Facebook, Twitter e le altre piattaforme sono soggetti privati che svolgono cruciali funzioni pubbliche in posizioni di monopolio, senza un vero controllo da parte di autorità esterne. Il problema della governance del mondo digitale è l’assenza di quel sistema di pesi e contrappesi stratificato nei secoli.
- Twitter, Facebook e altre piattaforme sono aziende private ma anche networked publics: uno spazio di discorso pubblico, e una collettività che emerge all’interno di quella architettura definita da algoritmi, interfacce, dati e modelli di business.
- Anche quando twitta dal suo account privato, Donald Trump non è un privato cittadino, ma il Presidente degli USA. Perché, se le piattaforme possono bloccare gli utenti per violazione dei termini d’uso (ad esempio incitando alla violenza e alla discriminazione razziale), non possono bloccare per le stesse ragioni un account in grado di esercitare come nessun altro un’influenza massiccia sull’opinione pubblica?
- Eppure, nel momento in cui occupano una funzione pubblica e rivendicano il ruolo di editori, è ancora legittimo che le piattaforme esercitino il loro potere privato? O servono altre forme di regolamentazione?
Era appena il 26 maggio 2020 quando Twitter segnalava per la prima volta ai propri utenti che due tweet di Donald Trump sul voto per corrispondenza erano fuorvianti e falsi, invitando gli utenti a un fact-checking su fonti autorevoli come Cnn e Washington Post; tre giorni dopo sarebbe stata la volta di un’altra segnalazione per un tweet presidenziale che inneggiava alla violenza dopo i disordini scatenati dalla brutale uccisione di George Floyd. Nihil sub sole novum? Le tensioni legate alla n



