«Where is Jack Ma?». Negli ultimi tre mesi tutti si sono domandati che fine avesse fatto il fondatore del colosso dell’e-commerce cinese Alibaba. C’è chi ha creduto fosse morto, chi ha azzardato l’ipotesi che fosse stato incarcerato, chi meno avventatamente ha pensato avesse deciso di tenere un profilo basso per non irritare ulteriormente il presidente Xi Jinping. Alla fine Jack Ma è ricomparso a sorpresa il 20 gennaio come relatore in una conferenza online con un centinaio di insegnanti delle aree rurali della Cina, nell’ambito delle sue attività di beneficenza. «In questo periodo io e i miei colleghi abbiamo imparato e riflettuto: ci occuperemo in maniera più convinta di filantropia, nell’ambito dell’educazione», ha detto. 

Il tycoon non appariva in pubblico dal 24 ottobre, quando a Shanghai aveva tenuto un discorso molto critico nei confronti del sistema normativo e burocratico del suo paese, accusando le banche cinesi di agire come un «banco dei pegni», e sostenendo che l’innovazione in Cina non sarebbe stata più possibile senza ampie riforme e senza la volontà di prendersi dei rischi. In seguito a queste dichiarazioni, a meno di 48 ore dalla sua quotazione in borsa, l’Ipo da 37 miliardi di Ant Group, il braccio finanziario di Alibaba, è stata sospesa, si dice su ordine di Xi Jinping in persona. Sarebbe dovuta essere la più grande quotazione della storia e avrebbe dovuto raccogliere 34,5 miliardi di dollari. E non è bastato. A fine dicembre i regolatori hanno intimato a Ant Group di rivedere le sue operazioni e hanno avviato un’indagine antitrust su Alibaba Group per «sospette pratiche monopolistiche».

La svolta di Xi Jinping

Aver preso di mira l’azienda di un personaggio popolare come Jack Ma, che con la benedizione del partito comunista è stato per anni il simbolo degli imprenditori cinesi moderni in grado di sfidare la Silicon Valley, è un avvertimento importante da parte del governo e segnala il definitivo cambio di rotta nei confronti delle imprese private intrapreso da Xi Jinping. Alibaba è il pesce più grosso finito nella rete che le autorità cinesi stanno tessendo ormai da qualche anno: il ritorno a una sempre più forte centralità dello stato nell’economia si è trasformato in una vera e propria dichiarazione di guerra, nell’ottica di regolamentare il fin qui caotico settore privato delle aziende hi tech.

Ma chi è Jack Ma? Perché il governo cinese è intervenuto così duramente nei confronti della sua creatura economica?

Jack Ma - in cinese Ma Yun, “cavallo nuvola” - è uno degli uomini più ricchi e potenti della Cina e negli anni è diventato un riferimento pubblico in patria e soprattutto all’estero. Grazie alla sua fisicità da folletto, al suo entusiasmo, al buonumore e talora all’impertinenza, è una vera e propria “rockstar” dell’universo hi tech. Sono iconici i video delle sue esibizioni durante le feste per gli anniversari della fondazione di Alibaba, che lo vedono esibirsi con addosso parrucche e costumi improbabili, mentre stona allegramente grandi successi come Can you feel the love tonight di Elton John o balla travestito da Michael Jackson. Corteggiato dai governi di tutto il mondo (per un periodo è addirittura diventato uno dei consiglieri economici dell’ex premier inglese David Cameron), da anni è una sorta di ambasciatore ufficioso della Cina. Incontra e dà del tu a primi ministri e capi di stato e partecipa ai forum internazionali. È stato intervistato da Obama e ha incontrato anche Donald Trump, a cui a inizio mandato ha promesso un milione di posti di lavoro negli Usa, ma a cui ha anche duramente contestato le prese di posizione anti-globalizzazione. Durante i primi mesi di pandemia tramite la fondazione Alibaba ha inviato mascherine e materiali sanitari in oltre 150 paesi, compresi gli Stati Uniti. Non si vergogna a dichiarare che uno dei suoi eroi ispiratori è Forrest Gump.

Una vita hollywoodiana

Se fosse nato sotto la bandiera a stelle e strisce, Hollywood avrebbe sicuramente già prodotto un biopic per raccontare la sua incredibile storia. Nato il 10 settembre 1964 ad Hangzhou, la capitale dello Zhejiang, provincia del sud est della Cina, a circa 100 chilometri da Shanghai, Jack è figlio di un’operaia e di un fotografo appassionati di pingtan, una forma di spettacolo cinese che consiste nella narrazione di storie recitate o cantate con o senza accompagnamento musicale.

