Zepeto è un social network sudcoreano che si sta rapidamente diffondendo tra la generazione Z. A differenza di competitor come TikTok, questa piattaforma consente già oggi di calare i suoi 200 milioni di utenti circa nel metaverso: il mondo virtuale e immersivo di cui si è parlato tantissimo da quando Facebook ha deciso di cambiare nome in Meta e di puntare tutto su questa dimensione della socialità online.

Rispetto a Meta, Zepeto si trova decisamente avanti nella direzione metaverso: nonostante non sia (ancora) in realtà virtuale, questo social network permette già oggi di creare un avatar in 3D di noi stessi e di muoverci liberamente in vari scenari digitali, dove diventa possibile socializzare con gli altri utenti e partecipare con il nostro avatar a crociere, semplici avventure o feste di ogni tipo.

Accessori digitali

In Zepeto, la personalizzazione dell’avatar è un aspetto di fondamentale importanza, che consente di distinguersi e assumere una propria identità distintiva. Chi però vuole veramente spiccare rispetto agli altri utenti, può sfruttare il negozio online presente in questo social network e comprare – con soldi veri – qualche capo di abbigliamento. Tra i marchi presenti c’è anche Gucci. La collaborazione è nata nel febbraio scorso, quando la maison fiorentina ha creato una collezione di abbigliamento digitale pensata appositamente per Zepeto e per la personalizzazione degli avatar.

«Questo genere di giochi e piattaforme sono oggi strettamente collegati all’idea di autoespressione», ha spiegato durante una conferenza di Vogue Business Robert Triefus, vicepresidente di Gucci.

Più i giovanissimi, e non solo loro, si immergono per lungo tempo in questi mondi digitali, dove sono rappresentati da avatar, più diventa importante personalizzarli e mettersi in mostra anche tramite accessori digitali firmati.

Quella di Zepeto non è infatti l’unica piattaforma su cui Gucci sta puntando. La casa di moda ha dato vita a partnership con Animal Crossing, Pokémon Go, The Sims e altri ambienti virtuali in cui la personalizzazione degli avatar gioca un ruolo di primo piano.

Lo stesso Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, ha disegnato in prima persona delle sneaker virtuali che si possono acquistare a circa 10 euro per farle indossare al proprio personaggio all’interno di Roblox (altra piattaforma virtuale con circa 40 milioni di utenti).

Nonostante Gucci sia considerata una pioniera del settore, non è certo l’unica che sta puntando sui mondi virtuali che assorbono una parte crescente – e sempre più importante – delle vite online degli utenti.

Burberry ha creato ad aprile una collezione virtuale per Honor of Kings, videogioco di Tencent da 100 milioni di utenti. Louis Vuitton collabora ormai da anni con lo storico League of Legends. Balenciaga ha creato vestiti, accessori e armi acquistabili e indossabili all’interno di Fortnite.

Più queste piattaforme si evolvono – trasformandosi da tradizionali videogiochi online in mondi immersivi in cui trasferiamo una porzione crescente delle nostre attività quotidiane (concerti, lavoro, sport, ballo) – più le case di moda scommettono che gli accessori digitali assumeranno la stessa importanza che oggi diamo all’orologio che portiamo al polso o alle scarpe che indossiamo.

Reputazione online

Ci sono però degli ostacoli da superare. Non è infatti scontato che la reputazione di un marchio si trasferisca direttamente dal mondo offline a quello online.

«I brand devono sviluppare lo stesso tipo di relazione con i clienti che hanno nel mondo reale», ha spiegato sempre a Vogue Business George Gottl, fondatore della società di consulenza per il mercato digitale Uxus. «La reputazione dei marchi va costruita partendo da una prospettiva molto differente e puntando a una nuova audience; il rischio altrimenti è di perdere il consumatore del futuro».

A fronte di qualche inevitabile cautela, c’è però un senso quasi di inevitabilità nei confronti di questa nuova frontiera della moda: «È un passaggio generazionale», ha spiegato Ian Rogers, responsabile per il digitale di Louis Vuitton, durante il podcast Business of Fashion. «Mia figlia di quattordici anni ha passato l’ultimo anno e mezzo nel metaverso. La sua scuola è anche su Zoom. Esce con gli amici online: su Instagram, TikTok, Fornite, Animal Crossing. Per loro, avere un guardaroba digitale è del tutto naturale. Perché dovrei avere un guardaroba di abiti fisici che nessuno vede quando posso avere una collezione di cose digitali che vedono tutti?».

