Eroi per la solidarietà di oggi, imputati per quella di ieri. «Nel momento in cui giungiamo in Italia con persone evacuate dall’Ucraina, attraversando cinque frontiere», di cui due extraeuropee, scrive l’associazione di Roma Baobab Experience, «siamo chiamati, dalla politica e dall’opinione pubblica, “eroi”, ma siamo seduti sul banco degli imputati per aver aiutato persone di origine sudanese e ciadiana – con il pieno diritto di muoversi sul territorio italiano – a raggiungere il campo della Croce rossa di Ventimiglia».

È attesa per il 3 maggio la sentenza di primo grado del processo in cui il presidente dell’associazione, Andrea Costa, è accusato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina per un fatto risalente all’ottobre 2016, quando insieme ad altri attivisti ha aiutato otto ragazzi sudanesi e un ciadiano a comprare i biglietti del treno per arrivare a Ventimiglia.

Costa rischia una pena dai 6 ai 18 anni di reclusione, perché nel nostro ordinamento «non è stata introdotta alcuna differenza tra trafficanti di esseri umani e solidali: viene il dubbio che il fine non sia quello di combattere la criminalità organizzata, l’abuso, il raggiro e la tratta di esseri umani», si legge nel comunicato di Baobab.

Le accuse

Cinque giorni prima dell’intercettazione alla base delle accuse, il campo informale dove Baobab forniva assistenza e beni di prima necessità in via Cupa a Roma è stato sgomberato dalla prefettura, lasciando così prive di un rifugio di fortuna 300 persone, migranti, richiedenti asilo e rifugiati.

E, con il campo della Croce rossa della capitale in condizioni di sovraffollamento, le persone hanno cercato tutela altrove, aiutati dai volontari che hanno fornito loro del cibo, beni per affrontare il viaggio e offerto supporto «per identificare il biglietto del treno o del bus più economico» o «per contribuire all’acquisto dei titoli di viaggio», spiega l’associazione.

Per l’accusa, invece, questi interventi avrebbero integrato il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, previsto dall’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, perché con queste azioni avrebbero favorito il loro ingresso illegale in Francia. Il caso è stato affidato alla Direzione distrettuale antimafia che ha disposto intercettazioni nei confronti degli attivisti. «Hanno provato ad accusare Baobab experience di associazione a delinquere», denuncia l’associazione, evidenziando che «dopo mesi di indagini non hanno trovato nulla e quell’accusa implode su sé stessa».

Criminalizzare la solidarietà

È proprio a partire dal 2016 che la politica ha iniziato ad additare le ong – attive nell’accoglienza, nelle operazioni di ricerca e soccorso – come “taxi del mare” e a equiparare le loro azioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale all’attività dei trafficanti.

Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, nel processo contro l’ong spagnola Proactiva Open Arms per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, ha chiesto l’archiviazione nei confronti del comandante e della capomissione della nave. L’imbarcazione era arrivata al porto di Pozzallo dopo aver soccorso e salvato al largo della Libia 218 migranti il 17 marzo 2018, ed essersi rifiutata di riconsegnare ai guardacoste libici i naufraghi.

Anche le accuse contro la comandante della nave Sea Watch 3, Carola Rakete, hanno avuto lo stesso esito: indagata per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare e rifiuto di obbedienza a una nave da guerra, il suo procedimento è stato archiviato su richiesta dell’accusa. Un caso diventato simbolo della criminalizzazione dei salvataggi in mare da parte delle ong, durante la stagione dei “porti chiusi”, che chiusi non erano, urlati dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Sempre al centro di un’inchiesta della procura di Catania, la nave Aquarius, usata da Medici senza frontiere e Sos Mediterranée, era stata sequestrata per traffico illecito di rifiuti, un’accusa poi smontata dal tribunale del Riesame.

Accusato per lo stesso reato Dariush Beigui, capitano della nave Iuventa dell’ong tedesca Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017, per aver salvato dalle acque del Mediterraneo centinaia di persone tra il settembre 2016 e il giugno dell’anno successivo. Beigui rischia 20 anni di carcere e una multa di undicimila euro per ogni persona aiutata.

Ma la criminalizzazione non avviene solo in mare: molti attivisti e associazioni, come Baobab, che offrono cure, distribuiscono alimenti e bevande, o garantiscono un rifugio ai migranti in tutta Italia sono stati accusati del reato volto a contrastare il traffico di esseri umani. Nel febbraio 2021, Gian Andrea Franchi – 84enne – e Lorena Fornasir, due attivisti che hanno dato vita all’associazione Linea d’ombra di Trieste, si sono trovati la polizia alla porta per una perquisizione: con la loro attività di cura delle ferite di chi percorre la rotta balcanica e avendo ospitato una famiglia di profughi curdi, avrebbero favorito l’immigrazione clandestina. Anche in questo caso l’accusa è stata giudicata infondata dalla procura, che ha chiesto l’archiviazione.

Anche a Pordenone, tre donne ultrasessantenni, erano state accusate di invasione di terreni per aver aiutato «a recuperare coperte e quanto necessario e i restanti indagati si accampavano all’interno».

Dal 2015 al 2018, nell’Ue sono state indagate 158 persone e 16 ong per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, secondo un rapporto di Amnesty International, che ha denunciato la troppa discrezionalità degli stati membri nell’interpretazione del reato. È «sempre più evidente», conclude Baobab, «che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, così come disciplinato in Italia, voglia demonizzare – gettando fango sulle associazioni di volontariato e mortificando e scoraggiando l’aiuto umanitario – la migrazione stessa e precludere la possibilità di uomini, donne e bambini di mettersi in salvo da conflitti, violenze e fame».

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