Essere cittadini liberi, prima che sportivi: le storie di Khosravi, Mehdipour e Rabiei

La medaglia d’oro di essere sé stessi. Gli atleti iraniani in fuga dal regime

Dayon Rabiei, atleta di muay thai, durante una manifestazione dell'Associazione degli atleti iraniani per la libertà: scappato dal suo paese, oggi vive ad Amburgo (FOTO: Instagram / @dayondal)
Dayon Rabiei, atleta di muay thai, durante una manifestazione dell'Associazione degli atleti iraniani per la libertà: scappato dal suo paese, oggi vive ad Amburgo (FOTO: Instagram / @dayondal)
Dayon Rabiei, atleta di muay thai, durante una manifestazione dell'Associazione degli atleti iraniani per la libertà: scappato dal suo paese, oggi vive ad Amburgo (FOTO: Instagram / @dayondal)

Il karateka Anshan Khosravi, da Stoccolma: «Ci viene chiesto di rappresentare un’ideologia imposta, non il popolo. Scappare era l’unico modo, dovevo scegliere che essere umano diventare». Kasra Mehdipour, campione di taekwondo oggi a Berlino: «Il governo abusa della nostra popolarità imponendoci di essere espressione del potere». Dayon Rabiei e il muay thai come cura dopo le molestie del suo coach: «Mi è stato ordinato di ritirarmi per non lottare contro un israeliano. Solo con la caduta del regime potremo ripristinare libertà, trasparenza e pari opportunità»

«Come due monti si levarono l’un contro l’altro quei leoni; e nessuno dei due cedette, né si stancò della lotta con l’altro»: è l’ultimo verso che Anshan legge prima di lasciare l’Iran, un biglietto di sola andata per l’Europa in tasca e un kindle con l’opera di Ferdowsi nello zaino. Più volte il grande poeta epico persiano ha descritto la lotta corpo a corpo, un’antica tradizione della cultura iraniana. Un modo di cercare il proprio posto nel mondo. Anshan passa per i monti Zakros, nello stomac

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