Gli oggetti di cui ci siamo circondati muoiono? Le nuove tecnologie giustiziano le vecchie sull’altare dell’efficienza e della velocità? Gli strumenti tecnologici del passato spariscono senza lasciare eredità? In questo periodo storico, segnato dal rapido cambiamento tecnologico e dalla trasformazione digitale, c’è chi risponde di sì. Tra questi, Massimo Mantellini con il suo saggio Dieci splendidi oggetti morti (Einaudi, 2020), dove racconta – con un misto di nostalgia e rincrescimento - la morte delle mappe, del telefono fisso, della penna, della lettera, della macchina fotografica, dei giornali, dei dischi, dei fili, del silenzio e del cielo. Tutti oggetti splendidi, cioè ricchi di ricordi e di vita vissuta che però sono già scomparsi o stanno per scomparire.

Io sostengo una tesi diametralmente opposta: gli oggetti persistono nel corso del tempo, non muoiono ma semmai si trasformano e, infine, ancor più radicalmente, gli oggetti del passato sono in grado di ripresentarsi in quelli che usiamo oggi. Tra morte e persistenza, mi schiero a favore della seconda.

La vita di una penna

Ci sono oggetti che accompagnano da millenni l’esistenza umana senza essere mutati granché: la ruota, gli occhiali, i bisturi, le palle, la carta e molti altri. Mi soffermo, in particolare, su due degli oggetti che Mantellini ritiene morenti: la penna e i dischi. È vero che, ogni giorno, miliardi di persone scrivono miliardi di messaggi attraverso tastiere fisiche o virtuali. Ma questo significa che le penne siano morte? Due dati interessanti: si prevede che il valore di mercato dell’intero settore delle penne passi dai 17 miliardi di dollari del 2017 ai 19 miliardi del 2025; qualche anno fa Bic ha dichiarato al Guardian di aver venduto dal 1950 a oggi cento miliardi di biro, un numero sufficiente per tirare una riga dalla terra alla luna e ritorno per 320mila volte.

Osserviamo poi la nostra quotidianità. Nelle scuole, dalle elementari alle università, gli studenti prendono ancora appunti a mano, usando le penne. I vigili fanno multe usando le penne. Negli uffici pubblici le penne vanno a ruba, così come sulle scrivanie degli uffici. Si usano penne come oggetti di marketing e promozione, per legarsi i capelli, per sfogare qualche tic nervoso. Ho sottolineato alcune parti del libro di Mantellini con una penna blu, e con questo so di inimicarmi molti integralisti della sottolineatura. La penna insomma è un oggetto vivo e ancora molto usato.

La rinascita del disco

Un secondo oggetto dato per morto, ma in realtà addirittura in espansione, è il disco. In un momento storico in cui possiamo fruire musica gratuitamente su YouTube, in cui abbiamo Spotify o iTunes, in cui i nostri smartphone contengono migliaia di canzoni, il mercato del disco sta vivendo una rinascita come peraltro lo stesso Mantellini ammette. Negli Stati Uniti, ad esempio, si è passati da vendere 1 milione di dischi in vinile nel 2007 ai circa 19 milioni nel 2019. Questo trend, oltretutto, è simile in tutto il mondo. Attenzione: oggi il mercato del disco è decisamente più limitato rispetto a quello dello streaming, ma ad esempio molto più vivo rispetto agli anni Ottanta o Novanta.

Perché gli oggetti “vecchi” continuano a essere usati? A volte sono tecnologicamente migliori rispetto ai nuovi, come un libro cartaceo rispetto alle sue declinazioni digitali. Una seconda ragione è legata alle pratiche d’uso e alla nostalgia: continuare o tornare a usare un oggetto è un modo per rivivere un’età passata. E in questi anni abbiamo assistito a vari ritorni: dai telefoni di prima generazione come il nuovo-vecchio Nokia 3310, alle macchine fotografiche Lomo o Polaroid, alle console per videogiochi anni Ottanta per il cosiddetto retrogaming. Il passato oggettuale continua a persistere e addirittura a riemergere nel presente.

Vecchi oggetti, nuove funzioni

Ma gli oggetti non persistono solo nella loro funzione originaria. Vecchi grammofoni, radio degli anni Venti o Trenta, mangiacassette, telefoni in bakelite sono diventati pezzi ricercatissimi di modernariato, sono parti di collezioni familiari, acquisiscono una seconda vita nei musei. Significa che questi oggetti si siano estinti o, come credo, che abbiano semplicemente cambiato funzione, significati sociali, modalità d’uso? Gli oggetti si trasformano, anche quelli dati per morti da Mantellini. Le mappe si digitalizzano (oltre a persistere per esempio nelle guide turistiche cartacee), la lettera diventa e-mail, la macchina fotografica viene incorporata in uno smartphone.