Sarebbe un errore, soprattutto in prospettiva, pensare però a un settore riservato ai giovanissimi e più accaniti frequentatori degli ambienti digitali. Nel mondo, si stima che ci siano 3,2 miliardi di persone che almeno occasionalmente giocano ai videogiochi (anche solo sullo smartphone), di cui svariate centinaia di milioni sono invece gamer assidui. Il giro d’affari alimentato è di circa 180 miliardi di dollari e cresce a doppia cifra anno su anno. Non solo: già oggi, il mercato delle skin (le aggiunte estetiche che personalizzano il look dei personaggi) vale circa 40 miliardi all’anno.

È fuorviante anche concentrarsi esclusivamente sui videogiochi. Non solo per i progetti incentrati sul mondo del lavoro di Facebook/Meta, ma anche per quelli di una realtà come Tinder. L’applicazione di incontri starebbe infatti pianificando un’economia interna che verterà sempre di più sull’acquisto di beni virtuali da regalare alle nostre potenziali conquiste (che magari avranno la forma di un costoso mazzo di fiori digitale) o di accessori per personalizzare un ambiente che, anche in questo caso, dovrebbe essere vissuto in maniera sempre più immersiva.

Non-fungible token

Ma c’è un problema: mano a mano che questi ambienti virtuali diventeranno più aperti e interconnessi tra loro, come hanno auspicato tutti i leader del settore, come si potrà evitare che prenda piede anche il mercato della contraffazione? Perché spendere tot soldi per una originale felpa Balenciaga digitale quando posso acquistarla identica, a un decimo del prezzo, in un mercato nero virtuale?

È qui che entra in gioco un elemento che promette di diventare centrale nel metaverso che verrà: gli Nft, le firme digitali basate su blockchain che rappresentano un certificato d’autenticità pubblico e sempre consultabile da chiunque.

I non-fungible token nascono per conferire unicità e valore a opere d’arte e oggetti collezionabili digitali che potenzialmente si possono copiare e incollare all’infinito. Lo stesso identico concetto si può però applicare agli accessori digitali di marca: sarà sufficiente verificare l’Nft salvato su blockchain che corrisponde a una borsa digitale Gucci per scoprire o dimostrare l’originalità del nostro accessorio. Come ha spiegato proprio il vicepresidente di Gucci Robert Triefus, «è solo una questione di tempo prima che un brand come il nostro inizi a creare e vendere Nft».

Se per Gucci questa è una opportunità che si materializzerà in tempi brevi, per un marchio come Burberry è invece già realtà. La casa di lusso britannica ha infatti creato una serie di 750 Nft per il mondo virtuale Blankos Block Party. Questi 750 Nft, che rappresentano altrettanti personaggi brandizzati da utilizzare nel gioco, sono stati venduti per 300 dollari l’uno, mentre per 100 dollari era possibile acquistare uno dei 1.500 jetpack (zaini razzo) con cui arricchire i nostri avatar.

Questi 2.250 oggetti digitali sono andati esauriti trenta secondi dopo essere stati messi in vendita il 12 agosto. Grazie alle caratteristiche della blockchain, inoltre, questi oggetti potranno essere rivenduti liberamente tra gli utenti del gioco, garantendo automaticamente a Burberry una percentuale su ogni vendita secondaria.

Siamo di fronte a una mania del momento o a una nuova e duratura frontiera della moda? Alcuni eccessi, in termini di prezzo e di frenesia collettiva, potrebbero far propendere per la prima risposta. Se però il mondo verso cui andiamo incontro è davvero uno in cui la dimensione virtuale assumerà un ruolo sempre più importante, è quasi inevitabile che ci prenderemo cura dei nostri avatar quasi come ci prendiamo cura di noi stessi. Assicurandoci che rispecchino al meglio la nostra identità e anche il nostro stile.

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