Il tentativo è arduo, ma non per questo la Santa sede vuole rinunciarvi: l’obiettivo infatti è quello di porre le basi per aprire un canale di dialogo fra Mosca e Kiev. Per questa ragione è partito alla volta della capitale ucraina – dove si tratterrà due giorni, il 5 e il 6 giugno – il cardinale Matteo Zuppi, inviato speciale del papa. Sarebbe già un primo risultato se russi e ucraini cominciassero a parlarsi per interposta persona, ma neanche questo è, allo stato delle cose, un fatto scontato.

Quel che è certo è che l’arcivescovo di Bologna dovrà mettere a frutto l’arte della pazienza, coltivata anche nelle tante iniziative di pace promosse dalla Comunità di Sant’Egidio, dote essenziale in ogni azione diplomatica complessa.

Basso profilo

Intanto da Mosca arriva un primo “niet”. Secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il presidente Vladimir Putin non ha in programma un incontro con il cardinale Zuppi. Ma sembra di capire che, al di là delle dichiarazioni di facciata, non tutte le porte a Mosca siano chiuse.

Che la questione si annuncia lunga e delicata, lo ha spiegato l’ambasciatore della Santa sede a Kiev, l’arcivescovo lituano Visvaldas Kulbokas, il quale, in un’intervista video ad Avvenire ha osservato: «Prima sua eminenza (il card. Zuppi ndr) ascolterà. Tutto il resto sarà da decidere: spetterà a lui decidere col santo padre, successivamente. Ci sarà tutta una serie di incontri, ma sarebbe discriminatorio menzionarli adesso perché è più una missione di lavoro, di studio. Poi si valuterà successivamente su che cosa porre gli accenti. Adesso invece conviene che lui li realizzi, gli incontri. Quindi si cerca di lavorare».

Ascoltare, dunque, è il primo passo e, significativamente, si comincia dalle ragioni dell’aggredito. Poi si vedrà come procedere, anche se c’è da credere che una missione analoga Zuppi dovrà svolgerla a Mosca.

La carta umanitaria

Ma che carte ha in mano la Santa sede per entrare in una partita tanto complessa? In primo luogo può vantare un ruolo super partes sotto il profilo umanitario. In questo senso, anzi, è un interlocutore che riesce a parlare con entrambe le parti in conflitto, d’altro canto il Vaticano, nel dare notizia della partenza del cardinal Zuppi per Kiev, precisava che fra gi scopi della visita c’era appunto quello di «sostenere gesti di umanità che contribuiscano ad allentare le tensioni».

Quindi, la diplomazia vaticana cecherà di passare dall’azione umanitaria a quella diplomatica. Già più volte il cardinale Konrad Krajevski, in qualità di capo dicastero vaticano per il servizio della carità, si era recato in Ucraina nei mesi scorsi per portare gli aiuti mandati dal papa; e le sue erano state, al medesimo tempo, missioni per prendere conoscenza diretta delle sofferenze inflitte alla popolazione civile ucraina coinvolta nelle operazioni belliche. Notizie che il cardinale aveva poi riferito al papa.

I bambini e il Cremlino

Ora, la missione di Zuppi ha un obiettivo umanitario che potrebbe diventare un pezzo del percorso verso l’apertura di un canale di dialogo. È noto infatti, che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia chiesto a Francesco, qualche settimana fa, un aiuto per riavere indietro alcune migliaia di bambini sottratti alle loro famiglie e deportati illegalmente in Russia dalle truppe di Mosca durante l’invasione dell’Ucraina.

Il Vaticano ha già favorito lo scambio di prigionieri tra russi e ucraini. Ciò che però va messo in luce è che, proprio in virtù di quest’opera di detenzione illegale di minori di nazionalità ucraina, la Corte penale internazionale ha emesso due mandati di cattura nei confronti del presidente Putin e del commissario per i diritti dei bambini presso l’ufficio del presidente della Federazione russa, Maria Lvova-Belova.

L’accusa è quella di essersi resi responsabili di crimini di guerra. In particolare, secondo quanto si legge nell’articolo 8 dello Statuto di Roma (il documento che descrive scopi e funzioni della Corte), riguardo alla «deportazione, trasferimento o detenzione illegali», quindi al «trasferimento, diretto o indiretto, a opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati, o deportazione o trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o al di fuori di tale territorio».

Certo, un eventuale negoziato su questo punto non riabiliterà automaticamente Putin ma forse può aiutare il leader del Cremlino a uscire dall’isolamento internazionale nel quale si è rinchiuso, facilitando al contempo il possibile inizio di un dialogo. Sempre che, ne frattempo, le operazioni militari in corso non facciano precipitare gli eventi in tutt’altra direzione.

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