Dote ai diciottenni, ius soli, voto ai sedicenni, legge Zan. «Fuori sacco» rispetto ai provvedimenti per la pandemia e per il rilancio dell’economia del programma di Mario Draghi, sono quattro titoli del programma del nuovo Pd di Enrico Letta. Il segretario li cita con frequenza quotidiana. «Bandierine» per i detrattori, secondo i fan invece «posizionamento politico» di un partito che non vuole morire leghista, ma neanche draghiano. Per capire la fattibilità di ciascun titolo in questa legislatura bisogna seguire il loro iter parlamentare.

La dote nella riforma fiscale

La proposta della «dote ai diciottenni» finanziata dall’1 per cento dei ricchi nella tassa di successione dei patrimoni sopra i 5 milioni – gelata da Draghi – arriva stamattina sul tavolo della segreteria Pd. Dopo un approfondimento, sarà scritta nel dettaglio nella proposta di riforma fiscale che i dem, come le altre forze politiche, consegneranno alle commissioni finanza di camera e senato che in questi giorni completano l’indagine conoscitiva sul tema. Entro i primi di luglio le commissioni consegneranno un documento sulla base del quale il governo, entro fine mese, procederà alla legge di delega. La proposta della «dote» ha suscitato pirotecniche polemiche. Da destra ma anche da Italia viva. Che però lo scorso 23 novembre ha presentato un testo non troppo dissimile (Atto camera 2797, primi firmatari i deputati Ungaro, Del Barba e Nobili), finanziato con un aumento della tassa di successione, abbassando le franchigie e aumentando le aliquote.

Ius culturae

Letta sa che parlare di migranti e integrazione non tira applausi. Nonostante questo ieri ha insistito sul tema, ospite di un convegno delle Acli, le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani: «Ho voluto legare questa battaglia dall’uscita dalla pandemia per avere una legge sulla cittadinanza che ci renda migliori. Sarà migliore se capirà che inclusione e diversità non sono limiti, ma sono vantaggi. Saremo su questa linea, faremo tutto quanto è necessario, costruiremo un fronte largo per fare in modo che questo messaggio sia compreso facilmente». Ma il «fronte largo» non è – più – alle viste. La legge sullo «ius cultura» è incagliata in commissione Affari costituzionali della camera. Tecnicamente siamo alla fase della audizioni. In realtà il presidente Giuseppe Brescia, grillino, deve presentare un testo unico, sintesi di quelli depositati dai gruppi. Ma non ci sono le condizioni politiche: dallo scorso febbraio sul tema la maggioranza giallorossa si è spappolata, la diaspora dei Cinque stelle si è incanalata in diversi rivoli. I restanti M5S, Pd e Leu non fanno maggioranza certa. Serve un apporto consistente dal gruppo misto, ma non è scontato. E poi c’è il fuoco di fila da parte delle destre, di governo e di opposizione. Morale: una ripartenza della discussione sul testo della legge non all’ordine del giorno.

Il voto ai sedicenni

A una verifica sul terreno di battaglia, e cioè le camere, va così anche per il voto ai sedicenni. Al momento è «solo» una proposta di legge a firma del parlamentare Serse Soverini. È un’idea che Letta aveva già lanciato nel ‘19, a sua volta tratta da una proposta di Walter Veltroni risalente addirittura al 2007. Anche la Lega nel 2015 era stata – brevemente – a favore. È un grande classico socialdemocratico: in Austria i sedicenni possono votare in tutte le elezioni da anni, in Grecia i diciassettenni (lo volle Alexis Tsipras), in Germania anche, ma solo nelle elezioni di alcuni länder. In Italia siamo in ritardo persino sull’eleggibilità dei sui diciottenni, che ieri la capigruppo ha calendarizzato in aula per la seconda settimana di giugno. Relatori Stefano Ceccanti (Pd) e Valentina Corneli (M5S). È l’unico dei «correttivi» attualmente in via di approvazione fra quelli promessi dal governo giallorosso per ottenere il sì del Pd al referendum per il taglio dei parlamentari. Dopo la camera, servirà una quarta lettura al senato. La maggioranza dovrebbe esserci, ma si segnala una posizione incerta di Italia viva. Ma è una legge necessaria, spiega Federico Fornaro, presidente dei deputati Leu: «È una modifica alla Costituzione che risponde alle mutazioni intercorse nella società. Non c’è più ragione per tenere fuori dal diritto di eleggere il senato i giovani dai 18 ai 24 anni. Equiparando l’elettorato attivo di Camera e Senato, inoltre, si aiuta la stabilità delle istituzioni perché si aumenta l’omogeneità dei risultati elettorati».

Zan al buio

Altro must del «nuovo Pd» di Letta è la legge Zan. Ma qui siamo alla cronaca di queste ore. La discussione starà inchiodata a lungo nella commissione giustizia del senato il cui presidente-relatore, il leghista Andrea Ostellari, ha approvato ben 170 nuove audizioni. Ci vorrebbero mesi per onorarle tutte. Dall’ufficio di presidenza del gruppo Pd ieri è partita la proposta di votare in Conferenza dei capigruppo per calendarizzare al più presto il ddl in aula. I numeri per lo «strappo» ci sono, in chiaro. Ma Iv ha aperto agli emendamenti della destra, e una forzatura espone il testo Zan al rischio di essere emendato, cioè impallinato, in aula a voto segreto. Magari anche da fuoco amico.

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