Nella famosa poesia di Piero Calamandrei Lapide ad ignominia, dedicata ad Albert Kesselring, il comandante in capo dei tedeschi in Italia durante la Seconda guerra mondiale, c’è il seguente passaggio: «Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio». In riferimento a questo verso, la responsabilità di questi crimini, come della guerra in generale, è data quasi esclusivamente ai tedeschi, ma non è sempre così. Negli ultimi anni uno dei fenomeni storici appartenenti alla Seconda guerra mondiale maggiormente analizzato è quello delle stragi nazifasciste. Il risultato più significativo ottenuto in questo senso è stato la realizzazione del portale straginazifasciste.it, un sito ove sono stati raccolti tutti gli episodi di strage avvenuti in Italia compiuti dai nazifascisti.

Questo progetto è il frutto del lavoro congiunto dei ministeri degli Esteri italiano e tedesco, che hanno collaborato, insieme ad altre istituzioni italiane, per capire nel miglior modo possibile l’impatto di questo fenomeno nello scenario di guerra italiano.

Responsabilità incrociate

Con l’atlante si è confermato quello che si era già intuito, ovvero che in Italia tra il 1943 e il 1945, si combatterono non solo le guerre tra gli eserciti alleati e tedeschi e quella tra partigiani e repubblichini, ma anche una guerra contro i civili italiani, colpevoli di essere considerati a prescindere fiancheggiatori della resistenza.

Per molti anni tutte le responsabilità delle stragi furono addossate ai nazisti, mentre le responsabilità italiane vennero spesso occultate, non permettendo la comprensione della complessità del fenomeno fascista, rafforzando invece il mito dell’“italiano brava gente” insieme a quello del “buon” fascismo italiano.

Anche storiograficamente si è approfondita soprattutto la matrice nazista della violenza, trascurando la componente fascista; pure dal punto di vista della semantica questo operato è stato definito con  l’aggettivo “nazifascista” sovrapponendo le responsabilità dei due alleati criminali, ma nella percezione comune ha trasferito tutte le responsabilità – comprese quelle fasciste - sui tedeschi.

Il caso di Marzabotto

Foto AGF

L’evento più tragicamente noto tra i 5.626 episodi di stragismo è sicuramente quello che viene comunemente definito come la strage di Marzabotto o anche di monte Sole. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre furono assassinati 770 donne, vecchi e bambini che vivevano attorno alle pendici del monte Sole, il più grande massacro di civili avvenuto nello scenario di guerra dell’Europa occidentale.

La drammaticità di questo episodio è stata talmente grande che per decenni di fatto ha rappresentato tutte le stragi e le violenze avvenute nel nostro paese per mano dei tedeschi, ma come spesso avviene per fatti così tragici e dolorosi, su di essi è calato un velo di oblio, un misto tra pietà e incomprensione di tanto male.

Questo occultamento ha celato molte delle storie accadute in quei tragici giorni, rendendo l’evento Marzabotto un totem. Per il grande pubblico ad alzare il velo fu Giorgio Diritti, primo a rappresentare in maniera cinematografica la strage di monte Sole; per dare un volto a questa tragedia il regista scelse la storia di Franco Leoni e della sua famiglia.

Leoni è morto nell’aprile del 2021, ma non prima di aver dato alle stampe la sua biografia, un modo per continuare a tramandare la memoria di Marzabotto e dei suoi caduti (Ti racconto Marzabotto. Storia di un bambino che è sopravvissuto, De Agostini).

Nel suo libro Leoni non ha voluto solo narrare il prima e il durante, ovvero cosa ha perso e come lo ha perso, ma soprattutto ha voluto raccontare la sua vita dopo la strage, un pezzo di storia sovente dimenticata. La guerra quasi sempre viene narrata in forma di circuito elettrico, acceso/spento, come un interruttore, ma non è così, i conflitti lasciano ferite e cicatrici fisiche e psicologiche che hanno strascichi decennali.

La vita di Leoni dopo la strage fu la vita di un bambino abbandonato, dimenticato da tutti, perso tra orfanotrofi e adulti impegnati a fare altro, lasciato solo a dover convivere con quelle lacerazioni. La guerra – così la definiva Leoni – è un qualcosa di terribile, che nessuno merita di vivere, quindi dobbiamo amare e difendere la pace. Un messaggio che va tenuto stretto proprio in questi tempi di guerra, ritornata nel cuore d’Europa dopo 80 anni.

