«Una delle cose che vorrei fare subito è quella di andare bussare a tutte le porte di Bologna e dire grazie alle persone che mi hanno aiutato». Patrick Zaki risponde al telefono alcune ore dopo essere uscito dalla Direzione della sicurezza di Mansoura.

È stato rilasciato giovedì, in tarda mattinata, dopo tre giorni di burrasca in cui il suo destino è rimasto appeso alle decisioni schizofreniche delle autorità egiziane. Martedì una condanna a tre anni di carcere per «diffusione di notizie false», mercoledì la grazia presidenziale e giovedì la libertà, quella vera: senza processi pendenti e divieti di espatrio.

La famiglia, la fidanzata e gli amici lo stavano aspettando da ore davanti alla struttura del ministero dell’Interno dove Zaki ha trascorso le ultime due notti. Il padre e la madre hanno trattenuto a stento l’emozione quando hanno visto il figlio oltrepassare le transenne, le ultime, che delimitano l’ingresso dell’edificio. Patrick ha abbracciato tutti e poi via, in auto, verso la casa del Cairo con la fidanzata Reny, la sorella Marise e altri amici stretti.

La paura dopo la sentenza

«Devo confessarti che quando il giudice ha emesso la sentenza, ho provato una sensazione di smarrimento perché non ero sicuro di avere la forza di tornare in cella», racconta mentre, dopo essere arrivato nella sua casa del Cairo, prepara la valigia per Bologna.

«Però in queste due notti che ho passato in custodia percepivo che il supporto verso di me c’era ancora. Era un po’ come se sentissi vibrare le pareti. Era l’affetto delle persone che in quelle ore mi ha consolato e protetto».

Intanto sui social, gli account degli avvocati, dei parenti e di tutti quelli che si sono spesi per la sua causa hanno certificato la fine di un incubo.

«Patrick è sull’asfalto», ha scritto su Twitter Hossam Bahgat, direttore di EIPR, prendendo in prestito una frase in arabo utilizzata in Egitto per annunciare il rilascio dei prigionieri politici. La sorella Marise su Facebook ha ripetuto la stessa foto in posa – con Patrick, la fidanzata Reny e l’amica Yousra – fatta nel dicembre del 2021 in occasione del suo primo rilascio. Sorridono tutti. «We did it again», lo abbiamo fatto di nuovo, sono le parole che accompagnano lo scatto.

A differenza di quello che è accaduto nel 2021, questa volta, per Zaki, la libertà ha un sapore diverso e sa di futuro. Un futuro che si era interrotto quasi tre anni e mezzo fa, nel giorno del suo arresto, e che ora vede in cantiere tanti progetti: da quelli più ambiziosi – un matrimonio e una carriera nell’accademia – a quelli più semplici, come l’abbonamento allo stadio Dall’Ara per seguire il Bologna.

Il rientro in Italia

«Mi sto preparando per andare a Bologna. Sto mettendo in valigia un po’ di libri e dei vestiti, niente di eccezionale, ma vorrei essere lì entro domani (venerdì ndr)», dice.

Ma sulle tempistiche al momento non c’è certezza perché le incombenze burocratiche potrebbero ritardare la partenza. Patrick ha presentato la domanda di visto per l’Italia all’ambasciata del Cairo. E poi, come sempre, c’è anche il lato egiziano.

Sino al giorno della sua condanna, infatti, Patrick era inserito in una lista di cittadini a cui è vietato l’espatrio. È una prassi comune che il regime adotta verso molti attivisti politici e non è chiaro se le parole pronunciate dalla premier italiana Giorgia Meloni – che prevedevano l’arrivo di Patrick in italia 24 ore dopo la grazia – tenessero conto anche delle macchinose procedure degli apparati del Cairo.

Intanto, Zaki racconta che nei giorni precedenti all’arresto stava preparando una domanda per un dottorato di ricerca che scade tra pochi giorni. «Era il passo successivo al mio master e spero di poterlo comunque ottenere», dice. «Perché il mio obiettivo è quello di continuare a lavorare nel mondo dell’accademia e in quello dei diritti umani».

E quando gli chiediamo dove vorrà vivere risponde: «Vorrei essere libero di spostarmi dove mi pare», spiega con la voce rotta dall’emozione. «La prossima destinazione è Bologna ma vorrei anche avere la possibilità di poter tornare e stare un po’ al Cairo, che è la mia casa».

Tra le prime telefonate che Patrick ha fatto dopo la sua liberazione c’è quella con Rita Monticelli, la tutor del master GEMMA dell’Università di Bologna. Una donna che in questi tre anni è diventata uno dei punti di riferimento emotivi e culturali del giovane ricercatore.

«È una giornata di gioia ma anche di gratitudine per l’università, per il comune di Bologna, per il governo di venerdì e il governo precedente, per Amnesty e tutti coloro che hanno sostenuto Patrick e i diritti umani e civili», spiega la Monticelli. «Vista la passione che ha per lo studio e la ricerca mi aspetto che continui su questa strada. E noi, ovviamente, saremo a disposizione».

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