Dall’esame degli elementi di prova presi in considerazione nei paragrafi precedenti si desume che:

A) i cugini Salvo, profondamente inseriti in "Cosa Nostra", furono più volte interpellati da persone associate all’illecito sodalizio per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali, manifestarono a diversi “uomini d’onore” i loro stretti rapporti con l’on. Lima, e, nei colloqui con una pluralità di esponenti mafiosi, evidenziarono i loro rapporti con il sen. Andreotti;

B) i cugini Salvo, sul piano politico, offrirono un sostegno aperto ed efficace (seppure non esclusivo) a diversi esponenti della corrente andreottiana, sulla base dello stretto rapporto di collaborazione e di amicizia personale che essi avevano instaurato da lungo tempo con l’on. Lima;

C) tra il sen. Andreotti ed i cugini Salvo si svilupparono anche diretti rapporti personali; infatti:

- il sen. Andreotti inviò un regalo (consistente in un vassoio d’argento) in occasione delle nozze della figlia primogenita di Antonino Salvo, Angela Salvo;

- nel corso di un incontro conviviale svoltosi presso l’Hotel Zagarella il 7 giugno 1979, il sen. Andreotti ebbe ripetutamente occasione di parlare con Antonino Salvo con modalità tali da ingenerare in due testimoni oculari il convincimento che essi già si conoscessero;

- il sen. Andreotti manifestò il proprio interessamento - attraverso una telefonata compiuta da un soggetto appartenente alla sua segreteria - per le condizioni di salute di Giuseppe Cambria (persona strettamente legata ai Salvo e loro socio nella SATRIS S.p.A.) nel periodo (dal 5 all’8 settembre 1983) in cui quest’ultimo si trovava ricoverato a seguito di una crisi cardiaca presso l’Ospedale Civico di Palermo;

- in una agendina sequestrata ad Ignazio Salvo in data 12 novembre 1984 era annotato il numero telefonico del sen. Andreotti;

D) il sen. Andreotti per i propri spostamenti in Sicilia utilizzò in più occasioni, ed anche per periodi di diversi giorni, un’autovettura blindata intestata alla SATRIS S.p.A., concessa in prestito all’on. Lima da Antonino Salvo.

L’imputato, nelle spontanee dichiarazioni rese all’udienza del 29 ottobre 1998, ha affermato “di non aver mai conosciuto e a maggior ragione di non aver mai avuto rapporti con i cugini Salvo” ed ha aggiunto: “non avrei avuto alcuna ragione di nascondere questi rapporti, considerato che per quanto è emerso anche nel corso di questo procedimento i SALVO fino al loro coinvolgimento processuale erano ben considerati nella società siciliana e i loro inviti era ambitissimi e non vi sarebbe stato quindi alcun motivo di nascondere la mia frequentazione con loro. Si sarebbero certamente potute trovare di conseguenza decine e decine di documentazioni fotografiche, così come sono state trovate, per esempio, numerose documentazioni fotografiche che testimoniano di rapporti e di contatti tra me e il defunto Onorevole LIMA o altre personalità siciliane. Così come del resto sono state trovate copiose prove fotografiche di incontro tra lo stesso Onorevole LIMA e i SALVO. Nel confermare che non ho conosciuto i cugini SALVO, né con loro ho avuto rapporti, rammento soltanto che intorno agli anni ‘70 in occasioni di discussioni e di polemiche relativamente al problema della concessione di esattorie, ho sentito il loro nome ma non mi occupavo del settore e non detti alcuna importanza. Nessuno mi ha più parlato successivamente dei SALVO. Li ho quindi sentiti evocare nuovamente solo in occasione dei processi che mi riguardano. Essendo stato Ministro delle Finanze dal 1955 al 1959 sono andato a ricercare chi erano i miei interlocutori del settore esattoriale in quel periodo, ho riscontrato ed ho qui le copie del bollettino ufficiale come fosse composto il comitato direttivo dell’associazione degli esattori ARNET, che ricevevo appunto come Ministro delle Finanze. Non esistono i SALVO”.