Qualche parola in più sul telefono e sul giornale di carta. Dire che il telefono fisso è morto risulta inesatto per almeno due ragioni. In primo luogo, perché più della metà delle famiglie italiane sono ancora abbonate a un telefono fisso. In secondo luogo, perché la telefonia fissa si sta trasformando rispetto al passato: la vecchia rete telefonica in rame, per circa la metà rimpiazzata da fibre ottiche, viene oggi utilizzata per fornire connessioni internet. In altri termini, il telefono e la sua infrastruttura in parte persistono nella loro missione iniziata a fine Ottocento (trasportare la voce a distanza), in parte l’hanno ampliata (trasportare dati, audiovisivo, messaggi privati e molto altro). Questa non può essere definita morte, ma semmai trasformazione o cambiamento.

Allo stesso modo: sono morti o stanno morendo i giornali di carta? Nel 2019, in tutto il mondo, la stampa cartacea ha generato l’86% dei ricavi complessivi degli editori di notizie. Rinunciare oggi alla carta sarebbe insomma un suicidio dal punto di vista commerciale. È vero che i ricavi dati da pubblicità scendono costantemente per il cartaceo (meno 3 per cento nel 2019), mentre salgono progressivamente per il digitale (più 5 per cento). È anche vero che, nella maggior parte dei paesi occidentali, i lettori di giornali cartacei diminuiscono, mentre nei paesi asiatici sono cresciuti negli scorsi anni. In ogni caso, dichiarare la morte del giornale di carta è prematuro e, quand’anche fosse, ciò non significherebbe la morte del giornalismo come Arianna Ciccone aveva sostenuto già nel 2014.

La persistenza simbolica

Una terza e ultima dimensione della persistenza degli oggetti è più nascosta e spesso continuiamo a usarli senza rendercene conto. Ci sono alcuni oggetti del passato che hanno lasciato tracce evidenti in quelli che usiamo oggi. Ancora due esempi tratti da Dieci splendidi oggetti morti. Pur digitalizzata, la macchina fotografica meccanica non ha perso del tutto la sua identità, almeno dal punto di vista sonoro. Vi siete mai chiesti perché, quando scattiamo una fotografia con il telefono, si produce il suono di un otturatore meccanico (il click, in sostanza)? Ovviamente non è più una questione tecnica, ma si tratta di una persistenza puramente simbolica: negli ultimi 180 anni circa, miliardi di persone sulla terra hanno associato il click all’atto del fotografare. Il click persiste nello smartphone perché le aziende produttrici di telefoni sono oggi quelle che producono il maggior numero di obiettivi fotografici o, detto in altri termini, i telefoni sono anche macchine fotografiche.

Gli smartphone sono naturalmente anche telefoni. Perché l’icona di una delle più note app di messaggistica, WhatsApp, è rappresentata da una cornetta telefonica? Perché il telefono fisso ha lasciato alcune eredità che sono ormai parte del dna comunicativo dell’umanità. Perché scambiarsi messaggi tra persone è tipico del telefono (e del telegrafo). Perché, e qui il ragionamento si fa ancora più rilevante sotto il profilo antropologico, anche chi non ha mai usato una cornetta telefonica sa che quello è “telefono”. Magari non sa usare il disco combinatore, come una spassosa puntata di Patti chiari della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana ha sperimentato con alcuni bimbi, ma sa che il telefono simbolizza un certo tipo di comunicazione intima, privata, a due vie. In altre parole, gli oggetti lasciano delle eredità inconsapevoli e simboliche (iconiche e sonore nei nostri esempi) che persistono in altri oggetti che continuiamo a usare.

Gli oggetti raramente muoiono perché persistono nel tempo, perché si trasformano e cambiano, perché lasciano eredità su altri oggetti. Per questo, i dieci splendidi oggetti morti di Mantellini per me sono dieci splendidi oggetti viventi o, meglio ancora, persistenti. In una società dal ricambio tecnologico accelerato come la nostra, la persistenza degli oggetti è stupefacente. È sorprendente che gli oggetti sopravvivano spesso a chi li ha usati, permangano nel tempo, si fermino ostinatamente tra gli umani (non a caso, per-sistĕre deriva dal latino fermarsi).

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