Xi Jinping ha celebrato questa mattina i 25 anni dello handover di Hong Kong – il passaggio, nel 1997, dagli ex coloni britannici alla Repubblica popolare cinese – e partecipato all’insediamento del nuovo capo del governo locale, John Lee Ka-chiu, pronunciando un discorso di 22 minuti che ci fa capire come la “sua” Cina sia determinata a procedere lungo il percorso del “socialismo con caratteristiche cinesi”, incurante delle sanzioni e delle critiche degli Stati Uniti e dell’Europa.

Il presidente più potente

Il presidente cinese più potente di sempre è partito dalle guerre dell’oppio (1839-1842 e 1856-1860): è a causa di quei conflitti imperialisti - ha ricordato - che Hong Kong fu ceduta al Regno unito, ed è stato il Partito comunista cinese a permettere che il Porto profumato tornasse alla madrepatria.

Nel momento in cui anche in Cina la situazione economica si fa più difficile, i giovani hanno sempre più difficoltà a trovare un impiego all’altezza delle loro aspettative, e aumenta l’ostilità dell’occidente nei confronti della Cina Xi si gioca la carta del nazionalismo, che si sta trasformando nel collante principale tra il partito e il popolo.

Mentre Xi pronunciava la sua orazione, il premier britannico, Boris Johnson, prometteva che «non abbandoneremo Hong Kong» e il segretario di stato Usa, Antony Blinken, denunciava una «erosione di autonomia» nella città: “sogni coloniali” e “interferenze anti-cinesi” secondo l’editoriale del Global Times.

I valori mainstream

Allo spirito di patria Xi ha fatto riferimento anche quando ha chiesto al popolo di «aderire ai valori mainstream» che assecondano lo sviluppo nazionale, incluso il patriottismo. Hong Kong secondo il segretario generale del Partito comunista cinese deve «aiutare i giovani a risolvere i loro problemi», ma «non potrà più esserci il caos» della rivolta del 2019, e Pechino «respingerà con la massima fermezza ogni interferenza e sabotaggio da parte di forze straniere».

È una metropoli “pacificata”, con un imponente spiegamento di forze di sicurezza nelle strade, in cui a regnare è l’ordine, quella in cui Xi, davanti a 1.300 delegati riuniti nel Convention and Exibition Centre, pronuncia il suo discorso. Un panorama che. contrasta in maniera stridente con i mesi di mobilitazione, cortei di massa e proteste giovanili per la democrazia e contro il governo centrale esplosi nell’estate di ormai tre anni fa.

Xi ha lodato i progressi economici fatti registrare dall’ex colonia nell’ultimo quarto di secolo, resi possibili dal sostegno del governo centrale e dall’applicazione di “Un paese, due sistemi”, che Deng Xiaoping - che morì il 19 febbraio 1997, senza poter vedere realizzato uno dei suoi capolavori politici - aveva lungamente negoziato con i britannici. Quel principio, inserito nella costituzione locale, stabilisce che «il sistema e le politiche socialiste non devono essere praticati nella Hksar e il precedente sistema capitalista e stile di vita rimarranno invariati» fino al 2047.

La libertà di espressione

Sun Dong, Xi Jinping e John Lee (Selim Chtayti/Pool Photo via AP)

Se tuttora il Porto profumato non è formalmente governato dal partito comunista, la libertà d’espressione è stata fortemente compressa dalla Legge sulla sicurezza nazionale del 2020 che punisce reati di “secessione, eversione, terrorismo e collusione con forze straniere” definiti in maniera piuttosto generica (58 le associazioni della società civile sciolte finora in base alle nuove norme), mentre la possibilità che l’opposizione conquisti il governo è stata cancellata dalla riforma elettorale dell’anno scorso.

Xi ha lodato il ruolo di Hong Kong da apripista per alcune importanti riforme sperimentate nel Porto profumato e in seguito applicate anche nella Cina continentale: «Ha svolto il ruolo di una finestra che collega la terraferma e il resto del mondo – ha detto Xi – e ha contribuito allo sviluppo della madrepatria».

Il nuovo capo del governo Lee ha sostenuto che i prossimi cinque anni (quelli del suo mandato) segneranno il passaggio «dalla stabilità alla prosperità». Da lui il presidente cinese si aspetta un miglioramento della governance locale che promuova anche l’identità nazionale, l’integrazione di Hong Kong all’interno dell’area della Grande baia, la risoluzione dei problemi sociali di Hong Kong, il mantenimento dell’armonia e della stabilità. Vasto programma. Anche se – va sottolineato – l’ex poliziotto che era l’unico candidato al ruolo di “Chief executive” (capo del governo locale) potrà contare su una maggioranza parlamentare più che bulgara: 89 rappresentanti pro establishment e uno solo di opposizione.

Xi ha indicato quattro punti fondamentali per il governo di Hong Kong: “Un paese, due sistemi” deve essere applicato in modo accorto e onnicomprensivo; assicurare l’integrazione della giurisdizione di Hong Kong con quella del governo centrale e l’alto grado di autonomia della città; solo i patrioti possono governare Hong Kong; devono essere conservati lo status unico e i vantaggi competitivi di Hong Kong.

L’anomalia

Se l’anomalia di una regione amministrativa speciale con un’opposizione politica combattiva (che in alcuni casi e da parte di alcune formazioni è stata violenta e indipendentista), una società civile vivace, ritrovo di dissidenti d’ogni sorta che si potevano esprimere liberamente non esiste più, Hong Kong può ora partecipare al “Grandioso risveglio della nazione cinese” promosso da Xi.

«Siamo convinti che nel nuovo cammino di realizzazione del secondo traguardo del centenario del nostro Paese, Hong Kong, con il forte sostegno della grande madrepatria e l’attuazione della politica di “Un paese, due sistemi”, raggiungerà sicuramente risultati ancora maggiori e condividerà , insieme ai connazionali della madrepatria, gloria del grandioso risveglio della nazione cinese».

© Riproduzione riservata