Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


«Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno può essere pure che non ci risvegliamo più!! Picciotti, vedete che non è finito niente, questi i morti li hanno sempre per davanti, ci sono sempre le ricorrenze, si siedono a tavola e manca questo e manca quello, queste cose non le possiamo scordare». C’è tensione nelle parole di Rotolo. Le sue paure le confida a Franco Bonura il 9 agosto del 2005 nel residence di viale Michelangelo.

Sono passati oltre venti anni dalla mattanza, ma l’incubo sembra di nuovo materializzarsi. Rotolo parla degli Inzerillo e dei loro lutti che risalgono alla guerra di mafia. Li immagina riuniti in occasione di un matrimonio, di un battesimo o di una festa comandata e sa che, soprattutto in quei momenti, monta in loro l’odio verso i “corleonesi”, i carnefici della famiglia. Un odio che apparentemente possono anche mascherare, ma che prima o poi ineluttabilmente riaffiorerà con violenza.

Dopo un lungo soggiorno negli Usa, nel dicembre del 2004, è rientrato in Italia Sarino, ossia Rosario Inzerillo. Le autorità nordamericane lo hanno espulso come “indesiderabile”. Il fatto non

passa sotto silenzio. Dentro l’organizzazione si discute mentre i poliziotti ascoltano. Rotolo, Cinà e Bonura si scambiano impressioni, opinioni e confidenze. Devono decidere una strategia. Sarino è uno dei fratelli di Salvatore Inzerillo, capo mandamento di Passo di Rigano, trucidato il 10 maggio 1981 per ordine di Toto Riina. Sarino è fratello di Santo Inzerillo, di cui non si è nemmeno trovato il cadavere. Sarino è fratello di Pietro Inzerillo che i corleonesi hanno inseguito in capo al mondo per poi assassinarlo a revolverate nel New Jersey, il 15 gennaio del 1982, seviziandone il cadavere con il taglio dei testicoli e infilandogli nella bocca una mazzetta di dollari.

Oltre a Sarino in Italia sono già tornati altri due Inzerillo. Giuseppe, figlio di Santo, e Francesco, detto u truttaturi, figlio di Pietro. Anche lui, dopo avere scontato dieci anni di carcere negli USA per

traffico di stupefacenti, nel 1997 viene rimpatriato perché giudicato “indesiderabile” dalle autorità americane.

Rotolo non può dormire tranquillo. Sa che il dolore tiene sveglia la memoria. Sa che, per il sangue di un proprio congiunto, non esiste il perdono nel codice di Cosa Nostra. Sa che la vendetta è un modo per essere in pace con se stessi, per soffrire meno e per farsi rispettare dagli altri. Quando Bernardo Provenzano gli parla di “perdono”, Rotolo ricorda che lo stesso Binnu per un “regolamento di conti” nei confronti di un certo Giovanni Palazzotto di Corleone aveva atteso cinquanta anni, crivellandolo di colpi nella piazza centrale del paese.

E’ una questione di “onore”, soprattutto per una famiglia come gli Inzerillo nella quale “l’intrico incredibile delle parentele – come diceva Giovanni Falcone - è tale che si fatica a raccapezzarsi ed è

interessante notare che, ad ogni ulteriore generazione, i collegamenti si fanno più stretti a seguito di matrimoni tra cugini”. Una famiglia per cui “l’endogamia è scientemente perseguita nel quadro di un apparente recupero dei valori tradizionali, strumentali per rendere maggiormente omogeneo e coeso il gruppo”.

Della insanguinata e convulsa primavera del 1981 Rotolo è stato un protagonista. Ha partecipato alle stragi con cui Riina, nel giro di due anni, aveva preso il potere dentro Cosa Nostra, con una spaventosa ecatombe di oltre cinquecento persone, fatta di sangue nelle strade, “uomini disciolti nell’acido” e altre forme di “lupara bianca”.

Anche il boss di Pagliarelli è espressione di quella crudeltà. Una crudeltà che aveva persino portato qualcuno a tradire la famiglia. Come Tommaso Inzerillo inteso Masino, cugino di Totuccio, che baratta la sua vita con la morte di Pietro, fratello di Totuccio.

Agli agguati che nell’arco di venti giorni avevano eliminato i due nemici più potenti e pericolosi, Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, Rotolo aveva fornito un prezioso contributo. A quei tempi era

molto “vicino” a Pippo Calò, e quindi al gruppo dei capimandamento o boss emergenti fedeli a Riina. I giudici della corte di assise di Palermo lo inseriscono tra le “gole profonde” che portano ai corleonesi notizie preziose sui movimenti delle vittime designate. Giuseppe Marchese, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo ricordano come nel “mondo” di Cosa Nostra si congetturasse del coinvolgimento anche di Nino Rotolo nella decisione di sopprimere proprio Salvatore Inzerillo.

Quel Salvatore Inzerillo che con gli Spatola, i Gambino e i Di Maggio, sul finire degli anni settanta per primo aveva organizzato il traffico di stupefacenti su larga scala, iniziando a raffinare in proprio la morfina base con l’importazione di tecnici marsigliesi, per poi spedire l’eroina nel mercato nordamericano grazie ai contatti privilegiati oltreoceano.

Quell’Inzerillo potentissimo nel commercio della droga che, secondo Riina, si era dimostrato avido e egoista penalizzando i viddani della provincia e per questo doveva pagare con la vita assieme a tutti i suoi familiari.

Il casus belli, che aveva scatenato la mattanza degli anni 1981-1983, era dato dal controllo delle rotte che portavano la droga in america, e di conseguenza dei dollari che venivano da lì.

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