Martedì 7 settembre, Mario Draghi ha telefonato a Xi Jinping, del quale cercava l’appoggio per la convocazione a fine ottobre di un vertice straordinario sull’Afghanistan del G20, di cui quest’anno l’Italia è presidente di turno. Allo stringato resoconto di Palazzo Chigi, fa da contraltare quello, più esplicito, dell’agenzia Xinhua, secondo il quale il presidente cinese ha dato il suo ok, ma ha chiesto al presidente del Consiglio un «forte sostegno reciproco» per le Olimpiadi invernali di Pechino 2022 e Cortina 2026. Xi ha aggiunto che Italia e Cina «dovrebbero approfondire e rafforzare la cooperazione in diversi ambiti, con l’obiettivo di costruire assieme la nuova via della Seta» e ha espresso l’auspicio che «l’Italia possa giocare un ruolo attivo nel promuovere un sano e stabile sviluppo delle relazioni Cina-Unione europea».

Perché è importante

Il contesto

  • La pandemia di Sars-Cov-2 ha nuociuto all’immagine internazionale della Cina. Per Xi Jinping – a cui fu affidata dal Partito comunista la supervisione dell’organizzazione delle Olimpiadi di Pechino 2008 – è importante che quelle invernali in programma dal 4 al 20 febbraio 2022 siano un successo, che segni un punto in favore del debole softpower cinese. Scongiurare qualsiasi clamoroso boicottaggio dei Giochi, così come enfatizzare la minaccia terroristica dei miliziani uiguri presenti in Afghanistan risponde al tentativo del Partito di uscire dalla “impasse” nella quale si è ficcato con la campagna “anti-terrorismo” che ha portato a internamenti di massa nel Xinjiang.

Il piano quinquennale per il lavoro “di qualità”

Il Consiglio di stato (il governo di Pechino) ha varato un piano quinquennale per sostenere l’occupazione, con l’obiettivo di creare 55 milioni di posti di lavoro nelle città cinesi tra il 2021 e il 2025. Il documento sottolinea che il sistema educativo non riesce a produrre i professionisti qualificati richiesti dal mercato e ciò dà luogo a una «contrazione strutturale dell’occupazione». Per questo gli anni di istruzione obbligatoria verranno aumentati dall’attuale media di 10,8 a 11,3. Nell’ultimo anno accademico si sono laureati 9,09 milioni di cinesi. Ciononostante le aziende manifatturiere hanno difficoltà a trovare il personale qualificato di cui hanno bisogno. Il governo prevede di finanziare corsi di formazione per 75 milioni di persone: neolaureati, giovani residenti in città, lavoratori migranti, veterani, disoccupati e persone con disabilità. 

A woman works in a textile factory in Hai'an in eastern China's Jiangsu Province, Monday, July 27, 2020. China's manufacturing activity edged up in July and export orders strengthened despite weak U.S. and European demand, a survey showed Friday, in fresh signs the world's second-largest economy is gradually recovering from the coronavirus pandemic. (Chinatopix via AP)

Perché è importante

  • Con il piano “Made in China 2025” varato nel 2015, la Cina ha messo al centro del suo sviluppo futuro la nuova manifattura sul modello della Industria 4.0 tedesca e di simili modelli delle economie più avanzate. Tuttavia – come spiegato in questo articolo dal vice segretario generale della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (Ndrc), Gao Gao – diversi fattori avversi stanno rallentando il progetto, mentre il peso della manifattura sul Pil nazionale è in costante diminuzione: da oltre il 30 per cento di quattro anni fa al 27,7 per cento nel 2019. Nei prossimi anni la Cina dovrà aumentare la produttività, ammodernando la sua industria e formando i lavoratori, e i salari, per favorire i consumi.

Il contesto

  • L’economia cinese sta affrontando una difficile transizione da un modello fondato su export e investimenti infrastrutturali e immobiliari a uno trainato dalla domanda interna, per favorire il quale è essenziale l’innovazione tecnologica, per sfornare prodotti ad alto valore aggiunto che favoriscano anche l’aumento dei salari. Il reddito medio ancora relativamente basso – sono stati appena superati i 10mila dollari di Pil pro capite – contribuisce infatti a indurre le famiglie a risparmiare, imbrigliando la domanda interna.

Yuan di Lorenzo Riccardi

Investire nel Sichuan

Situata nel sudovest della Cina e rinomata come centro importante per il commercio e gli investimenti, la provincia dello Sichuan è un’area di riferimento nel settore agroalimentare e per l’industria ad alto contenuto tecnologico. Il Sichuan copre una superficie totale di 485mila km2 con una popolazione di oltre 83 milioni di abitanti. Chengdu è il capoluogo di provincia nonché una delle principali città della Cina occidentale.

