Michieletto: «Ho avuto paura di vincere troppo. Credo nella forza della salute mentale nello sport»

Con le sue potenti schiacciate fa tremare gli avversari, con il sorriso travolgente si fa amare da tutti. Alessandro Michieletto chiude un 2025 tutto d’oro. A maggio il titolo di Campione d’Italia con Trentino Volley, a settembre si è riconfermato Campione del mondo con la Nazionale, eletto MVP sia ai Mondiali sia in Superlega. L’allegria che manifesta può essere fuorviante, come se a lui venisse tutto facile, senza alcuna paura. «La paura la conosco, eccome. Ho avuto timore di non sentirmi all’altezza o paura di vincere troppo». Paura di vincere troppo? Ho 24 anni, in pochi anni ho vinto tutto, spesso mi sono chiesto: dopo cosa c’è? Cosa c’è di meglio di questo? Faccio l’esempio del 2021, la mia prima estate con la Nazionale maggiore con la partecipazione ai Olimpiadi di Tokyo. Subito dopo è iniziato il ciclo del nuovo C.t. Fefè De Giorgi, a settembre vinciamo l’oro agli Europei. Poi raggiungo gli azzurrini e conquistiamo il Mondiale Under21. Con Trento vinciamo la Supercoppa. A 19 anni mi sono detto: sto vincendo troppo per essere così giovane, come faccio adesso a migliorarmi? Capiterà che non alzerò più nessun trofeo al cielo. Invece il futuro mi ha riservato tante altre soddisfazioni, grazie alla Nazionale e a Trento perché da soli non si va da nessuna parte. Ogni anno mi impegno ad essere sempre un qualcosa in più come atleta e come uomo fuori dal campo. La forza del «ti voglio bene» di un uomo: l’effetto che fa lo sport della fratellanza Il momento più difficile? Alle Olimpiadi di Parigi. Nelle partite importanti ci si era spenta un po’ la luce, eravamo delusi per il quarto posto, le aspettative erano alte, la risonanza mediatica era alle stelle. È stata tosta, mi ha aiutato staccare completamente la testa per 15 giorni. Credo nella potenza della salute mentale nello sport professionistico. Io non seguo un percorso fisso ma quando sento il bisogno chiamo una professionista che in passato mi ha aiutato. Un 2025 chiuso in bellezza con il club, Trento è campione d’inverno del campionato. Pensare che la stagione è iniziata in salita. Il Mondiale vinto è finito tardi, ad ottobre, e dopo una settimana c’era il via della Superlega. Noi azzurri eravamo cotti, senza praticamente aver riposato. A Trento avevamo cambiato allenatore, ci serviva conoscere Marcelo Mendez, affinare l’intesa con i nuovi arrivati e metabolizzare l’infortunio di Daniele Lavia. È stato un girone di andata in crescita costante. Le uniche due partite perse sono state fuori casa a Civitanova e Verona. Forse, se le avessimo giocate a casa... L’importanza del fattore campo. Al PalaTrento siete imbattuti da 13 mesi. Una città in testa alle classifiche per la qualità della vita e, nello sport, per i tanti campioni di diverse discipline. Lei ha sempre giocato qui, rifiutando le sirene di altre squadre anche all’estero. È la volontà di essere una bandiera? Sono cresciuto in una società che mi ha messo al centro di un progetto che mi piace e che si è rivelato vincente, con compagni che mi fanno stare bene. Se squadre importanti ti vengono a cercare è chiaramente un orgoglio, ma quando si è trattato di rinnovare il contratto fino al 2027 non ho avuto dubbi. Qui ho tutto ciò che mi serve. È un dare-avere reciproco. Trento mi ha cresciuto, responsabilizzato, e portato ai massimi livelli, io adesso ho il compito di mantenere questa società ai vertici. Una Nazionale vincente si costruisce in campionato. E in Italia c’è ancora da fare Lo scorso 21 ottobre nella sfida Trento-Cisterna ha realizzato 12 schiacciate vincenti su 12. L’efficienza del 100 per cento in attacco è una rarità, una prestazione eccezionale. Era la prima partita del campionato. Sono sincero, le statistiche le guardo relativamente. Ho avuto anche un po’ di fortuna, gli avversari mi hanno aiutato... Lei non riesce proprio a tirarsela. Quando è stato eletto miglior giocatore (Mvp) del Mondiale nelle Filippine