Bashar al Assad è sbarcato ad Hangzhou da un volo Air China, accompagnato dalla moglie Asma e da una delegazione di politici ed economisti. Nel capoluogo della provincia costiera dello Zhejiang il presidente siriano ieri ha incontrato Xi Jinping, assieme al quale oggi presenzierà alla cerimonia inaugurale dei XIX Giochi asiatici.

Non male per un paria della comunità internazionale che, grazie all’aiuto cinese, punta a uscire dall’isolamento al quale è stato condannato dopo la repressione delle proteste anti-governative del 2011 e la successiva guerra civile e per procura che ha causato circa 500mila morti, immani distruzioni e la perdita del controllo da parte del suo regime su un terzo del territorio nazionale.

A quasi vent’anni dalla prima visita di un leader di Damasco nella Repubblica popolare cinese (lui stesso, il 22 giugno 2004, fu ricevuto da Hu Jintao nella Grande sala del popolo), Assad si è ripresentato da capo di uno stato a pezzi, e col cappello in mano.

90 per cento di poveri

A differenza del tutore iraniano e dell’alleato russo, che durante il conflitto gli hanno fornito sostegno economico e militare, la Cina si è limitata a bloccare col suo veto per otto volte risoluzioni di condanna del regime siriano da parte delle Nazioni Unite.

Nel 2017, Pechino aveva promesso investimenti per 2 miliardi di dollari, rimasti sulla carta. L’anno scorso però la Siria ha aderito alla Belt and Road Initiative (Bri) e ora Assad ha bisogno di ossigeno finanziario per fronteggiare il riacutizzarsi delle proteste popolari.

«Oggi annunciamo insieme l’istituzione del partenariato strategico Cina-Siria», ha dichiarato ieri Xi. I leader cinesi hanno assistito sgomenti alle primavere arabe, denunciate come tentativi di regime change orchestrati dall’estero.

«La Cina sostiene l’opposizione della Siria alle interferenze esterne e sosterrà la ricostruzione, rafforzando la cooperazione con la Siria nell’ambito della Bri, per contribuire alla pace e allo sviluppo, regionale e globale», ha aggiunto il presidente cinese.

La dinastia degli Assad ha resistito al comando di un paese in cui il 90 per cento della popolazione vive in stato di povertà. Il prodotto interno lordo registrato nel 2020 è pari a 11,6 miliardi di dollari, il 4,4 per cento di quello del 2010, l’anno precedente lo scoppio della guerra civile.

La Siria per risollevarsi avrebbe bisogno – secondo le stime delle Nazioni Unite – di investimenti per oltre 400 miliardi di dollari. Pechino potrà contribuire più di Mosca e Tehran, che negli ultimi anni hanno tenuto in piedi il regime rispettivamente con 7 e 23 miliardi di dollari di assistenza?

La questione uigura

Le compagnie cinesi sarebbero restie a operare in un contesto altamente insicuro e potrebbero essere colpite dal “Ceasar Syria Civilian Protection Act” varato dall’amministrazione Trump nel 2019, che punisce con sanzioni “secondarie” ed “extraterritoriali” chiunque cooperi con la Siria, anche nel caso in cui tali collaborazioni non coinvolgano in alcun modo gli Stati Uniti.

Prima che anche in Siria spuntino le infrastrutture della nuova via della Seta, è probabile che assisteremo a un impegno crescente di Pechino per la pacificazione e la stabilità del paese mediorientale, dove - nella provincia nord-occidentale di Idlib, governata dagli islamisti - da tempo si addestrano centinaia di fondamentalisti di etnia uigura che si battono per l’indipendenza della regione cinese del Xinjiang.

Per Pechino collaborare con Damasco in ambito Bri significa soprattutto mandare due segnali geopolitici. Agli Stati Uniti viene ricordato che non sono riusciti a isolare nemmeno la Siria (figurarsi la Cina), e ai paesi mediorientali (Israele compreso) che la Cina promuove una cooperazione sempre più stretta con le potenze regionali.

Il rafforzamento dei legami con la Siria va inquadrato infatti nella grande offensiva diplomatica della Cina in medio oriente, un’area divenuta meno centrale per gli Stati Uniti, che si sono emancipati dal suo petrolio, sempre più richiesto invece dalla Cina.

L’interscambio Cina-paesi arabi ha superato i 431 miliardi di dollari nel 2022, il doppio rispetto a dieci anni prima. Il 10 dicembre scorso Xi è volato in Arabia Saudita per partecipare al primo vertice tra la Cina e il Consiglio di cooperazione del Golfo, la primavera scorsa Pechino ha avuto un ruolo essenziale nella normalizzazione delle relazioni tra Riad e Tehran, infine ha presentato una proposta per mediare tra israeliani e palestinesi. E a maggio la Siria di Assad è stata riammessa nella Lega araba.

© Riproduzione riservata