Zelensky prova a stanare Trump: «Firmi le garanzie»

«Abbiamo bisogno di una presa di posizione chiara da parte del presidente Trump». Intervistato dall’emittente britannica Sky News, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, mostra crescenti segni di impazienza nei confronti del potente alleato americano. Servono, dice, «azioni decisive» per «intimorire» Putin e spingerlo a negoziare. Parla delle sanzioni, ovviamente, e su questo fronte difende gli alleati europei che, dice, «hanno già messo in atto 18 pacchetti di sanzioni. Ora tocca agli americani imporne di più forti». Ma non è solo sul terreno delle tanto minacciate, e mai realizzate, nuove sanzioni americane contro Mosca che batte Zelensky. Anche sulle famose garanzie di sicurezza promesse da Trump nel corso, il leader ucraino inizia a sentirsi preso in giro. Dopo la promessa americana di fornire supporto logistico a una missione militare internazionale in Ucraina e di firmare un trattato di alleanza con garanzie simili all’articolo 5 della Nato, si è visto poco di concreto. «Prima di porre fine alla guerra, voglio avere un documento che sia sostenuto dagli Stati Uniti e da tutti i partner europei. Questo è molto importante. Perché ciò avvenga, abbiamo bisogno di una posizione chiara del presidente Trump», ha detto Zelensky. L’Ucraina oggi è una start up e la guerra una palestra tech Incontro a New York Zelensky e Trump potrebbero incontrarsi di persona la settimana prossima a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel frattempo, Zelensky spera che a fare da tramite alle sue richieste ci pensi il primo ministro britannico, Keir Starmer, che incontrerà oggi Trump a Londra. Ma mentre si imbarcava sull’Air Force One, il presidente americano non ha lasciato molto spazio alle speranze. «Zelensky dovrà fare un accordo», ha detto, per poi ripetere quello che è diventato il suo nuovo mantra: «L’Europa dovrà smettere di comprare petrolio russo». Richiesta che gli ucraini e molti dei loro sostenitori condividono, ma che non considera che i due Paesi che ancora acquistano significative quantità di petrolio dalla Russia, Ungheria e Slovacchia, sono guidati dai due più stretti alleati di Trump in Europa: Viktor Orbán e Robert Fico. A sottolineare l’ipocrisia di questa situazione ci ha pensato il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, che ieri ha attaccato i «leader baltici e nord-europei» che chiedono al Paese di rinunciare alla sua «sicurezza energetica», senza mai nominare Trump, il più insistente nel fare pressioni su questo fronte. Nel frattempo sono emersi nuovi dettagli imbarazzanti sullo sconfinamento di droni russi avvenuto in Polonia nella notte del 10 dicembre. Secondo i media polacchi, infatti, l’unico danno registrato in quell’occasione, la distruzione del tetto di una casa nel villaggio di Wyrki, non lontano da Lublino, non sarebbe stata causata da un drone russo, come si era ritenuto inizialmente, ma da un missile aria-aria polacco lanciato durante l’inseguimento. Per fortuna, il missile non aveva attivato la sua modalità di combattimento e quindi non è esploso, lasciando illesi gli abitanti dell’edificio. Il primo ministro polacco, Donald Tusk, ha detto che la responsabilità di qualsiasi danno ricade comunque sui «responsabili della provocazione con i droni, cioè la Russia».