«Salvini non ama ascoltare, lo fa per convenienza, Giorgetti è l’unico che ha un rapporto, ottimo, con Draghi». Il verdetto è di un leghista molto vicino a Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini e mediatore dell’accordo per un governo di larghe intese. C’è il suo timbro sul discorso filo europeista di Salvini dopo l’incontro con il presidente del consiglio incaricato Mario Draghi.

La Lega punta a un ministero e Giorgetti è il nome di garanzia dato per certo. Ma il “demoleghista”, centrale in tutte le stagioni del Carroccio è sempre stato un secondo per natura: non vuole bruciarsi con incarichi visibili. Per questo tra iscritti, militanti e dirigenti sta circolando un nome per il ministero del Welfare o Attività produttive: Riccardo Molinari, deputato e capogruppo alla Camera. «Salviniano, ma con autonomia di pensiero ed estimatore di Giorgetti», dice la fonte leghista.

Ma perché non stare all’opposizione con i nazionalisti di Fratelli d’Italia?, chiediamo. «Salvini è stretto tra due fronti, da un lato i nuovi arrivati che non contano nulla, come Alberto Bagnai e Armando Siri, contrari alla grande coalizione, dall’altro c’è il più forte e imprescindibile sostegno del ceto produttivo del nord che è pronto a togliere il consenso sotto i piedi a Salvini se non avesse accettato Draghi e la possibilità di gestire i miliardi del Recovery. Ho incontrato molti imprenditori lombardi e veneti convinti che in un momento storico come questo la Lega non può stare sulle barricate, mi hanno congedato con una battuta: “Se Salvini si tira indietro lo andiamo a prendere”».

La Lega Nord è nata con l’obiettivo di portare a casa il risultato e per farlo era disposta a governare con chiunque. Giuseppe Leoni, uno dei fondatori insieme a Umberto Bossi, in un’intervista all’agenzia Adnkronos ha attaccato frontalmente l’ex ministro: «Salvini resta un incapace, al nord se ne stanno accorgendo in molti, molti consiglieri e amministratori locali lasceranno entro pochi giorni la Lega per Salvini premier puntando a un progetto federalista del nord».

Nel partito la leadership di Salvini è, però, ancora forte: in questi anni ha compiuto una riorganizzazione chirurgica per evitare una sua detronizzazione piazzando commissari di fiducia nelle segreterie. «È vero tuttavia che in molte roccaforti storiche della Lega c’è una percentuale alta di militanti che hanno rifiutato l’iscrizione alla Lega sovranista di Salvini», dice l’ex fedelissimo di Giorgetti.

Ritorno al passato

Nel discorso di Salvini dopo l’incontro con Draghi c’è un passaggio che ha meravigliato molti e irritato alcuni pasdaran sovranisti. Il leader leghista ha parlato di alleanze internazionali: amici degli Stati Uniti e di Israele, ha precisato in un contesto che non lo richiedeva. Excusatio non petita del leader, che per la prima volta da quando è segretario ha evitato di citare la Russia.

Fin dal suo insediamento alla segreteria del partito Salvini non ha fatto altro che flirtare con il Cremlino: «Penso che Putin sia un grande e lo penso gratis», tra gli slogan più celebri di Matteo. Flirt spinto fino allo scandalo con la trattativa condotta dal fedelissimo Gianluca Savoini all’hotel Metropol di Mosca, per ottenere un maxi finanziamento dai russi per pagarsi la campagna delle elezioni europee.

Anche il riposizionamento atlantista, per ora a parole, è farina del sacco di Giorgetti, già all’epoca del Russiagate leghista si era affrettato a dire che il partito non poteva prescindere dagli Stati Uniti per contare davvero.

Il numero due di Salvini per ricondurre il partito nel perimetro padano si affida a un numero ristretto di fedelissimi. Da Massimo Garavaglia, viceministro all’Economia nel Conte 1, a uomini di Luca Zaia in Veneto fino a Molinari, il fido di Salvini che sa ascoltare la vecchia guardia. L’accerchiamento del leader che ha trasformato la Lega in una forza nazionalista è totale.

«La strada tracciata da Giorgetti è chiara: la Lega deve ritornare nel raggio naturale di partito realista, che si allea non per affiliazione ideologica ma con chiunque gli permetta di incassare riforme utili a difendere interessi locali, lasciando a Fratelli d’Italia l’eredità del Movimento sociale italiano».

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