«La globalizzazione economica è il trend dei tempi. Sebbene in un fiume possano esserci correnti contrarie, nessuna può impedirgli di andare verso il mare». Così il presidente cinese, Xi Jinping, aprendo il World Economic Forum 2022, che si svolge anche quest’anno in modalità virtuale e non nella cittadina svizzera dei Grigioni di Davos a causa della pandemia, dopo una calorosa introduzione del presidente e fondatore del Wef, Klaus Schwab, auspica l’integrazione economica, invece della separazione nella consapevolezza che «diversi paesi e civiltà possono prosperare insieme nel rispetto reciproco, cercando un terreno comune e superando le divergenze».

Nel 2017 proprio a Davos Xi Jinping, in uno storico discorso tra le alpi grigionesi, si fece alfiere del libero mercato e della globalizzazione dei mercati mentre il presidente americano, Donald Trump, non partecipava all’evento e da lontano brandiva lo slogan «America first» e la fine del multilateralismo nei rapporti internazionali. L’anno dopo Trump cercò di ricucire lo strappo con il ghota della finanza internazionale, ma senza molto successo.

Messaggi all’occidente

Oggi Xi Jinping, dallo stesso luogo virtuale tra le montagne svizzere che ormai è diventato il “suo” forum privilegiato da dove inviare messaggi all’occidente, così come Vladimir Putin ha eletto il summit sulla sicurezza di Monaco di Baviera come meeting preferito di Mosca, ha ribadito che la «guerra fredda» di cui molti parlano tra Cina e Usa non è la soluzione e ha sostenuto un invito al multilateralismo cui tutti i paesi, ha detto, «devono aderire» uniti sull’importanza di «smantellare i muri senza costruirne di nuovi, aprirsi senza isolarsi e promuovere la costruzione di un’economia mondiale aperta».

La comunità internazionale «dovrebbe privilegiare il dialogo allo scontro, l’inclusività all’esclusione e contrastare tutte le forme di unilateralismo, protezionismo, egemonia o politica di potere».

Propaganda di maniera del successore del “grande timoniere”? Forse ma il presidente cinese Xi è in evidenti difficoltà: deve affrontare un’economia in frenata (nel quarto trimestre il Pil cinese è cresciuto anno su anno di solo il 4 per cento) per un 8,1 per cento complessivo nel 2021, rispetto a un 5 per cento di obiettivo di crescita ufficiale di quest’anno.

I problemi economici

Inoltre il settore immobiliare cinese, che vale circa il doppio di quello americano, è in ripiegamento da almeno sei mesi mentre dal 6 dicembre scorso la società Evergrande, che ha debiti pari al 2 per cento del Pil cinese, è a tutti gli effetti in default anche a causa di una maggiore severità dei criteri nel concedere crediti al settore.

In sostanza le restrizioni del Covid e i problemi immobiliari hanno colpito la domanda interna del dragone al punto che la banca centrale cinese ha tagliato il tasso sui prestiti.

Senza contare che il debito totale cinese ha toccato quota 289 per cento del Pil nel 2020 secondo stime rese note della Bri di Basilea, la banca delle banche centrali. Inoltre secondo l’Ufficio statistico cinese, malgrado la crescita registrata nel 2021, l’economia cinese ha «di fronte una triplice pressione derivante dalla contrazione della domanda, dallo shock dell’offerta e dalle aspettative sulla congiuntura dei mesi a venire che sono più deboli del previsto».

Nel mese di dicembre, la produzione industriale è cresciuta del 4,3 per cento rispetto all’anno precedente, e dello 0,42 per cento rispetto a novembre. A dicembre le vendite al dettaglio hanno messo a segno un fiacco aumento dell’1,7 per cento su base tendenziale. Nel 2021 le vendite sono aumentate del 12,5 per cento.

Per questi motivi il presidente cinese Xi Jinping ha invitato da Davos le nazioni a proteggere le catene di approvvigionamento globali e a prevenire shock inflazionistici, poiché il leader della seconda economia al mondo sta cercando un percorso idoneo per conquistare un terzo mandato al potere che sfida i record precedenti.

Va inoltre sottolineato che non è mancato, nell’intervento di Xi alla Davos agenda, un cauto ma fermo richiamo agli Stati Uniti di Joe Biden quando ha sottolineato l’opposizione della Cina all’egemonismo e alla politica di forza e ha messo in guardia contro le conseguenze di un confronto fra le grandi potenze globali: «La storia ha dimostrato più volte che il confronto fra le potenze non risolve i problemi, ma porta solo verso conseguenze catastrofiche». L’Europa teme che se la Cina rallenta potrebbe risentirne anche l’industria del lusso europea molto esposta nel mercato dei ricchi cinesi.  

La sfida di Modi alla Cina

Nel pomeriggio della prima giornata del Wef la parola è passata al primo ministro indiano, Narendra Modi, lo sfidante della Cina in Asia, secondo cui “«L’India firmerà accordi di libero scambio con diversi paesi». Non solo. In India, il 40 per cento dell’energia dovrà essere prodotta da fonti rinnovabili, ha proseguito il primo ministro indiano. Il paese è impegnata per avere uno sviluppo «favorevole al pianeta». E «questo è il miglior momento per investire in India».

«Il nostro paese sta investendo 1,3 miliardi di dollari nelle infrastrutture digitali», ha sottolineato il premier indiano in un evidente tentativo di contrapporsi al gigante cinese. Infine Modi ha ricordato che «l’India ha dato speranza al mondo nella lotta al Covid con la sua tecnologia, i suoi talenti, i farmaci e con le sue strutture sanitarie». Che la corsa della globalizzazione non sia finita è parere condiviso da Modi con l’unica differenza dal presidente cinese che la fiaccola di questa nuova maratona debba passare a Nuova Delhi.

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