L’asserzione dell’imputato di non avere intrattenuto alcun rapporto con i cugini Salvo è, tuttavia, inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie sopra riassunte.

La versione dei fatti offerta dal sen. Andreotti non può trovare un valido riscontro nelle deposizioni rese dai familiari dei cugini Salvo, che – per le ragioni sopra esposte - non possono assumere una significativa valenza dimostrativa ai fini della ricostruzione delle relazioni politiche intrattenute da questi ultimi.

Deve, altresì, escludersi che l’insussistenza di rapporti tra l’imputato ed i cugini Salvo possa essere dimostrata dalle dichiarazioni rese dall’on. Sbardella, il quale, nel verbale di testimonianza del 31 marzo 1994, ha specificato di non sapere se il sen. Andreotti conoscesse i Salvo, ed ha aggiunto, invece, di essere a conoscenza dei rapporti di amicizia tra questi ultimi ed il sen. Vitalone.

La circostanza che l’on. Lima non abbia riferito all’on. Sbardella che il sen. Andreotti conosceva i cugini Salvo è agevolmente spiegabile, dato che i rapporti tra l’on. Lima e l’on. Sbardella si intensificarono (come si desume dal predetto verbale di testimonianza) intorno alla fine degli anni ’80, e cioè in un periodo in cui i Salvo erano già stati tratti in arresto con l’accusa di essere organicamente legati a "Cosa Nostra".

E’ quindi perfettamente comprensibile che, in questo contesto storico, l’on. Lima (il quale – come ha chiarito lo stesso Sbardella nelle dichiarazioni rese in data 16 settembre 1993 davanti al P.M. – “ebbe sempre nei confronti di ANDREOTTI un comportamento assolutamente leale”) abbia evitato di rendere noti all’on. Sbardella i rapporti personali e politici che in passato erano intercorsi tra i cugini Salvo ed il capo della sua corrente. Un diverso atteggiamento avrebbe, infatti, consentito all’on. Sbardella di venire a conoscenza di vicende su cui il sen. Andreotti aveva un indubbio interesse a mantenere la massima riservatezza. Ed è appena il caso di rilevare come la diffusione di siffatte informazioni da parte dell’on. Sbardella (il quale, oltretutto, pochi anni dopo iniziò a contestare la linea politica del capo della corrente) avrebbe potuto determinare un grave pregiudizio per l’immagine pubblica del sen. Andreotti.

Resta, però, da verificare quale valenza probatoria possano assumere, rispetto alle contestazioni mosse all’imputato, i suoi accertati rapporti diretti con i cugini Salvo.

Gli elementi di convincimento raccolti, invero, non sono tali da dimostrare che l’imputato abbia manifestato ai cugini Salvo una permanente disponibilità ad attivarsi per il conseguimento degli obiettivi propri dell’associazione mafiosa, o comunque abbia effettivamente compiuto, su loro richiesta, specifici interventi idonei a rafforzare l’illecito sodalizio.

La circostanza che i Salvo abbiano evidenziato i loro rapporti con il sen. Andreotti nei colloqui con diversi esponenti mafiosi, giungendo anche a parlarne in termini amichevoli (“come se potessero, in qualsiasi momento, poter contare sul Senatore”, secondo le parole del Buscetta) ed a specificare che l’interlocutore avrebbe potuto rivolgersi a loro qualora avesse avuto bisogno del sen. Andreotti (come ha specificato il Pennino), non è sufficiente a provare che l’imputato abbia espresso la propria adesione al sodalizio criminoso mettendosi a disposizione di esso, ovvero abbia prestato un contributo causalmente orientato ad agevolare l’associazione.

Né può pervenirsi a diverse conclusioni sulla base delle dichiarazioni de relato di alcuni collaboratori di giustizia, secondo cui il Badalamenti ed il Bontate avevano avuto rapporti con il sen. Andreotti tramite i Salvo, il Riina aveva acquisito la disponibilità di tutte le amicizie dei cugini Salvo, tra cui quella con il sen. Andreotti (come affermato dal Sinacori), ed Antonino Salvo poteva rivolgersi al predetto uomo politico il quale gli aveva manifestato la propria concreta disponibilità in alcune occasioni (secondo quanto ha riferito il Di Carlo).

