Ricordo chiaramente quando e come, discutendo la evoluzione dell’idea di progresso, Norberto Bobbio sottolineasse che, fronte all’indubbio progresso economico, tecnologico, materiale, non si trovasse altrettanto progresso civile, morale, etico.

Anzi, talvolta, il divario fra le due modalità di progresso si accentuasse prevalentemente perché il progresso materiale faceva passi da gigante mentre quello civile rimaneva sostanzialmente quasi immobile.

Non saprei dire se l’intelligenza artificiale sia necessariamente da considerarsi progresso, ma sono certo che non poche modalità di fare politica e di rapportarsi ai problemi della pace e della guerra segnalano regressi spaventosi.

Gli uomini sembrano non avere imparato nulla dalle due guerre mondiali e neppure dalle troppe guerre “limitate” combattute dal 1945 a oggi. Eppure, la riflessione intellettuale sui costi, non soltanto monetari, ma in termini di imbarbarimento, della guerra, sulla giustificazione dei conflitti armati, sulla loro limitazione e sulla loro conclusione ha dato contributi conoscitivi di grande rilevanza. Non sembrano avere intaccato il pensiero e l’azione di coloro che alla guerra ricorrono per trarne vantaggi economici, di prestigio, di carriera.

L’estensione dei diritti

D’altro canto, anche la riflessione sui diritti, tipo, qualità, quantità, mostra ragguardevoli avanzamenti. In un piccolo prezioso libro: L’età dei diritti (Einaudi 1990), ne posseggo una copia con dedica, lo stesso Bobbio mise in grande evidenza due «progressi». Da un lato, l’universalizzazione, ovvero l’estensione dei diritti a tutti; dall’altro, la moltiplicazione dei diritti, a cominciare da quelli ambientali e dai diritti delle donne, segnalando quanto importante per tutti fosse la rivoluzione femminile/sta.

Non possono esistere dubbi sulla estensione dei diritti che certamente Bobbio avrebbe considerato indispensabile fino a includere i migranti. Al proposito, però, si potrebbe obiettare che se guardiamo al trattamento straordinariamente rispettoso, privilegiato e accogliente riservato allo straniero dagli antichi greci e poi anche dagli antichi romani, non si dovrebbe parlare di progresso, ma di ritorno a pratiche assolutamente tanto ammirevoli quanto commendevoli.

Lentamente, gradualmente, progressivamente (sic), la politica, ancor più la politica democratica ha trovato fino a tempi recenti il modo di stemperare e moderare i conflitti, di ridimensionare il ricorso alla violenza, persino quella verbale, di “civilizzare” le competizioni politiche facendo pagare un prezzo ai violenti e ai volgari.

Da qualche tempo, invece, turpiloquio, escandescenze, minacce, comportamenti truffaldini, esibizioni di muscoli e di modalità violente, soprattutto grazie alla televisione e ai social network, sono tornate di attualità.

Guardando a fondo nei casi disponibili mi è sembrato di notare che sono gli esponenti della cosiddetta società civile a fare maggiore e più frequente ricorso per la loro politica a modalità eterodosse, dissacranti, deprecabili. Cercano in questo modo di acquisire subitamente quella visibilità che i politici di professione hanno passo dopo passo accumulato nella loro carriera, non necessariamente luminosa. Naturalmente, non saranno gli outsider premiati per la loro sfacciataggine e la loro mancanza di etica politica a predicare contro i comportamenti incivili e indecorosi, a stigmatizzarli, a operare per sanzionarli.

Il cerchio si chiude. Nella sfera politica riscontriamo non progresso in termini di valori, di principi, di moralità, ma regresso. Comportamenti regressivi vittoriosi finiscono per tracimare nella sfera sociale e culturale in senso lato, scuole comprese. Continuerà il progresso tecnologico. Verranno meno i valori con i quali indirizzarli al perseguimento di beni collettivi. Eppure, i peggioramenti non sono inevitabili. C’è ancora domani.

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