ha detto: «Il premio per la finale lo avrebbero meritato Romanò e Bottolo». Non c’è mai un momento in cui davanti allo specchio se lo dice: sono il migliore del mondo? No no, migliore del mondo mai nella vita. Adoro il low profile che non deve essere confuso con falsa modestia. Sicuramente sono felice di ciò che sono diventato nel mondo del volley. Pregio? Altruista. Questo lo hanno capito tutti. Un difetto? Sono disordinato, chiedete alla mia fidanzata Maddalena con cui convivo da quattro anni. A volte sono impaziente. Ma forse il difetto peggiore è che sono pigro. Tantissimo. Il dominio della pallavolo italiana: anche la Nazionale maschile è campione del mondo (di nuovo) L’Italia è oro mondiale sia al femminile sia al maschile. A livello di club, assistiamo da anni alle continue vittorie italiane in Champions League. Un movimento virtuoso che alla base mette un grande lavoro nei settori giovanili. Lei ne è un esempio. Ha lasciato casa sua a Castiglione delle Stiviere per crescere nelle giovanili di Trento dove suo padre Riccardo, ex pallavolista, lavora come team manager. La differenza la fanno proprio le società con la voglia di puntare sui giovani, mettendoli nelle migliori condizioni per rendere: vitto e alloggio, strutture sportive di eccellenza, allenatori che sono educatori. C’è un dettaglio importante, i club non hanno paura di mandare in campo in Superlega un giovane, accettano le insidie di un processo di crescita. Altrimenti Trento avrebbe dovuto farmi fuori subito. I miei primi ingressi nel massimo campionato me li ricordo ancora, non erano tutti positivi, facevo errori ma sentivo la fiducia. Anche i tifosi si guardano bene dal criticare un giovane. La regola di schierare tre italiani titolari è un ulteriore incentivo. Nel volley non girano gli stessi soldi del calcio, costruirsi in casa i giovani talenti è un vantaggio nel lungo periodo per spendere meno soldi ad acquistare giocatori da fuori. Ma non tutti i giovani diventano campioni come lei. Bisogna sapere accettare che qualche ragazzo su cui una società investe poi purtroppo non riesce a sfondare. Lo devono accettare anche i giovani e le loro famiglie. Sto scoprendo che il mondo del calcio è molto diverso. Mio fratello Andrea ha 16 anni e gioca nella Primavera dell’Atalanta, mi ha stupito l’ossessione di alcuni genitori, quasi a volere i loro figli già subito campioni. Va a parlare nelle scuole. Come dice agli adolescenti? Mi piace raccontare i sacrifici che io ho fatto nello sport, stimolandoli nel doversi impegnare. Alcuni li vedo indecisi sul futuro. Dico loro di continuare a sognare, tenendo alta l’asticella delle ambizioni, accettando anche le cadute perché se non si sbaglia non si impara. I periodi difficili aiutano a diventare più forti. Simone Anzani, leggerezza e responsabilità: «Siamo ai Mondiali per arrivare in fondo» Non conosce le vacanze di Natale. Nel volley non vi fermate mai, giocate sempre da Santo Stefano all’Epifania tra campionato e Coppa Italia. Da piccolo adoravo il Natale e l’estate perché potevo stare in vacanza. Adesso sono diventati i periodi più impegnativi, in estate sono con la Nazionale e al mare non ci vado quasi mai. Durante le Festività del Natale gioco ancor di più rispetto alle altre settimane. Ma siamo felici perché facciamo ciò che più ci piace. Il clima di festa lo respiro comunque, i palazzetti sono stracolmi con tante famiglie. Vengono anche i nostri parenti, dai nonni ai cugini, poi andiamo insieme a cena. Ad alcuni piatti della tradizione non rinuncio. Nella tavola della famiglia Michieletto non può mai mancare... I tortelli di zucca e la lasagna, ovvio. Il polpettone con il purè. E una fetta di pandoro con la crema di zabaione. Ho la fortuna di avere un metabolismo veloce ma ovviamente zero abbuffate. A Natale una poltrona per due. Con chi? Michael Jordan. Lo presenterei in famiglia, mio padre potrebbe svenire. Il mio inglese è migliorato anche se temo sempre di non capire lo slang americano. Vabbè, c’è Google translate…