. Vediamo il cambio USD-CNY spostarsi a 7,00 entro la fine del 2023».

Ma c’è di più. «Il continuo deterioramento del clima internazionale e la difficoltà di rispettare nuove normative sia interne alla Cina (protezione dati) sia estere (normativa in materia di lavoro forzato o di sostenibilità ambientale) – scrive Silvia Guizzo, senior economist di Intesa Sanpaolo –  stanno progressivamente spingendo le imprese a spostare l’attenzione dall’efficienza della catena di fornitura alla sua resilienza (passando da un approccio just in time a uno just in case) e a valutare una riorganizzazione della produzione».

E poi conclude: «Secondo la strategia “China Plus One”, alcune imprese starebbero valutando di diversificare le catene di fornitura mantenendone alcune in Cina per la Cina, continuando così a essere presenti nel paese, e altre al di fuori, a servizio di altri mercati». Ed proprio questo l’incubo di Xi, la partenza degli investimenti occidentali. Per questo che sta spingendo Putin e gli ayatollah al tavolo delle trattative.

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