Hangzhou è una cittadina bellissima, famosa per il suo splendido lago. La politica della porta aperta voluta da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta la trasforma in una meta turistica, anche per gli stranieri. Jack Ma ragazzino rimane colpito dall’arrivo degli occidentali e per 9 anni si sveglia all’alba e pedala 40 minuti per raggiungere l’Hotel Hangzhou e accompagnarli in tour gratuito in cambio di un po’ di pratica della lingua inglese. Negli anni ‘80, tra i tanti turisti, incontra la famiglia Morley, che si affeziona a lui e nel 1985 lo invita nella sua casa di New Lambton in Australia. Si crea un legame talmente forte che durante gli anni dell’università i Morley decidono di pagargli le spese per il dormitorio.

Dopo diverse bocciature scolastiche, fallimenti lavorativi e qualche anno da insegnante, la prima svolta per Jack Ma arriva nel 1995, quando va in missione a Seattle come interprete per una delegazione commerciale e incontra per la prima volta Internet. Un amico lo fa sedere davanti a un computer e gli mostra come si esegue una ricerca. Jack Ma inserisce nel motore la parola “birra” e scopre che su in rete non esiste nessun dato riferito alla Cina.

Quando torna in patria decide di indicizzare online in lingua inglese le aziende cinesi che cercano clienti all’estero. La sua idea però non ha un seguito, e Jack è quindi costretto a trasferirsi a Pechino per lavorare al ministero per il Commercio estero. Attività frustrante per un tipo così vulcanico, ma in grado di aprirgli ancora una volta nuove strade: nel 1997 incontra Jerry Yang, il cofondatore di Yahoo, allora un vero gigante della rete, durante il suo primo viaggio in Cina. Qualche tempo dopo proprio Yang consegnerà a Jack un miliardo di dollari e il business cinese di Yahoo in cambio del 40 per cento di Alibaba.

Sfida alla Silicon Valley

Il 21 febbraio 1999 Jack convoca nel suo appartamento ai giardini sul lago ad Hangzhou un gruppo di amici che hanno lavorato con lui a China Pages, la sua prima azienda. È talmente convinto di quello che sta per fare che chiede di essere filmato mentre pronuncia il discorso di fondazione di Alibaba. In lui c’è un’ambizione chiara fin da subito: i diretti concorrenti di Alibaba non hanno sede in Cina, ma nella Silicon Valley. «Gli americani sono bravi nell’hardware e nei sistemi, ma nei software e nella gestione delle informazioni i cervelli cinesi non hanno niente da invidiare ai loro. Per questo abbiamo il coraggio di sfidare gli americani. Sono convinto che se saremo una buona squadra e sapremo cosa vogliamo, uno di noi possa valere come dieci di loro», sono alcune delle frasi che proclama in quell’occasione.

Alibaba nasce quindi come sito in grado di aiutare le imprese locali cinesi, spesso di piccole dimensioni, a vendere i propri prodotti sul web.

Una delle chiavi del successo di Alibaba, oltre alla graduale esclusione dal mercato cinese delle aziende straniere americane con la scusa della necessità del controllo delle informazioni, è stata la capacità di comprendere le esigenze degli utenti del celeste impero. In una parola, Jack Ma è riuscito a “cinesizzare” il modus operandi delle dirette concorrenti straniere. «EBay è come uno squalo nell’oceano», ha detto una volta: «Noi siamo un coccodrillo nel fiume Yangtze. Se combattiamo nell’oceano perderemo. Ma se combattiamo nel fiume giallo, vinceremo». Un altro punto di forza di Alibaba è il cosiddetto “triangolo di ferro”: l’e-commerce, la logistica (gestita direttamente dalla sua società Cainiao) e soprattutto la finanza.

Alibaba è un mercato online in cui i diversi venditori offrono la propria merce e si fanno concorrenza al ribasso. Nel 2003, durante la pandemia di Sars, l’azienda ha lanciato Taobao, nel 2008 è stata la volta di Tmall. Taobao è una sorta di Amazon-eBay che non prende commissioni sulle transazioni e non si occupa di aste: chiunque può aprire un negozio virtuale e può vendere qualsiasi cosa, anche i prodotti improbabili come orecchini realizzati con zanzare morte o peti in bottiglia. Tmall, invece, è un centro commerciale di lusso online attraverso cui i rivenditori di tutto il mondo possono esporre le proprie merci pregiate e accedere direttamente all’enorme mercato cinese.

Pagamenti digitali

La vera idea rivoluzionaria di Jack Ma, però, è stata Alipay, trasformata in seguito in Ant Group e separata da Alibaba. Alipay nasce nel 2004 come sistema di pagamento online simile a PayPal. Col tempo si è trasformata in una sorta di vero e proprio istituto bancario e da quando è diventata Ant Group nel 2011 offre anche, oltre ai metodi di pagamento digitali, servizi finanziari come sistemi di credito e fondi di risparmio. È rimasta famosa (e nel contempo continua a suonare inquietante) la frase pronunciata da Jack Ma all’epoca della scissione: «Se qualcuno dovrà andare in prigione, ci andrò io». Oggi il sistema di pagamento di Alibaba è utilizzato da oltre 1,3 miliardi di persone e gestisce il 55 per cento dei pagamenti online in Cina (sommato all’altro colosso cinese dei pagamenti digitali Tencent, suo principale concorrente, raggiunge il 95 per cento).

