Per la corsa al Campidoglio a sinistra la coalizione ancora formalmente non c’è. I nomi in campo al momento sono poco più che autocandidature. Ma già partono le scintille fra i partiti. Ieri l’ex ministro Carlo Calenda, dopo aver letto sui giornali il timore del Pd per la sua possibile corsa in solitaria- che avrebbe l’effetto di portare via voti al candidato progressista - gli ha lanciato una stoccata da twitter: «Un suggerimento al Pd. Qualsiasi decisione sulla capitale d’Italia, deve avere l’obiettivo di portarla fuori dal sottosviluppo in cui versa, non stoppare candidati che non si sono candidati. Ad maiora». La risposta del Pd romano è più che conciliante: «Nessuno stop a nessuno», viene assicurato, Azione e Calenda sono «invitati e protagonisti della battaglia per rilanciare Roma».

L’invito di cui si parla è per il 14 ottobre alle 18 e 30 quando per la prima volta si ritroveranno intorno a un tavolo tutti, ma proprio tutti: oltre al Pd, i renziani di Italia Viva, Sinistra Italiana, Articolo 1, Psi, Radicali, Verdi e il movimento Liberare Roma, che dallo scorso febbraio tesse una rete di associazioni e comitati nel territorio. Ci saranno anche i quattro presidenti di centrosinistra dei municipi, Sabrina Alfonsi, Francesca Del Bello, Giovanni Caudo e Amedeo Ciaccheri; i capigruppo in Campidoglio del Pd Giulio Pelonzi, della civica RomaTornaRoma Svetlana Celli e di Sinistra per Roma Stefano Fassina. Invitata naturalmente anche Flavia De Gregorio, la responsabile di Azione nella capitale. «Al tavolo ci saranno tutte le forze democratiche con cui in questi anni di opposizione a Virginia Raggi abbiamo vinto nei municipi, alle regionali e alle suppletive», spiega il segretario del Pd romano Andrea Casu, «Per costruire insieme la riscossa politica e civica della Capitale, e non riconsegnare la città alle destre e ai populisti, dobbiamo stringere l’alleanza più ampia e inclusiva possibile». Da Fassina a Calenda, dunque. Un perimetro della coalizione sterminato. In teoria.

Fassina al tavolo ci sarà: «Sono stato invitato e vado. Con volontà costruttiva. Non siamo però abituati a comprare a scatola chiusa». Ma Calenda sarà della partita? Per certo già si sa che non parteciperà alle primarie. Negli scorsi giorni a chi glielo ha chiesto ha risposto un eloquente e romanissimo «Maddeché». E invece il centrosinistra ormai ha intenzione di convocarle, come chiedono gli aspiranti candidati in campo: la senatrice Monica Cirinnà, attivista dei diritti, il consigliere regionale Paolo Ciani, della Comunità di Sant’Egidio, il giovane Tobia Zevi. Sui gazebo insiste anche Amedeo Ciaccheri, portavoce di Liberare Roma e presidente dell’VIII municipio.

Ma sulla ragione politica delle primarie - ovvero la costruzione di un’alleanza affidabile in cui alla fine tutti remino al fianco del candidato o della candidata che vince - ora si allunga l’ombra della seconda ondata dei contagi. Il partito di cui è segretario il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, che a ogni pié sospinto invita i cittadini alla prudenza, difficilmente potrebbe avallare le file di elettori ai gazebo, ammesso che ci vadano. C’è chi pensa a una soluzione tecnologica, a un voto su piattaforma sulla falsariga di Rousseau; o a riesumare una vecchia idea di una App da scaricare sui cellulari, una progetto di Francesco Boccia di un «Pd digitale» presto andato in soffitta. Opzioni immaginarie, di non facile realizzazione. Intanto è probabile che la data del 6 dicembre, circolata in un primo momento per l’apertura dei gazebo, slitti a gennaio o a febbraio, nella speranza che nel frattempo il pericolo del contagio scenda.

Ma l’incognita Calenda resta. Se nel tweet puntualizza di «non essersi ancora candidato», al Pd sanno per certo che la sua corsa ci sarà, e che sarà difficile – se non impossibile – farla convergere dentro i confini della coalizione. E’ diverso il profilo che vuole darsi: liberal, antigrillino, con lo sguardo a sinistra ma anche agli imprenditori, e a braccia aperte ai voti del centro, ben al di là delle linee del centrosinistra.

Uno spazio che nella Capitale può esserci, come ha dimostrato per due volte l’outsider Alfio Marchini. Secondo un sondaggio di Emg Acqua per RaiTre il movimento Azione, su scala nazionale, oggi sarebbe votato dal 3,4 per cento degli italiani. Il successo personale di Calenda è migliore: il 22 per cento degli italiani gli darebbe fiducia, un punto meno dei presidenti di regione Luca Zaia e Stefano Bonaccini, uno di più di Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi.

L’ex ministro dunque, anche non diventando sindaco, avrebbe tutto da guadagnare. Il Pd, e il suo segretario fin qui vincente – ha riportato il partito dalle secche al governo, ha tenuto alle amministrative - invece avrebbe tutto da perdere: e cioè proprio quella fetta di elettorato indispensabile per arrivare al ballottaggio.

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