Si tratta, infatti, di asserzioni che, per la loro genericità, non consentono di individuare precisi comportamenti penalmente rilevanti. Esse potrebbero assumere una significativa valenza probatoria solo se a simili espressioni aventi carattere riassuntivo si accompagnasse la indicazione (che nel caso di specie manca) di determinati interventi favorevoli a "Cosa Nostra", realizzati dall’imputato.

Nell’assenza di ulteriori specificazioni, gli elementi addotti non assumono una consistenza tale da potersi affermare che l’imputato abbia effettivamente instaurato una stabile collaborazione con l’illecito sodalizio per la realizzazione del programma criminoso. Inoltre, per quanto attiene alla disponibilità che sarebbe stata da lui concretamente manifestata a fronte di talune richieste dei Salvo, va osservato che non vi è prova che si sia trattato di comportamenti funzionalmente connessi all’attività dell’organizzazione mafiosa.

Non assumono decisivo rilievo neppure le affermazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo secondo cui, per ottenere una pronunzia favorevole agli imputati nel processo per l’omicidio dell’agente Cappiello, Ignazio Salvo si impegnò a sottoporre il caso all’on. Lima, il quale, a sua volta, avrebbe dovuto rivolgersi all’on. Andreotti.

Al riguardo, si è già avuto modo di osservare che il Mutolo non è stato in grado di riferire se Ignazio Salvo abbia effettivamente trasmesso la predetta segnalazione all’on. Lima ed al sen. Andreotti, ed ha aggiunto che dopo la morte del Riccobono non vi fu alcun interessamento.

È quindi rimasta indimostrata la realizzazione, da parte dell’imputato, di concrete condotte tendenti ad agevolare l’associazione di tipo mafioso. Resta da verificare se possano assumere un inequivocabile valore sintomatico le inattendibili dichiarazioni rese dall’imputato, il quale ha negato di avere intrattenuto qualsiasi rapporto con i cugini Salvo, ritenendo, evidentemente, che non sarebbero state raccolte prove documentali e testimoniali idonee a dimostrare incontrovertibilmente il contrario di quanto da lui sostenuto.

Solo gli elementi di convincimento successivamente evidenziati hanno smentito una simile valutazione prognostica, ragionevolmente fondata sulla dispersione di numerosi elementi di prova per effetto del decorso del tempo, sulle modalità nelle quali si erano esplicati i contatti dell’imputato con i cugini Salvo, e sulle prevedibili controspinte psicologiche proprie dei testimoni oculari (ben difficilmente disposti ad offrire all’autorità giudiziaria il loro patrimonio conoscitivo, a causa della preoccupazione di “entrare in un gioco più grande di loro” deponendo in un processo instaurato a carico di un uomo politico dotato di molteplici legami con i detentori del potere nelle più diverse sedi).

E’ prospettabile l’ipotesi secondo cui alla base dell’assoluta negazione, da parte dell’imputato, dei propri rapporti con i cugini Salvo, vi sarebbe una precisa consapevolezza del carattere illecito di questo legame personale e politico. Ma è del pari prospettabile l’ipotesi che il sen. Andreotti con il suo contegno processuale abbia solo cercato di evitare ogni appannamento della propria immagine di uomo politico, adoperandosi tenacemente per impedire che nell’opinione pubblica si formasse la certezza dell’esistenza dei suoi rapporti personali con soggetti quali i cugini Salvo, organicamente inseriti in "Cosa Nostra" ed indicati da Giovanni Brusca come coinvolti nel disegno di uccidere il Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo dott. Rocco Chinnici (cfr. sull’argomento le dichiarazioni rese dal Brusca alle udienze del 28, 29 e 30 luglio 1997).

Deve dunque rilevarsi che l’accertata esistenza di diretti rapporti personali e di un intenso legame politico tra il sen. Andreotti ed i cugini Antonino e Ignazio Salvo non è sufficiente a provare la partecipazione dell’imputato all’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, o la realizzazione, da parte del medesimo soggetto, di condotte sussumibili nella fattispecie del concorso esterno.

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