Avrebbe serenamente potuto dire basta quest’estate, dopo aver lasciato un anno di contratto con il Lione. Ma il gigante serbo aveva altri piani, voleva una stagione da protagonista, anche a costo di abbassare il tiro. E così, all’improvviso, è sbarcato a Reggio Emilia. Un esperimento, fin qui, perfettamente riuscito
- Tutti i contenuti di Domani al 50% di sconto con la promo Black Friday. Abbonati ora a soli 60 euro all’anno, prezzo bloccato per sempre
Persino nel momento del dolore sportivo, costretto a vedere gli altri (il Siviglia) festeggiare la vittoria di un’Europa League arrivata ai calci di rigore, Nemanja Matić non ha perso la calma. Ha guardato Paulo Dybala, che osservava la medaglia d’argento tramortito e con gli occhi lucidi, e gli ha battuto la mano sul petto. «That’s football», ha detto con un tono da fratello maggiore, da padre saggio, da uomo che ne ha vissute tante e in quel momento cerca di alleviare la sofferenza di chi gli sta accanto. Perché c’è qualcosa di intangibile che esula dalla tecnica, che restituisce più di qualsiasi giocata la cifra di un calciatore.
A 37 anni suonati, con una carriera spesa in larga parte in squadre di primissimo piano, Matić avrebbe serenamente potuto dire basta quest’estate, dopo aver lasciato sul tavolo un anno di contratto con il Lione. Ma il gigante serbo aveva altri piani, voleva continuare a giocare e a farlo da protagonista, anche a costo di abbassare il tiro. E così, all’improvviso, ha firmato a parametro zero con il Sassuolo neopromosso in Serie A. Un esperimento, fin qui, perfettamente riuscito.
Porto sicuro
C’è una zona del campionato di cui si parla sempre, un’altra per la quale ci si appassiona soltanto nel finale, infine una che desta poco interesse all’inizio e alla fine. È la «zona tranquillità»: troppo in alto per aver paura di retrocedere, troppo in basso per poter sognare qualcosa di più. In questo limbo, decisamente ben accetto dal Sassuolo, l’impatto di Matić è stato lo stesso che Luka Modrić ha avuto al Milan: si è piazzato davanti alla difesa, scaricando il contachilometri partita dopo partita, senza mai uscire dal campo.
La velocità di punta non è mai alta, ma non c’è nulla di ciò che fa in campo che possa essere definito superfluo. Matić è il porto sicuro del Sassuolo, l’uomo al quale affidare la palla quando i ritmi si fanno troppo alti. Vede avversari arrivargli addosso al doppio della sua velocità, eppure alla fine il pallone è sempre tra i suoi piedi. Una lentezza irresistibile, perché abbinata a un quoziente intellettivo calcistico fuori scala: pur senza quella genialità, le movenze felpate dei dribbling lenti di Matić ricorda quella di un ex asso del parquet come Dejan Bodiroga.
Di recente, intervistato da Sky, ha ricordato il momento dell’addio alla Roma, una decisione vissuta come un tradimento dalla piazza e da José Mourinho, che a lungo lo ha pizzicato a distanza chiamandolo «il signor Matić», ma che anche al centrocampista serbo non andò giù. Una rottura figlia, a suo dire, di una serie di incomprensioni con Tiago Pinto. L’impressione, a rivederlo in Serie A dopo due stagioni, è che Matić potrebbe ancora dire serenamente la sua anche in una squadra in lotta per l’Europa, magari non da titolare inamovibile, ma come utilissimo tassello di ricambio.
Il Modrić di cui nessuno parla
Non era quello che cercava ed è diventato il Modrić del Sassuolo, il Modrić di cui nessuno parla, perché del fuoriclasse croato non ha mai avuto né lo status, né l’estro. Sta però dimostrando, se ce ne fosse bisogno, che non tutti gli over 35 che arrivano in Serie A lo fanno per svernare, anzi: «I grandi vecchi sono in forma – ha detto sorridendo sempre a Sky – anche se ovviamente non giudico i giovani, non è facile. Aiutarli adesso è più difficile, perché hanno facilmente accesso a tutto. Per loro diventa difficile concentrarsi unicamente sul campo».
Da quando si è messo a disposizione di Fabio Grosso, Matić ha saltato soltanto otto minuti, nella partita d’esordio: da quel momento in poi, è diventato il centro di gravità permanente di una squadra dagli inevitabili alti e bassi. Imprescindibile, profondamente cerebrale, capace di far fermare i suoi a pensare anche quando la partita sta andando in una direzione opposta, come un manipolatore del tempo che scorre.
Ha visto e giocato così tanto calcio nel corso degli anni da poter diventare padrone di un incontro senza mettere a segno gol e senza fare assist, soltanto rendendo più facile la vita di chi gli corre accanto o alle spalle, che si chiami Koné o Thortsvedt, Idzes o Muharemović. Senza mai dare nell’occhio, nascosto in piena vista, Matić continua a fare quello che ha sempre fatto per tutta la carriera, mettere ordine nel disordine del centrocampo.
«That’s football», del resto: c’è chi prende le prime pagine e chi è destinato a lavorare in silenzio. Prima della partita con l’Atalanta, interpellato sul peso di Matić nel sistema Sassuolo, Grosso ha utilizzato una sola parola. «Nemanja è carismatico», ha detto. E forse non c’è bisogno di aggiungere altro.
© Riproduzione riservata