In termini di prodotto interno lordo, il Sichuan è classificato sesto tra le divisioni amministrative della Cina, raggiungendo 704 miliardi di dollari nel 2020 e i 670 miliardi di dollari nel 2019 con un Pil pro capite pari a 8.400 dollari, che la posizionano come sedicesima tra le 31 province della Cina continentale. Il Sichuan ha registrato una crescita del Pil pari a +7,5 per cento nel 2019 e +3,8 per cento nel 2020. Il suo prodotto interno lordo è pari a quello della Polonia e il totale del volume di export nel 2020 è stato pari a 67 miliardi di dollari con circa 50 miliardi di dollari di import.

Secondo Wang Xin, direttore dell'agenzia per gli investimenti Sichuan-Italia «la provincia dello Sichuan è il centro economico, finanziario e logistico della Cina occidentale; mentre le aree orientali del paese sono state il principale traino dell’economia nazionale in passato, la Cina occidentale potrà diventare il motore economico nel prossimo decennio».

I principali centri economici, in ordine di Pil, sono: Chengdu (257 miliardi di dollari), Mianyang (44 miliardi di dollari), Yibin (41 miliardi di dollari), Deyang (35 miliardi di dollari), Nanchong (35 miliardi di dollari). La provincia ha tre aeroporti: Chengdu-Shuangliu, Mianyang-Nanjiao, e Yibin-Wulangye e appartiene alla regione del sudovest che include la municipalità di Chongqing, e le province Sichuan, Yunnan, Guizhou e Tibet.

I principali settori del Sichuan sono: automotive, logistica, ed elettronica e la provincia è nota per la ricchezza culturale, con cinque siti patrimonio mondiale dell’Unesco: il parco di Huanglong e la valle di Jiuzhaigou, il Monte Emei, i santuari dei panda giganti e il Monte Qingcheng.

Gli Usa accusano la Cina per la strage da Fentanyl

Un rapporto della Us-China economic and security review commission (Uscc) accusa la Cina di non aver rispettato l’impegno di fermare il traffico verso gli Stati Uniti di Fentanyl, un potente oppioide sintetico. La cooperazione tra Stati Uniti e Cina resta limitata e quest’ultima «rimane il primo paese di origine del traffico verso gli Stati Uniti di Fentanyl e di sostanze a esso collegate», si legge nel documento della Uscc, secondo cui la Cina esporta le materie prime in Messico, dove i cartelli della droga fabbricano il Fentanyl e lo introducono oltre frontiera. L’ambasciata della repubblica popolare cinese a Washington ha respinto le accuse, sostenendo che «alcuni politici e media statunitensi promuovono disinformazione affermando che “il Fentanyl americano arriva principalmente dalla Cina”».

Perché è importante

  • Come racconta questo articolo del New York Times, il Fentanyl – che viene utilizzato dai tossicodipendenti da solo o mescolato a eroina o cocaina – sta causando una strage negli Stati Uniti. Il 2020 – probabilmente anche per l’isolamento a cui la popolazione è stata costretta dalla pandemia – negli Usa è stato un anno record per le morti da overdose: 93mila, il 30 per cento in più rispetto al 2019 e per la maggior parte causate dal Fentanyl. Il governo di Pechino ha aggiunto tutti i componenti del Fentanyl alla lista delle sostanze sottoposte a rigidi controlli, per cercare di fermare i trafficanti. Negli Stati Uniti il Fentanyl è classificato come “schedule II”, ed è quindi prescrivibile dai medici, come antidolorifico.

Il contesto

  • Nel 2018 il Fentanyl era stata una delle poche questioni sulle quali l’amministrazione Trump e la Cina avevano collaborato. Nelle scorse settimane il presidente Biden ha assicurato che manterrà aperto il dialogo. Tuttavia il rapporto della Uscc e la risposta dell’Ambasciata cinese a Washington evidenziano che il complesso delle relazioni Pechino-Washington resta prigioniero della rivalità strategica tra la seconda e la prima economia del pianeta.

Questa settimana vi suggeriamo tre articoli sull’11 settembre visto dalla Cina, a 20 anni di distanza dagli attentati di Al Qaeda a New York e Washington:

9/11, 20 years later: did the tragedy give US-China relations a respite?;

Back to where it was 20 years ago, will US go through Afghan nightmare all over again?;

US 'strategic' withdrawal is a fiasco.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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