Massimo Pizza, intermediatore finanziario, ha riferito dei suoi rapporti con la criminalità organizzata siciliana e calabrese e di una grossa operazione di riciclaggio da lui gestita assieme a tali soggetti, in merito alla quale ha fornito specifiche coordinate e dettagli che hanno consentito di svolgere i dovuti accertamenti a riscontro e conferma delle sue dichiarazioni. Ha riferito altresì circostanze di interesse nel presente procedimento
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.
Nel medesimo periodo in cui l’Ufficio svolgeva le sue indagini sui movimenti leghisti meridionali, nell’ambito di un’altra indagine per riciclaggio, intraprendeva la propria collaborazione tale Massimo Pizza, intermediatore finanziario, risultato in quell’indagine soggetto effettivamente legato ad esponenti di spicco della criminalità organizzata.
In particolare, il Pizza ha riferito dei suoi rapporti con la criminalità organizzata siciliana e calabrese e di una grossa operazione di riciclaggio da lui gestita assieme a tali soggetti, in merito alla quale ha fornito specifiche coordinate e dettagli che hanno consentito di svolgere i dovuti accertamenti a riscontro e conferma delle sue dichiarazioni. Sempre nell’ambito di tale collaborazione, il Pizza ha riferito altresì circostanze di interesse nel presente procedimento.
In particolare, il Pizza ha affermato di avere appreso nel 1991 da Carmelo Cortese, indicato come massone piduista ed esponente di vertice della ‘ndrangheta, che la lega meridionale era la longa manus di Cosa Nostra e che doveva attuare un progetto di rivoluzione politica, ispirato da Licio Gelli, sfociante in una nuova forma di stato. Nell’interrogatorio del 25 luglio 1996 il Pizza forniva ulteriori particolari: “ ...Cortese... mi parlò della Lega Meridionale come di una longa manus di Cosa Nostra per attuare il predetto progetto di rivoluzione politica. Il pro getto si articolava in tre fasi:
- una fase di infiltrazione nelle istituzioni ed in particolare nell’Arma dei carabinieri e nella Polizia (al riguardo il Cortese diceva che avevano un sacco di amici nella Forze dell’Ordine);
- una seconda fase consistente nella delegittimazione della classe politica e della Magistratura. In proposito il Cortese mi disse che in qualsiasi momento potevano mettere nei guai chiunque perché erano ricattabili. Ciò mi disse prima anco ra che scoppiasse “tangentopoli”;
- una terza fase militare. A riguardo mi disse che si sarebbe giunti a uno scontro con il Nord e che loro non avevano problemi perché erano molto più organizzati ”.
Il Pizza ha riferito inoltre che di un progetto politico “rivoluzionario”, ispirato da Licio Gelli e dalla “massoneria internazionale”, gli aveva parlato altresì l’avvocato Egidio Lanari, anch’egli massone, nonché fondatore della “Lega Meridionale Centro Sud-Isole” (lo stesso avvocato Lanari di cui si è parlato sopra) e il suo “braccio destro” Antonio D’Andrea.
In particolare, il Lanari ed il D’Andrea si sarebbero “sfogati” con il Pizza (che, per un malinteso, ritenevano essere un funzionario dei servizi segreti) lamentandosi del comportamento di Licio Gelli, al quale attribuivano la responsabilità del fallimento del progetto politico della Lega Meridionale, anche per non aver adempiuto all’impegno di far affluire cento miliardi di lire di finanziamento al movimento (somma di denaro che sarebbe stata raccolta negli ambienti della massoneria e della criminalità organizzata).
Il progetto politico, i cui principali “punti programmatici” Pizza sosteneva di aver letto condensati in un documento di otto pagine mostratogli da Lanari, consiste va nella creazione nel Meridione di una serie di leghe che si sarebbero dovute fondere sotto la sigla della Lega Meridionale.
Per la riuscita del progetto si erano stabiliti, fin dal 1989, rapporti con la Lega Nord, con la quale si sarebbe dovuto stringere un patto elettorale per il tramite di Gian Mario Ferramonti, il personaggio al centro dell’indagine “Phoney Money” della Procura della Repubblica di Aosta (sulla quale si tornerà oltre). Il Lanari attribuiva a se stesso e a Giorgio Paternò, esponente di spicco della massoneria, la paternità del nuovo soggetto politico, al quale si erano dimostrati interessati anche i noti Giuseppe Mandalari e Stefano Delle Chiaie (indagati nel presente procedimento).
Il progetto sarebbe poi fallito, principalmente a causa di una sorta di “voltafaccia” di Gelli, il quale avrebbe svolto un’opera di discredito e di destabilizzazione della Lega Meridionale, che Lanari sospettava essersi realizzata anche mediante l’infiltrazione all’interno del nuovo movimento politico di alcuni ambigui personaggi legati ai “servizi segreti”.
Il “voltafaccia” di Gelli si era determinato - sempre a dire del Lanari - dal contrasto sorto sulla denominazione del movimento politico, che in realtà rifletteva un sostanziale contrasto di linea politica. Infatti, mentre Lanari e i suoi più stretti collaboratori volevano cambiare la denominazione da Lega Meridionale Centro-Sud-Isole in Lega Meridionale per l’Unità Nazionale, Gelli e i suoi “fedelissimi” volevano mantenere la vecchia denominazione e la correlata vocazione più spiccatamente meridionalista.
Ed il Pizza ha riferito anche di avere appreso dal D’Andrea di “pressioni” in favore della linea gelliana esercitate da personaggi della massoneria siciliana come Giuseppe Mandalari.
Un’altra causa del fallimento del progetto politico della Lega andrebbe poi individuata nel comportamento di alcuni personaggi politici, fra cui il sen. Giulio Andreotti, che prima avevano promesso di appoggiarlo e poi si erano “tirati indietro”, perché avevano ad un certo punto iniziato a diffidare delle persone che vi erano implicate. In proposito, va evidenziato che anche nell’appunto di Elio Ciolini si allude ad una sorta di “disimpegno” di Andreotti (definito “reticente”) e di una “pressione” operata nei suoi confronti mediante l’omicidio Lima.
Che vi furono contatti fra il sen. Andreotti ed ambienti della Lega Nord, in particolare proprio col professor Francesco Miglio lo ha ammesso lo stesso Miglio nel corso della sua intervista pubblicata su “Il Giornale” del 20/3/1999, acquisita in atti, ove il professor Miglio, facendo riferimento ad un possibile appoggio, da parte della Lega Nord, della candidatura del senatore Andreotti alla Presidenza della Repubblica nel ’92, ha dichiarato: “Con Andreotti ci trovammo a trattare di nascosto a Villa Madama, sulle pendici di Monte Mario, davanti a un camino spento”, e subito dopo ha rammentato di non avere ottenuto la nomina a senatore a vita per l’opposizione di Cossiga “nonostante Andreotti insistesse tanto”.
Fin dalla loro acquisizione, le dichiarazioni di Pizza evidenziavano una straordinaria convergenza con le altre risultanze del presente procedimento, al punto da far concretizzare l’ipotesi di una possibile ulteriore chiave di lettura dell’omicidio Lima che spiegherebbe anche l’apparente contraddizione interna delle dichiarazioni di Leonardo Messina, laddove quest’ultimo attribuisce ad Andreotti (unitamente a Gelli e ad altri) un ruolo di coprotagonista nella strategia volta a creare nuovi assetti politici nazionali, quando invece egli ne risulta la prima “vittima” con l’omicidio Lima, primo “atto esecutivo” della strategia.
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