Questo è il terzo di una serie di reportage in cui racconteremo cosa succede in Estonia, Lettonia e Lituania, i paesi europei e membri della Nato che dopo l’invasione dell’Ucraina temono di essere i prossimi. Qui potete leggere gli altri reportage della serie.


«La Russia ha commesso molti errori. Le loro unità d’élite sono ottime, ma la piramide che sostiene il vertice è in pessime condizioni. In una piccola operazione questa discrepanza non si nota. Ma quando impiegano tutte le loro forze vengono fuori i problemi».

Seduto nel suo ufficio a due passi dalla Daugava, quella che i russi chiamano Dvina, il grande fiume che attraversa Riga, capitale della Lettonia, Jānis Sārts, direttore del Nato Stratcom, non sta parlando soltanto delle pessime performance dell’esercito russo impegnato nell’invasione dell’Ucraina

Quello che intende dire è che ciò che è vero per i militari russi è vero anche per i tanto decantati propagandisti di Putin. Dall’inizio del conflitto gli ucraini stanno dominando lo spazio della comunicazione. Gli operatori della disinformazione russa si sono rivelati delle tigri di carta. Come è stato possibile e soprattutto è davvero una sconfitta così totale o c’è qualche terreno su cui la Russia è riuscito a difendersi? 

Gli errori e social

Fondato nel 2014 su iniziativa del governo Lettone e sostenuto inizialmente da altri sei paesi Nato, tra cui l’Italia, il Nato Stratcom è un centro studi indipendente dalla struttura di comando dell’alleanza il cui scopo è studiare la infowar, la guerra comunicativa e di propaganda, e suggerire strategie per contrastare gli avversari e passare al contrattacco. Oggi riceve finanziamenti da quindici paesi, organizza seminari, corsi, produce dossier e analisi. 

La scelta di costituirlo a Riga, non è stata una coincidenza, spiega Sārts. «Per creare un centro come questo serve un paese che dica: “eccoci siamo pronti, abbiamo le conoscenze e la volontà di ospitarlo”. La Lettonia poteva farlo». Anche perché, dice, con circa un terzo della popolazione costituito da russofoni, la percentuale più alta tra i paesi baltici, i lettoni sono stati i primi a toccare con mano la trasformazione della gran parte dei media ufficiali russi in strumenti di propaganda e controinformazione «completamente diversi dall’informazione delle democrazie occidentali».

Con un bagaglio di esperienza, maturato proprio nelle prime settimane della guerra ibrida scatenata dal Cremlino in Crimea e nel Donbass, Sārts sembra avere le idee chiare su cosa il presidente russo Vladimir Putin e i suoi consiglieri abbiano sbagliato questa volta. 

Il loro primo errore è stato non prepararsi a sufficienza e credere alle loro stesse bugie. «Putin pensava davvero che quella in Ucraina sarebbe stata un’operazione veloce e senza la necessità di un uso massiccio della forza – spiega Sārts – Dalle nostro analisi risulta che molti operatori russi che si occupano di informazione e propaganda non erano stati avvertiti. Sono stati colti di sorpresa».

É la stessa situazione in cui si sono trovati molti soldati e ufficiali russi: portati al fronte mentre erano convinti di partecipare a semplici esercitazioni. Ma secondo Sārts, parte del merito della vittoria è si deve anche alle intelligence occidentali, soprattutto di quella degli Stati Uniti.

«La Russia è capace di controllare lo spazio informativo quando prende l’iniziativa, come è avvenuto in Crimea nel 2014. Non è altrettanto capace negli altri casi», spiega. E nelle settimane che hanno preceduto l’invasione, gli Stati Uniti hanno preso la misura senza precedenti di diffondere moltissime informazioni sulle intenzioni e i piani russi. 

Ancora prima che i media russi trasmettessero immagini di supposti attacchi ucraini nel Donbass per giustificare l’invasione, l’intelligence americana aveva già rivelato non solo il concentramento di truppe e i piani di guerra, ma anche l’intenzione di inscenare attacchi. Quando gli “attacchi” sono effettivamente iniziati, quasi nessuno in occidente e in Ucraina gli ha prestato attenzione 

«In questo modo, hanno tolto ai russi l’iniziativa – dice Sārts – Come puoi pubblicare un video di propaganda dopo che è già stato annunciato e smentito dall’intelligence avversaria?».

I social

Ma per Sārts il fattore più importante di questa vittoria comunicativa, la ragione principale per cui, almeno nell’audience occidentale, la propaganda russa è stata quasi completamente schiacciata, si può riassumer in due parole: social media.

«Questa non è la prima guerra che vediamo in diretta – spiega – ma è la prima guerra che vediamo direttamente tramite i racconti delle persone». Ogni giorno migliaia di comuni cittadini ucraini, spesso senza alcun intento o input politico, raccontano su internet i terribili effetti dell’invasione sulle loro vite, con foto, video  e racconti in presa diretta. «E questo – dice Sārts – smuove le coscienze occidentali in un modo che non ha precedenti».

Questo fenomeno è possibile in buona parte perché quella ucraina è una società libera e democratica. Chiunque può prendere il suo telefono e filmare. È un fenomeno così pervasivo e inaspettato, spiega Sārts, che per il primo mese di conflitto gli stessi media russi sono stati costretti a utilizzare filmati girati dagli ucraini per raccontare il conflitto.

Pessimo attacco, ottima difesa

Ma il successo ucraino e occidentale nella infowar non arriva ovunque. In molti paesi in via di sviluppo il terreno è ancora conteso. In Russia, la presa della propaganda ufficiale è totale e rimane forte anche tra i russi etnici al di fuori del paese, nonostante siano spesso esposti anche a fonti occidentali.

«L’abilità della Russia di mantenere la popolazione russofona in un ambiente informativo alternativo è orwelliana. Di sicuro in futuro andrà investigata. Stanno avendo più successo di quanto sono a mio agio ad ammettere», dice Sārts. In un certo, se il Cremlino ha fallito completamente l’attacco, ha avuto un inaspettato successo in difesa.

Per quanto riguarda il futuro, ci sarebbero due sfide principali per la Nato. «Da un lato ci saranno crescenti tentativi da parte dei regimi autoritari di colpire i nostri processi democratici». Secondo Sārts, minare la legittimità e credibilità delle elezioni, diffondere sfiducia nei meccanismi istituzionali, sono strumenti che si sono dimostrati efficaci nel recente passato e che saranno sempre più utilizzati in futuro.

La seconda sfida è quella di mantenere il vantaggio tecnologico che i paesi dell’alleanza hanno suoi loro principali avversari. «Lo spazio dell’informazione è sempre più determinato dalla tecnologia», spiega. Da questo punto di vista, la Cina è molto  più preparata della Russia, grazie a un infosfera non solo più isolata dalla nostra, ma anche più avanzata tecnologicamente. Non è perché stiamo vincendo che ci dobbiamo fermare, sembra voler dire Sārts. «Queste sfide ci aspettano nel prossimo futuro, dobbiamo arrivare preparati».

© Riproduzione riservata