C’era una volta Facebook, il monopolista dei social network. Un colosso in grado di fagocitare la concorrenza o di eliminarla direttamente: dall’acquisto di Whatsapp e Instagram – che ha permesso a Mark Zuckerberg di mettere le mani sulle piattaforme che minacciavano il suo dominio – fino alla decisione, nel 2016, di clonare le Storie introdotte per primo da Snapchat, disinnescando un potenziale rivale che aveva capito quale sarebbe stato il formato più amato dai giovanissimi.

Monitorando i concorrenti e le novità da loro ideate, Facebook è stato in grado di mantenere il dominio e mettere assieme qualcosa come 3,65 miliardi di utenti complessivi, con un fatturato annuale che nel 2021 ha sfiorato i 120 miliardi di dollari (con 39 miliardi di guadagno netto). Una macchina inarrestabile, in grado di crescere a doppia cifra ogni singolo anno.

Fine del monopolio

Inevitabilmente, tutto ciò ha comportato anche qualche rogna: maxi-multe dall’Unione Europea per comportamento scorretto, class action per abuso di posizione dominante e soprattutto l’attenzione crescente da parte dell’antitrust statunitense, che considera la società che l’anno scorso ha cambiato nome in Meta un monopolista del settore dei social network.

Un’interpretazione che, evidentemente, Meta non ritiene corrispondente alla realtà. Oggi la società di Menlo Park si considera uno dei tanti attori in un campo sempre più variegato: «A volte, ciò che è positivo quando bisogna difendersi dall’antitrust è invece negativo dal punto di vista degli affari», ha commentato l’avvocato di Meta, Aaron Panner, contestando il lavoro dell’autorità statunitense (che sta indagando l’azienda fondata da Mark Zuckerberg per valutare se sia o meno un monopolio).

D’altra parte, come può Meta essere un monopolio se il social network più importante degli ultimi tempi è TikTok (della società cinese ByteDance), da due anni costantemente in cima alla classifica delle app più scaricate a livello globale?

Con oltre un miliardo di utenti, TikTok è salito sul podio dei social network più seguiti e cresce a una tale velocità da mettere a rischio il secondo posto di Instagram, che nel frattempo ha raggiunto 1,4 miliardi di utenti (dati Statista).

Meglio TikTok

FILE - A view of the TikTok app logo, in Tokyo, Sept. 28, 2020. TikTok could face a 27 million-pound ($29 million) fine in the U.K. over a possible breach of U.K. data protection law by failing to protect children's privacy when they are using the video-sharing platform. The U.K. Information Commissioner's Office said Monday Sept. 26, 2022 that it has issued the social media company a legal document that precedes a potential fine. (AP Photo/Kiichiro Sato, File)

A peggiorare il quadro, c’è l’immensa popolarità sempre di TikTok tra i giovanissimi, di cui è ormai il social d’elezione. Di conseguenza, non solo Facebook sta diventando sempre più rapidamente un “social per vecchi”, ma anche Instagram inizia a perdere colpi. I numeri sono effettivamente impietosi: negli Stati Uniti (che è di gran lunga il mercato più importante), gli utenti adolescenti di Facebook sono scesi del 13 per cento negli ultimi due anni e si prevede che caleranno di un ulteriore 45 per cento da qui al 2023. Per quanto invece riguarda Instagram, i dati mostrano come la quantità di contenuti postata dagli adolescenti su questo social sia scesa del 13 per cento nel giro di un solo anno.

I tentativi di rendere Instagram sempre più simile a TikTok proprio per arginarne l’avanzata (una strategia che ha avuto successo con Snapchat) finora hanno fallito miseramente: l’utente medio di TikTok trascorre su questa app 52 minuti al giorno, cifra che invece crolla a 28 su Instagram, quasi la metà.

Secondo un recente report del Wall Street Journal, inoltre, il consumo dei Reels su Instagram (il clone di TikTok) è in declino nonostante sia stato introdotto da soli due anni: negli ultimi mesi il tasso di engagement – vale a dire like, commenti e condivisioni – di questo formato è sceso del 13,6 per cento.

La tiktokizzazione di Instagram

Il simbolo di questo fallimento è stata la retromarcia del capo di Instagram Adam Mosseri, che, dopo aver accelerato all’improvviso la trasformazione del social network in un clone di TikTok (in cui quindi c’è una prevalenza di video suggeriti dall’algoritmo, sulla base non di chi seguiamo ma dei nostri interessi percepiti), ha dovuto arrendersi di fronte alle fortissime proteste degli utenti.

