Immaginiamo lo scenario peggiore. Nei prossimi decenni, automazione, robotica, intelligenza artificiale, soppiantano gran parte della forza lavoro umana. Milioni di persone diventano poco a poco inutili. Non servono nemmeno come carne da cannone: in guerra, ora, ci vanno i droni. I politici discutono per anni di qualche meccanismo sostitutivo di generazione del reddito, ma le lobby legate a poche grandi multinazionali riescono efficacemente a opporsi, stigmatizzando l’erogazione di sussidi.

Nel frattempo, lo scontento sociale cresce, così come la violenza, la depressione e altre patologie psichiche. Una soluzione però c’è: ai più poveri e irrequieti, lo stato fornisce in comodato d’uso un visore di realtà virtuale e connessione internet gratuita; grazie a questo, anche chi vive in un piccolo monolocale di periferia e non può permettersi nemmeno i trasporti urbani, può sognare di viaggiare in paesi esotici e lussuosi e “amare” partner mozzafiato.

Per connettersi in Vr (sigla che indica appunto la realtà virtuale), occorre l’account del proprio social o l’identità digitale di stato; in questo modo, tutti i “viaggi” virtuali, tutte le interazioni, restano in memoria. Per tarare annunci pubblicitari personalizzati e pronti per essere analizzati, alla ricerca di forme di disagio residuo.

(AP Photo/Markus Schreiber, file)

Sempre più economica

Siamo ancora molto lontani, per fortuna, da una situazione del genere. Anche se parlare di "disoccupazione tecnologica” non è più un tabù, non c’è ancora un chiaro consenso su come sostenere e riqualificare le persone che verranno scaraventate fuori dal mondo del lavoro.

Al contempo la tecnologia Vr è diventata migliore, più diffusa (anche se ancora di nicchia) e più economica. Oggi la versione meno costosa di Oculus, il visore Vr di Facebook, costa 350 euro, meno di molti smartphone.

Un futuro distopico?

C’è una famosa foto di Mark Zuckerberg, diffusa nel 2016 a margine del Mobile world congress di Barcellona. Il miliardario padrone di Facebook passeggia, unico a volto scoperto, fra un gruppo di persone connesse a dei computer e collegate a dei visori Vr. All’epoca, l’immagine fece discutere. Sembrava un’anticipazione di un futuro distopico, che a molti potrebbe fare orrore.

A molti ma non a tutti perché, per altri, compresi alcuni dei miliardari che stanno sviluppando le principali piattaforme Vr in commercio, far vivere la gente in stato di beatitudine da realtà virtuale potrebbe essere una maniera efficiente di risolvere il problema dell’allocazione delle risorse e delle diseguaglianze sociali.

(AP Photo/Shizuo Kambayashi)

Un mondo su misura

«La promessa della realtà virtuale è quella di poter creare il mondo che vuoi. Non è possibile, sulla Terra, dare a tutti quello che potrebbero volere. Non tutti possono avere un’isola privata come Richard Branson», ha spiegato l’anno scorso in un’intervista John Carmack, che non è proprio l’ultimo arrivato.

Noto come creatore del videogioco Doom, Carmack è anche l’ex responsabile tecnologia di Oculus, la divisione di Facebook che produce uno dei visori Vr di maggior successo.

Oggi lavora ancora per Facebook Reality Labs, come consulente. Dialogando con il conduttore del podcast, Joe Rogan, Carmack ha elaborato ulteriormente il concetto. Si rende conto, bontà sua, che non solo in molti non hanno l’isola privata, ma devono vivere in spazi esigui, senza nemmeno – orrore – un home theater; proprio costoro, secondo lui, potrebbero essere i maggiori beneficiari di una realtà alternativa.

«Dicono, questo è il mondo che state cercando di costruire, persone collegate in realtà virtuale che ignorano il mondo attorno a loro – ha spiegato –. E la prima cosa da considerare è questa: ma davvero la loro vita sarebbe migliore, senza la realtà virtuale?».