Ma Yun finora era riuscito a gestire bene il rapporto con il partito, di cui è membro. Una delle sue massime più celebri è: «Bisogna essere innamorati del governo, ma non bisogna sposarlo». Tuttavia, è sempre più evidente come la Cina di Xi Jinping non sia più un paese per tipi come Jack Ma.

I giganti hi tech cinesi sono cresciuti troppo, sono diventati troppo ingombranti e soprattutto troppo indipendenti. Hanno creato un sistema parallelo alle autorità bancarie centrali cinesi, mettendosi in diretta concorrenza con lo stato.

Con il rallentamento dell’economia e davanti a sfide geopolitiche sempre più complesse da affrontare, per il governo cinese la priorità è diventata evitare i rischi finanziari sistemici e tagliare i livelli crescenti di indebitamento del paese.

I rapporti con il partito

Che la libertà di cui queste aziende hanno goduto per decenni stesse subendo un contraccolpo si è visto già alla fine del 2019, quando un editoriale del quotidiano governativo People’s Daily ha lanciato un messaggio molto chiaro per il tycoon  e per i suoi colleghi: «Non esiste la cosiddetta “era Jack Ma”, ma solo un’era di cui Jack Ma fa parte [...] Non importa che si tratti di Jack Ma, Ma Huateng, Elon Musk o di noi persone comuni, quelli che raggiungono il loro più grande potenziale sono quelli che afferrano le opportunità che già esistono in una determinata era». Come a voler ricordare chi comanda e ad ammonire che per quanto ottengano il successo, il merito non è dei singoli, ma di un contesto che così come dà, può anche togliere.

Il rapporto tra il partito e gli imprenditori privati in Cina è stato sempre complesso e caratterizzato da alti e bassi. All’epoca di Mao, gli imprenditori erano perseguitati in quanto “capitalisti”, ma con l’avvento delle riforme economiche di apertura volute da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta sono invece diventati tasselli fondamentali per l’ascesa economica cinese. A partire dagli anni Duemila hanno iniziato ad essere ammessi nelle file del partito comunista fino a diventarne una componente fondamentale. Da quando Xi Jinping è al potere, però, lo stato ha cominciato ad avere di nuovo un ruolo molto forte nell’economia del paese e l’autonomia degli imprenditori privati ha iniziato ad essere percepita come una minaccia. I membri del partito hanno avuto potere decisionale nel dirigere gli investimenti seguendo la linea del “Sogno cinese” di Xi Jinping: rafforzare e ridare un ruolo centrale al partito per garantire la stabilità necessaria al rafforzamento della nazione.  Tassello fondamentale per l’ascesa cinese sul palcoscenico mondiale.

La legge antitrust

È in questo contesto che a novembre, subito dopo il guanto di sfida lanciato ad Alibaba, Pechino ha presentato una bozza di legge antitrust che inaugura la linea dura contro le piattaforme come Taobao e Tmall, contro i servizi di pagamento come Alipay di Ant Group e WeChat Pay di Tencent. L’obiettivo è quello di impedire che un singolo gruppo raggiunga una posizione di dominio nel mercato e adotti metodi che di fatto bloccano lo sviluppo di un’efficace concorrenza. E non finisce qui. La banca centrale cinese ha avanzato a partire dal 20 gennaio la proposta di ferree norme per colpire il sistema di pagamenti online privato, limitando le concentrazioni di mercato. Aziende nel settore dei pagamenti potranno incorrere in severe indagini antitrust finalizzate all’emersione di eventuali monopoli. Su suggerimento dell’ente statale il governo potrà quindi imporre misure di scorporo delle attività per i soggetti indebitamente cresciuti. Per Alipay e le altre aziende coinvolte ci sarà un anno di tempo per adeguarsi alla nuova normativa.

Alcuni esperti sostengono che Alibaba al momento non corra il rischio di finire irrimediabilmente in disgrazia, perché Pechino ha bisogno dei suoi giganti hi tech per garantire la crescita economica, creare posti di lavoro e portare avanti la politica, molto voluta dall’attuale leadership, di autosufficienza tecnologica; certo è che i tempi d’oro sembrano svaniti per sempre.

A detta dell’analista americano Francis Chan, vista la bozza delle proposte sul tavolo, il colosso fintech di Jack Ma potrebbe valere ormai meno di 108 miliardi di dollari, il che potrebbe ridurre della metà il valore del servizio AliPay di Ant (le valutazioni prima dello stop al suoi ipo di novembre arrivavano fino a 320 miliardi di dollari).

Secondo una delle note profezie di Jack Ma, la globalizzazione, a suo avviso unica via per lo sviluppo del mondo, «per i prossimi vent’anni sarà guidata dagli uomini d’affari e non più dalla politica». Forse sarà vero in altri luoghi e dentro altri scenari, non certo nella Cina di Xi Jinping.

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