«Per quanto riguarda il nostro nuovo design, le persone affermano di essere frustrate e anche i dati di utilizzo non sono ottimali», ha spiegato Mosseri intervistato su The Platformer. «Penso quindi che sia il caso di fare un grande passo indietro, pensarci su e capire come vogliamo proseguire».

La «tiktokizzazione di Instagram» è stata così messa in pausa, confermando come – dopo aver dominato per oltre un decennio il settore – oggi sia Meta a inseguire disorientato i concorrenti.

È sufficiente il successo di TikTok a far scendere Meta dal carro dei colossi della Silicon Valley? In verità, ci sono altri elementi per cui la società di Zuckerberg reputa ingiuste le attenzioni dell’antitrust: il valore delle azioni è per esempio sceso di oltre il 60 per cento dalla primavera scorsa, con il risultato che – mentre Apple, Microsoft, Amazon e Google valgono tutte molto più di mille miliardi – Meta si ferma a circa 350. «Siamo consapevoli di dover competere con società le cui dimensioni sono parecchie volte le nostre», ha spiegato ad Axios un portavoce dell’azienda. «Siamo anche decisamente al corrente del fatto che, nonostante sia evidente che il panorama è ultracompetitivo, alcuni regolatori e politici sembrano essere convinti che Meta sia un monopolio».

Insomma, nella speranza di sfuggire all’antitrust, Meta piange miseria. E lo fa a maggior ragione in seguito ai risultati dell’ultima trimestrale, quando per la prima volta nella sua storia ha fatto segnare un calo nel fatturato – e soprattutto nei guadagni (-36 per cento) – rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

La causa, in questo caso, non è però tanto il fascino declinante di Facebook e di Instagram, ma della battaglia in corso con Apple: le misure prese dal colosso di Cupertino a favore della privacy – che su iPhone impediscono di default di tracciare il comportamento degli utenti – hanno ridotto l’accuratezza degli annunci pubblicitari, aumentando il costo necessario per generare risultati.

Secondo le stime del responsabile finanziario Dave Wehner, le manovre di Apple potrebbero costare a Meta qualcosa come dieci miliardi di dollari nel corso del 2022.

Fuggire nel metaverso?

Per sfuggire al declino apparentemente irreversibile dei suoi social network e alla lotta con Apple, Meta punta tutto sulla scommessa a lungo termine del metaverso. Una scommessa che rischia di rivelarsi un azzardo: non solo per la quantità immensa di capitali che Facebook sta investendo nella creazione di questi mondi virtuali e immersivi (che recentemente The Information ha stimato in 70 miliardi di dollari), ma perché mano a mano che si avvicina il lancio definitivo delle piattaforme del metaverso immaginato da Zuckerberg cresce lo scetticismo dei tanti che non reputano convincente questa costosissima visione di futuro in cui socializziamo, facciamo shopping e lavoriamo in realtà virtuale. Invece di rafforzare Meta, il metaverso potrebbe un domani rivelarsi la scommessa che l’ha affossato.

Ma allora hanno ragione gli avvocati di Meta? L’ex colosso dei social network è oggi un attore minore che non ha ragione di essere trattato come un monopolista? Per quanto la sua posizione non sia più dominante come un tempo, Meta è in realtà ancora oggi proprietario dei due social network con il maggior numero di utenti e della piattaforma di messaggistica (WhatsApp) più diffusa al mondo.

Inoltre, l’influenza a livello globale di Facebook per quanto riguarda la circolazione dell’informazione (e disinformazione), la propaganda politica, la diffusione di fake news e di teorie del complotto è ancora immensa: aspetto che non riguarda direttamente l’antitrust, ma che ha fatto sì che Facebook, negli ultimi anni, fosse al centro di commissioni d’inchiesta e non solo.

Se a ciò si aggiungono le violazioni della privacy, i comportamenti ritenuti scorretti (come la famosa vicenda dell’acquisizione di WhatsApp, che ha causata una multa da 110 milioni di euro da parte dell’Unione Europea) e altro ancora, si capisce perché gli enti regolatori in giro per il mondo continuino a vigilare attentamente sui comportamenti di Meta. Anche per evitare che i faticosi passi avanti compiuti negli ultimi anni vengano cancellati.

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