John Carmack (AP Photo/Nick Ut)

BISOGNO DI EVASIONE E RISCHI DI CONTROLLO

Non è una risposta così banale come forse potrebbe sembrare. In fondo, un qualche grado di fuga dalla realtà è stato sempre proposto dall’arte. Si viaggia in mondi diversi quando si guarda una serie tv, o quando si legge un libro.

Un libro o un film però possono anche spingere alla mobilitazione e al pensiero critico. Quanto proposto da Carmack e da altri esegeti della realtà virtuale sembra più un buen retiro, un modo per accontentarsi di un’esistenza facsimile. In questo senso, grazie al suo potenziale di evasione totale e immersiva, l’esperienza diffusa di Vr, più che a quella del cinema o della lettura, potrebbe assomigliare a quella di una fumeria d’oppio.

(AP Photo/John Locher)

Editare il cervello

Tanto più che in futuro potrebbe non esserci bisogno di interfacce ancora primitive e ingombranti come quelle attuali, per immergersi nel virtuale. Elon Musk, con la sua Neuralink, sta studiando forme di collegamento diretto al cervello. La società di videogiochi Valve ipotizza dei visori modificati, in grado di captare le onde cerebrali dell’utente e di capire come cambia il suo umore durante il gioco.

Non solo, ma il suo fondatore, Gabe Newell, ritiene che presto potrebbe essere possibile editare il cervello, come se fosse una periferica hardware, in modo da ottenere un’esperienza sensoriale migliore di quella naturale (che sembrerà piatta e poco interessante, al confronto) ed eliminare i sentimenti negativi.

A che scopo e a beneficio di chi: questo è il problema.

(Frank Duenzl/picture-alliance/dpa/AP Images)

Il ruolo di Facebook

Molto di più che nel caso di un filmato in tv o di un libro, una tecnologia così immersiva pone il problema di chi ne controllerà la piattaforma. Per usare Oculus, ad esempio, di recente è diventato obbligatorio identificarsi con il proprio account Facebook.

Prendendo spunto da questo, due studiosi dell’Università di Sidney e di quella del Queensland, Marcus Carter e Ben Egliston, fanno notare come l’incursione di Facebook nella realtà virtuale permetterà alla società di raccogliere un’enorme massa di dati sui propri utenti.

I sistemi di Vr in uso tengono traccia di continuo dei movimenti del corpo dell’utente, fino a 90 volte al secondo; quelli di alta fascia registrano 18 tipi di movimenti della testa e delle mani. Le telecamere del visore possono in teoria mappare anche la stanza circostante, caricando poi i dati sui server di Facebook (anche se l’azienda afferma di non farlo, al momento).

Non si tratta più solo di un tracciamento nel mondo online, ma di reale e virtuale fusi insieme. Parte della comunità tecnologica è consapevole delle sfide etiche e normative che una tecnologia del genere porta con sé.

(AP)

Le linee guida

La Xr Safety Initiative è una delle associazioni no-profit che stanno lavorando a delle linee guida per rendere lo sviluppo delle tecnologie di “realtà estesa” (termine che comprende realtà virtuale, realtà aumentata e mixed reality) compatibile con il rispetto della privacy e dell’autonomia degli utenti.

L’evoluzione tecnologica, però, tende a correre molto più veloce di quella normativa; il rischio è che con il crollo dei costi di produzione e la spinta di marketing, gli strumenti immersivi si diffondano a macchia d’olio molto prima che venga creato in quadro normativo per regolarli.

Forme di intenso disagio sociale, o qualche inaspettata catastrofe – magari un’altra pandemia – potrebbero accelerare il fenomeno, rendendo ancora più allettante isolarsi dalla realtà in un mondo asettico e ideale. Servono perciò regole precise. Perché se l’immagine della foto con Zuckerberg si concretizzasse in assenza di contrappesi, quale immenso potere potrebbe cadere in mano al passeggiatore solitario.

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