Cinquantanove parole, una targa piazzata in un luogo simbolo della memoria, il Sacrario delle bandiere all’Altare della patria, ma senza tante cerimonie, senza enfasi, quasi fosse un atto dovuto di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.

Mentre tutto intorno era un tripudio di celebrazioni, dagli sceneggiati in tv al treno con i resti del milite ignoto trasportati da Aquileia di nuovo a Roma tra due ali di folla giustamente commossa, gerarchie militari e politici venerdì 29 ottobre hanno inteso chiudere alla chetichella e a modo loro a un secolo di distanza una delle pagine più orrende della prima guerra mondiale: le fucilazioni e le decimazioni di soldati «per mano amica», cioè su istigazione degli stati maggiori.

Nella targa si ricorda che quei militari furono passati per le armi per avere commesso «reati contro la disciplina», ma «in assenza di un oggettivo accertamento della loro responsabilità». Cioè, detto in modo meno anodino, quei soldati furono ammazzati senza che ci fossero prove inconfutabili, senza che fosse data loro la possibilità di difendersi, senza un regolare processo.

Mille ammazzati

La targa è stata posta «a testimonianza di solidarietà ai militari caduti, ai loro familiari e alle popolazioni». Solidarietà e basta.

«È una brutta foglia di fico» commenta Gian Piero Scanu, politico Pd, sottosegretario alla Presidenza del consiglio nel secondo governo Prodi, già sindaco di Olbia, senatore e poi deputato per altre due legislature.

Sette anni fa, quando faceva parte della commissione Difesa della Camera, Scanu presentò insieme a una cinquantina di colleghi di tutti i partiti una proposta di legge che andava al cuore del problema: la restituzione dell’onore militare e la qualifica di vittime della guerra a quei poveri cristi quasi sempre colpevoli di nulla, circa 1.100 soldati, 700 passati per le armi dopo processi per modo di dire, 400 scelti con il criterio della decimazione, uno a casaccio in ogni fila di dieci.

Fu un orrore istigato dalle gerarchie militari, così come emerge dai documenti storici. Si distinse in questa operazione il capo di stato maggiore Luigi Cadorna, il comandante in capo del nostro esercito che invitò con una serie di circolari gli alti ufficiali a forzare di fatto l’interpretazione del già severo codice militare con l’obiettivo di «dare un esempio» alle truppe.

Dai fascicoli contenenti la documentazione di quelle esecuzioni emergono casi grotteschi: soldati passati per le armi perché al passaggio di un superiore non si erano tolti rispettosamente il sigaro di bocca. O altri che avevano fatto il saluto militare non in perfetto stile. O altri ammazzati perché avevano lanciato qualche sigaretta la notte di Natale nella trincea del nemico a pochi metri di distanza.

Scanu e colleghi proponevano che la magistratura militare prendesse uno a uno tutti i fascicoli e li esaminasse con un’istruttoria seria per ristabilire la verità dei fatti.

Anche Scanu e i suoi colleghi proponevano nella legge di collocare una targa al Vittoriano, ma dai contenuti molto diversi rispetto a quelli generici della targa piazzata venerdì. Si sarebbe dovuto indire un concorso nelle scuole superiori e gli studenti avrebbero dovuto proporre testi in linea con la tesi che la Repubblica avrebbe dovuto «rendere evidente la sua volontà di chiedere perdono per questi nostri caduti».

Ribaltone al Senato

La proposta di legge fu approvata all’unanimità dalla Camera, ma al Senato scoppiò la baraonda. A difesa della dignità dei comandi militari, gli stati maggiori della Repubblica democratica si ersero a baluardo dell’operato dei loro omologhi di un secolo prima facendosi sentire presso i senatori per bloccare quello che consideravano uno sfregio.

Guardati con occhio benevolo dal ministero della Difesa, allora occupato da Roberta Pinotti, si distinsero nella retromarcia parlamentare i senatori Nicola Latorre, allora presidente Pd della commissione Difesa, e per l’opposizione Maurizio Gasparri, Popolo delle libertà. La legge approvata all’unanimità alla Camera fu bocciata al Senato e forse si è trattato di uno dei pochi casi del genere nella storia della Repubblica.

A distanza di anni, a ottobre 2020 la scrittrice Tatjana Roic, senatrice del Pd, ha riproposto insieme al verde Franco Corleone il disegno di legge approvato a suo tempo alla Camera per la «restituzione dell'onore agli appartenenti alle Forze armate italiane fucilati senza le garanzie del giusto processo, con sentenze emesse dai tribunali di guerra».

Ma l’ex ministro Roberta Pinotti, ora presidente della commissione Difesa, ha trovato il modo di aggirare di nuovo quel testo facendo approvare una risoluzione assai blanda. Tra le altre cose quella risoluzione invita a collocare una targa al Vittoriano. Quella foglia di fico apposta senza onori venerdì.

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