Ora Rotolo è braccato. Ma non si rassegna. Non sottovaluta il fatto che gli Inzerillo in Sicilia possono coagulare una fazione dei “perdenti della guerra di mafia” che nutre sentimenti di rivalsa. Pensa all’uso della forza, alle risorse umane da mettere in campo e ai mezzi da utilizzare per non uscire sconfitto...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
Mentre nel residence di viale Michelangelo si discute, gli Inzerillo hanno già programmato la vendetta. Vogliono colpire proprio Rotolo. Queste almeno sono le sensazioni del capo del mandamento di Pagliarelli.
Lui si affretta a rappresentare quello stato d’animo ad un anziano “uomo d’onore”, Michele Oliveri, il 22 settembre del 2005. Lo informa sugli scenari che si determinano con la presenza in Italia di Rosario detto Sarino, Tommaso “u muscuni”, Franco “u truttaturi” e Giuseppe Inzerillo. Vuole preparare gli altri sodali nel caso in cui egli fosse venuto a mancare.
Rotolo racconta che “Franco u truttaturi” aveva già provato a ucciderlo. Era accaduto a Passo di Rigano, qualche anno prima, al suo rientro a casa dopo un periodo di carcere. Lo aveva notato mentre si appostava in macchina nei pressi della sua abitazione pronto a scaricargli addosso i proiettili del suo revolver.
Quella sera Rotolo aveva sventato il pericolo saltando il cancello e rifugiandosi in casa. Ma il boss ne è sicuro, gli Inzerillo ci riproveranno.
Con Michele Oliveri Rotolo parla anche di Giuseppe Inzerillo, il figlio di Santo. Sa di essere un suo bersaglio. Nel processo per l’omicidio di Santo Inzerillo, il pentito Giuseppe Marchese ha ricordato che la vittima fu attirata in un tranello. Si era recato ad una riunione per avere un chiarimento su chi avesse ucciso il fratello Francesco. Ad aspettarlo, secondo il racconto di Marchese, c’erano i suoi sicari ed a mettergli la corda al collo per strangolarlo era stato proprio Nino Rotolo.
Quest’ultimo, adesso, sente il fiato sul collo del figlio di Santo: “questi Inzerillo erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno qualche trent’anni….come possiamo noi stare sereni….se ne devono andare..e poi uno e poi l’altro e poi l’altro ancora..devono starsene in America”. E aggiunge: “se questi prendono campo ci scippano la testa a tutti”.
Ha la coscienza sporca il capo di Pagliarelli. Quando parla coi fedelissimi Cinà e Bonura dello sterminio degli Inzerillo, lo riconosce: “io sono uno che ha partecipato a queste cose”. Era stato talmente protagonista di quella stagione che, prima dell’omicidio Bontade, personalmente Rotolo aveva condotto la delicata “missione” mediante la quale i “corleonesi” tentarono di avvicinare Totuccio Inzerillo proponendogli un accordo con Riina per la spartizione del potere dentro Cosa Nostra.
Ora Rotolo è braccato. Ma non si rassegna. Non sottovaluta il fatto che gli Inzerillo in Sicilia possono coagulare una fazione dei “perdenti della guerra di mafia” che nutre sentimenti di rivalsa. Pensa all’uso della forza, alle risorse umane da mettere in campo e ai mezzi da utilizzare per non uscire sconfitto. Ha una carta importante da giocare dentro Cosa Nostra: la sua costituzione, le sue regole fondamentali.
Vuol fare valere la decisione dell’organo supremo della organizzazione.
Annuncia ai suoi uomini più fidati che deve essere rispettata la delibera della Commissione degli anni ottanta. E informa anche Bernardo Provenzano di questo suo orientamento.
In effetti la decisione di “esiliare” i superstiti della famiglia Inzerillo non era mai stata messa formalmente in discussione. Costituiva il punto di mediazione tra i corleonesi e le cinque grandi famiglie di New York, i Gambino, i Bonanno, i Lucchese, i Genovese e i Colombo.
Cosa Nostra americana si era dichiarata disponibile a continuare a fare affari anche con Riina a condizione che si interrompesse la spirale di morte che incendiava Palermo e che avrebbe potuto rendere devastante la reazione dello Stato.
Dovevano interrompersi le rappresaglie nei confronti degli Inzerillo. Ma a tutti i componenti di questa famiglia, di ogni età e sesso, non era più consentito “mettere piede” a Palermo e nei comuni della provincia, per il resto dei loro giorni.
Ad accordo raggiunto, si era nominato un “garante” per farlo rispettare, Rosario Naimo. E’ un “uomo d’onore” della famiglia mafiosa di “Tommaso Natale – Cardillo”, transitato poi alla famiglia di San Lorenzo, e molto vicino a “Pippo” Gambino. Rosario Naimo ha il compito di avvertire i corleonesi quando, per qualsiasi motivo, un Inzerillo torna in Italia. Rosario Naimo è l’autorità competente a far rispettare il “divieto di dimora” stabilito dalla commissione.
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