Violenza fascista

Foto Wikipedia

Se Leoni è stato una vittima della guerra, ci sono stati invece italiani che l’hanno vissuta da protagonisti in negativo, pervasi da quel delirio d’onnipotenza determinato dalla mentalità guerrafondaia propagandata per tutti i venti anni della dittatura fascista.

Come anticipavamo, ancora oggi è difficile parlare della violenza di matrice fascista messa in atto contro altri italiani, eppure c’è stata e anche in abbondanza. Secondo i dati dell’Atlante sui 5.686 episodi dei quali è stato possibile accertare la matrice della strage, in ben 2.085 è presente la mano dei fascisti italiani.

Strettamente legato all’episodio di Leoni, c’è la storia di “Cacao”, nome di battaglia di Giuliano De Balzo, ex partigiano. Egli ebbe un ruolo importante nella strage, come in tanti altri episodi analoghi, in quanto i basisti locali furono coloro che conoscevano direttamente luoghi e persone che erano implicati nella resistenza.

Lui fece questo a Marzabotto: con grande partecipazione indicò ai nazisti tutte quelle persone che fiancheggiavano i partigiani della brigata Stella rossa. Ma tale collaborazionismo, assolutamente grave e ingiustificabile, può però essere ascritto alla sfera del singolo, che si sviluppa con motivazioni personali di mero opportunismo.

Il carnefice

Foto AGF

La tipologia di carnefice che vorrei rappresentare in questo articolo è invece quella incarnata da Merico Zuccari, personaggio semisconosciuto che invece esprime nella maniera tragicamente peggiore non il collaborazionismo, bensì l’autonoma violenza dei fascisti italiani contro altri italiani, partigiani o meno.

Zuccari fu il primo seniore (comandante) della famigerata legione Tagliamento, battaglione della Repubblica di Salò, composta da fascisti convinti e avanzi di galera fatti uscire appositamente per comporre questo gruppo con specifici compiti di contro guerriglia.

Come ha ben descritto la storica Sonia Residori, che ha curato un testo specifico su questo battaglione, personaggi come Zuccari confusero il partito  - quello fascista -  con lo stato, mettendo in pratica dopo l’armistizio un vero e proprio tradimento della patria.

Immediatamente dopo l’8 settembre fece combattere i suoi uomini con i tedeschi, scontrandosi con militari e resistenti italiani, e a stretto giro il 19 settembre 1943 la Tagliamento giurò fedeltà a Hitler. Questa legione entrò nella Guardia nazionale repubblicana, e allo stesso tempo venne incorporata, per diretta volontà tedesca, nella 2° Fallschirmjäger-division.

Tale Legione dall’armistizio in poi fu nella diretta disponibilità di Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, e si arrivò al paradosso dell’estate del 1944, quando lo stesso Mussolini, divenuto comandante della Gnr, non poté disporre di nessun legionario senza il benestare preventivo dei tedeschi.

Sotto il comando di Zuccari i suoi soldati si macchiarono di gravissimi crimini in varie zone d’Italia, dal Vercellese alla linea Gotica tra Romagna e Marche, passando poi al nord, prima tra le province di Treviso e Vicenza poi tra quelle di Brescia e Bergamo.

Il morti innocenti furono alcune centinaia; come dimostrano svariati episodi spesso la violenza doveva essere di dichiarata matrice terroristica, non solo verso i ribelli, ma anche verso i lavoratori coatti e i renitenti alla leva, le donne che di quelle violenze furono spesso doppiamente vittime e i semplici civili che dovevano essere esempio di questo terrore. Questa attività delinquenziale lo portò a essere inserito nel registro centrale per i criminali di guerra compilato dagli Alleati nel 1947.

Come italiani abbiamo tante responsabilità, dobbiamo avere il coraggio di guardarle in faccia e fare definitivamente i conti con il nostro passato. Non è con l’oblio che riusciremo a superare queste contraddizioni.

Daniele Susini, storico e direttore del museo Linea gotica orientale di Montescudo Monte Colombo, è curatore del libro di Franco Leoni, Ti racconto Marzabotto, De Agostini.

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