Già dai primi passi, gli inciampi del governo Meloni in fatto di Unione europea sono madornali. Il nuovo ministro della Sicurezza energetica, priorità dichiarata della premier, ha debuttato al consesso dei ministri europei confondendo il vertice dei capi di stato dell’Ue con il Consiglio d’Europa, per esempio. Gilberto Pichetto Fratin inciampa per incoscienza. I fraintendimenti di Giorgia Meloni sul tema migranti sono invece costruiti ad arte. «Ma se non volete che si parli di blocco navale lo dirò così: è nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell’Ue che nella terza fase prevista, anche se mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal nord Africa».

Queste sono le parole pronunciate dalla leader di Fratelli d’Italia nel suo primo discorso davanti ai parlamentari con il quale ha chiesto loro la fiducia. Qui la trappola è multipla: Meloni interpreta le missioni dell’Ue in una maniera tutta sua, presentando inoltre come praticabili proposte già fallite politicamente in sede europea. E questa è una trappola tutta politica. Poi, c’è un secondo livello di falsificazione: Meloni sottintende che avvicinarsi a ciò che fa l’Ue renda le sue proposte più digeribili. Non solo è paradossale che Meloni – che ha chiesto voti predicando un’Europa che «va riformata» – pari le critiche usando lo scudo di Bruxelles, ma in più la verità è che in questa fase la Commissione Ue e l’agenzia Frontex sono sotto accusa per aver eretto il respingimento dei richiedenti asilo a pratica accettabile se non istituzionalizzata.

La versione di Meloni

Anche in campagna elettorale, Giorgia Meloni sosteneva che «il blocco navale europeo in accordo con le autorità del nord Africa che da anni propone Fratelli d’Italia altro non è che l’attuazione di quanto proposto dall’Unione europea già nel 2017 e ribadito numerose altre volte». Nel discorso in aula, la premier ha affermato: «Questo governo vuole quindi perseguire una strada, poco percorsa fino a oggi: fermare le partenze illegali, spezzando finalmente il traffico di esseri umani nel Mediterraneo. Se non volete si parli di blocco la dirò così»: e qui ha detto di voler proporre «il recupero della proposta originaria» della missione navale Sophia, attuandolo «in accordo con le autorità del nord Africa, accompagnato dalla creazione sui territori africani di hotspot, gestiti da organizzazioni internazionali, dove poter vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto ad essere accolto in Europa da chi quel diritto non ce l’ha».

Da queste parole si deduce che il progetto di Bruxelles fosse quello di bloccare le partenze. È davvero così?

Alla prova dei fatti

La missione Sophia nasce su spinta italiana e in origine – parliamo dell’autunno 2015 – ha tra gli obiettivi il contrasto al «traffico e contrabbando di esseri umani». Il comando è stato in mano all’Italia dall’inizio dell’operazione, che ha prodotto notevoli contrasti politici, protagonista dei quali è stato anche l’attuale vicepremier Matteo Salvini; e sempre politica è stata la fine di Sophia, che è terminata nel febbraio 2020.

Il motivo per il quale è diventata inagibile politicamente è proprio che la missione non era bloccare l’arrivo dei migranti ma contrastare i criminali, dunque una volta avvistati gli arrivi i paesi europei avrebbero dovuto farsene carico. Salvini ne invocava la redistribuzione, governi come quello austriaco e ungherese non ne volevano sapere. Sophia è stata quindi rimpiazzata da Irini, che si concentra sul traffico illegale di armi, non di esseri umani.

La fase tre di Sophia a cui si riferisce Meloni prevedeva, come si evince testualmente dalla decisione del Consiglio di sette anni fa, che «in sintonia con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu o col consenso del paese costiero coinvolto, si prendano nel suo territorio le misure necessarie contro le navi sospettate di traffico di esseri umani».

Blocco navale?

«In sostanza, questo è un sequestro preventivo di mezzi utilizzabili a fini criminali, non un blocco navale», è il parere di Emilio De Capitani, visiting professor alla Queen Mary University di Londra e esperto in materia dai tempi in cui era segretario della commissione Libertà civili (Libe) dell’Europarlamento.

Nessuna fase prevede che non si metta al primo posto il rispetto dei diritti fondamentali: la distruzione di imbarcazioni che possono essere utilizzate per il traffico di esseri umani non implica certo un blocco dei flussi nell’Unione europea. L’esito perverso può essere anzi che «distrutto un barcone vengano utilizzati i barchini».

Se una nave viene intercettata in mare, la distruzione della nave non implica che le persone non vadano salvate. Al netto delle trappole semantiche sul «blocco», la proposta Meloni è quantomeno politicamente fattibile? Anche su questo, De Capitani ha a dir poco qualche dubbio.

Proposta impraticabile

Se Sophia è abortita è proprio per nodi politici irrisolti. Quando Meloni dice di voler rianimare la fantomatica fase tre, «sembra ignorare le difficoltà del caso», spiega De Capitani. «La sola Irini va avanti con grandi traversie».

Serve una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza «in un’area nella quale intanto si trovano navi da guerra turche e russe, e soprattutto è necessaria l’unanimità in un Consiglio Ue dove invece i governi hanno posizioni molto diverse, con paesi come l’Austria contrari all’eventuale soccorso di migranti. Inoltre i diritti fondamentali vanno sempre rispettati, non esiste fase che esenti da questo vincolo».

La creazione di hotspot nel nord Africa per trattare le richieste di asilo è un’idea vecchia, «risale addirittura a Blair nel 2000». La Commissione, rileva De Capitani, sarebbe d’accordo; ma non è un caso che finora l’idea sia rimasta tale.

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