Rinunciare a centinaia di milioni di introiti per le casse dello stato o presentarsi all’alleato americano (dove il 3 novembre si svolgeranno le elezioni presidenziali) con quello che potrebbe essere considerato alla stregua di un atto ostile?

Nelle ultime ore la maggioranza di governo sta ragionando sull’ipotesi di rinviare la digital tax. In ballo ci sono diversi milioni di euro e imposte per i colossi del web. E, non meno importanti, i rapporti con gli Stati Uniti che per ovvi motivi sono contrari.

Ci sarà?

L'ipotesi di procrastinare l'entrata in vigore dell’imposta è stata discussa dal governo italiano durante la stesura della nuova manovra finanziaria, e non è ancora chiaro se il testo definitivo conterrà o meno la misura.

La presentazione in parlamento della legge di Bilancio è in ritardo, il Consiglio dei ministri ha approvato una prima formulazione aperta a modifiche («salvo intese» come recita la formula di rito) e nelle ultime settimane le norme sono state limate ripetutamente. Domani alle 11 è in programma un nuovo Consiglio dei ministri e non è escluso che la manovra possa ottenere in quella sede il definitivo via libera.

Cos’è

La digital tax italiana era già prevista nel 2018 ma all’epoca era stata frenata dalla mancanza dei decreti attuativi. Rivista e corretta è stata invece introdotta con la scorsa legge di Bilancio ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2020, in anticipo rispetto a tutto il resto d’Europa.
È una tassa sui servizi digitali (Dst). Un'aliquota del 3 per cento sui ricavi accumulati quest'anno – non inferiori a 5,5 milioni di euro – con la vendita dei servizi digitali resi agli utenti localizzati nel nostro paese, che vengono identificati tramite geolocalizzazione o indirizzo Ip. Nella pratica l’imposta si paga il prossimo anno. A febbraio. Ecco perché il suo rinvio costerebbe allo stato, per il 2021, circa 700 milioni di euro di mancato introito.

Pro e contro

La questione è ancora aperta. Al ministero dell'Economia si sta ragionando sulla possibilità di far slittare di un anno, da febbraio 2021 a febbraio 2022, la scadenza dei pagamenti dell'imposta sui servizi digitali, ma il Movimento 5 stelle è contrario. In ogni caso, l'intento sarebbe quello di temporeggiare in attesa che il negoziato internazionale Ocse, dedicato alla creazione di una tassa digitale a livello mondiale, si concretizzi a metà del prossimo anno.

Le trattative sono slittate dopo il veto arrivato dagli Stati Uniti. A giugno il segretario al Tesoro statunitense Steven Mnuchin ha deciso di lasciare il tavolo dei negoziati lamentando la mancanza di progressi. L’Ocse ha dunque deciso il rinvio e tutto resta tutto congelato fino al 2021.

Questo stop, unito alle minacce di dazi da parte degli americani, ha frenato anche le trattative per l’introduzione di una digital tax unica europea (che avrebbe nei fatti superato quella nazionale).

Il fattore americano

Insomma tra i fattori che stanno condizionando di più le mosse del governo italiano ci sono sicuramente le imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Al ministero dell’Economia sanno che un cambio di leadership a Washington ha un suo peso specifico in questa vicenda.
L’uscente Donald Trump è contrario alla tassa digitale, tanto da aver minacciato l'imposizione di dazi, il democratico Joe Biden, invece, sarebbe considerato in parte più vicino all’Europa e favorevole all’introduzione di un’imposta comune. in ogni caso più dialogante. Una nuova presidenza, insomma, potrebbe aprire nuovi scenari.

Anche se Pascal Saint-Amans, direttore del centro di politica e amministrazione fiscale dell'Ocse, ha avvertito che non è detto che un’eventuale presidenza Biden cambi radicalmente linea su questo tema. E in Italia i tempi sono strettissimi.
Il testo della legge va chiuso e deve essere inviato alla Camera, dove quest'anno inizia la sessione di bilancio, all’inizio della prossima settimana.

Tempi ristretti, situazione caotica a livello internazionale, si fa sempre più concreta l'idea di un rinvio. Il tutto mentre  Google è entrata nel mirino dell’Antitrust. L’Authority guidata da Roberto Rustichelli nei giorni scorsi ha aperto un'istruttoria a carico della società che controlla il motore di ricerca. Secondo l’accusa, Google avrebbe violato l'articolo 102 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea per quanto riguarda la disponibilità e l'utilizzo dei dati per l'elaborazione delle campagne pubblicitarie di display advertising, i tradizionali banner. Nei prossimi mesi si capirà se l'Antitrust arriverà a sanzionare al colosso del web. Chissà che Google non possa pagare la multa con i soldi risparmiati dalla mancata introduzione della digital tax.

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