Gli straordinari sviluppi che si sono verificati negli ultimi cinquant’anni nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno profondamente condizionato ogni aspetto dell’organizzazione sociale, con conseguenze che sono ancora largamente inesplorate. Le tecnologie hanno modificato i meccanismi di apprendimento, il sistema dei rapporti sociali, i mezzi di informazione, le dinamiche politiche.

Inoltre, hanno favorito lo sviluppo di sistemi invasivi di sorveglianza sociale, hanno dato intelligenza alle macchine e le hanno rese indipendenti dalla volontà umana, hanno perfino consentito di manipolare le sfere più intime della vita attraverso gli sviluppi della genomica.

Hanno anche creato enormi concentrazioni di ricchezza che sfuggono a un controllo democratico per l’influenza che esercitano sul sistema sociale e politico e polarizzato il mercato del lavoro, tra figure ad alta professionalità e attività precarie e a bassa qualificazione. Tutto ciò ha compresso e impoverito la classe media che rappresentava il baluardo della stabilità sociale dell’occidente e ha radicalizzato l’elettorato di molti paesi rafforzando soprattutto i movimenti di estrema destra.

Tutto questo è avvenuto in un clima di acritica euforia per la rapidità e il potenziale di cambiamento che la rivoluzione tecnologica rappresenta. In molti paesi la politica si è data l’obiettivo di favorire un’accelerata penetrazione della tecnologia perché i vantaggi di una sua diffusione dovevano prevalere su qualsiasi altra considerazione.

Contrariamente a quanto avvenuto per lo sviluppo delle telecomunicazioni, che sono da sempre un settore fortemente regolato, in questo caso si è scelto di non mettere regole. L’unica preoccupazione dei governi è stata quella di incentivare la costruzione di infrastrutture che garantissero una sempre maggiore ampiezza di banda trasmissiva per sfruttare la crescita esponenziale della potenza di calcolo disponibile.

È mancata una riflessione approfondita sulle implicazioni politiche e sociali della trasformazione tecnologica e sugli strumenti di tutela della popolazione da effetti indesiderati dell’uso della tecnologia.

La disattenzione politica

Questa rinuncia, considerata ovvia da alcuni, è, in realtà, sorprendente. Basta pensare a quanti paesi – quasi tutti quelli avanzati, compresa l’Italia – si preoccupano di definire specifiche tecniche destinate a condizionare il comportamento degli utilizzatori.

Nella progettazione delle strade, ad esempio, la lunghezza dei rettilinei deve essere inferiore a una certa misura per evitare la mancanza di attenzione durante la guida e per far sì che il conducente di un veicolo mantenga una velocità compresa entro i limiti previsti dal progetto. Ci si preoccupa, poi, di favorire l’inserimento della strada nel contesto ambientale e di realizzare tutti gli accorgimenti necessari perché il viaggio avvenga in totale sicurezza. Nulla di tutto ciò è stato fatto per le tecnologie digitali.

Eppure la specificità della rivoluzione tecnologica e la profondità dei cambiamenti indotti avrebbero dovuto stimolare l’attenzione della politica. La tecnologia non è un elemento esogeno rispetto alla società. Il suo sviluppo e la sua diffusione rispecchiano la struttura sociale e le sue esigenze: non è il risultato di intuizioni staccate dal contesto nel quale vengono generate. Valga per tutti l’esempio della polvere nera sviluppata in Europa per le armi da fuoco e in Cina per i giochi pirotecnici.

(...) Il prevalere della dimensione individuale nella sfera del lavoro ha provocato un mutamento genetico nel sistema di rappresentanza politica. I partiti sono stati negli ultimi due secoli portatori di una ideologia, cioè. di una visione organica degli interessi di classe. La frammentazione della società e la prevalenza della dimensione individuale li ha privati di una specifica identità. La leadership politica è diventata rappresentanza degli umori della società: umori che cambiano con la stessa velocità dei trending topics delle piattaforme sociali e dalle quali possono essere guidati o manipolati.

Non ci sono interessi di classe da difendere ma tendenze da cavalcare che spesso hanno origine nel senso di incertezza e di spaesamento che vive la società. E mentre i lavoratori sono diventati più deboli, le grandi concentrazioni economiche favorite dalla tecnologia hanno dato a pochi grandissimi imprenditori e finanzieri un potere straordinario che si è tradotto in un altrettanto straordinaria capacità di influenza politica. La loro forza è alimentata dal fatto che si sono sviluppate in un ambiente – lo spazio digitale – sempre più frequentato dal cittadino utente e sul quale i governi hanno un controllo estremamente limitato.

Insofferenti a ogni possibile vincolo politico, alcuni di questi imprenditori – Zuckerberg con il Metaverso, Vitalik Buterin con la piattaforma Ethereum, Peter Thiel puntando sulle criptovalute e il mondo di fintech, lo stesso Elon Musk con le attività spaziali, il trasporto elettrico, l’intelligenza artificiale e, ora, anche le comunicazioni (Starlink) e le reti sociali, con la temeraria avventura in Twitter – vorrebbero trascinare tutti, cittadini e governi, oltre il concetto di stato-nazione.

Cittadini disorientati

Non è una sfida banale perché gli stati, pur mantenendo i loro ampi poteri – da quello di regolare e legiferare al monopolio dell’uso legale della violenza – hanno visto compromessa la loro presa su cittadini delusi e disorientati, molti dei quali sono rimasti senza lavoro o hanno un impiego precario.

Ma la politica non è disarmata davanti a tutto questo: oltre ai poteri regolamentari e al rilancio dell’antitrust, può, ad esempio, intervenire sul mercato del lavoro non solo con sussidi, ma anche spingendo la gente verso attività che non sono facilmente automatizzabili, creando un rapporto di collaborazione, anziché di sostituzione, tra uomo e macchina, cambiando il sistema degli incentivi.

Come abbiamo visto (...) autorevoli economisti hanno calcolato che attualmente nei paesi avanzati il lavoro viene assoggettato, mediamente, a un prelievo fiscale del 25 per cento, mentre gli investimenti in tecnologia, scontate tutte le varie forme di incentivazione, pagano una tassa prossima allo zero: la tecnologia è la chiave del nostro futuro, ma un eccesso di automazione accentua le lacerazioni del tessuto sociale. Oggi esistono fortissimi stimoli fiscali che spingono a sostituire il lavoro con il capitale (basti pensare al ruolo degli ammortamenti e alla deducibilità. degli oneri finanziari). È un sistema nato in un contesto di capitale scarso.

Oggi, invece, siamo in un mondo caratterizzato da eccessi di capitale e scarsità di competenze umane. Non mancano gli strumenti per imporre una correzione di rotta, magari anche favorendo lo sviluppo dell’economia circolare che, oltre a quello di incidere positivamente sull’ambiente, ha il pregio di rimettere l’elemento umano al centro del processo. Bisogna vedere se c’è la volontà politica di battere una strada che, comunque, richiede impegno e una buona dose di coraggio.

Ma il non far nulla è ancora più rischioso: come abbiamo visto (...) il peggioramento nella distribuzione della ricchezza e del reddito ha creato scontento che, a differenza di quanto avveniva in passato, non si è più espresso nelle forme dei movimenti organizzati ma nella ricerca da parte di ciascuno di chi potesse dare voce nelle forme più radicali al malcontento.

Trump ha saputo interpretare con grande efficacia questo stato d’animo: violenza verbale, parole d’ordine dal forte contenuto emotivo, rifiuto della legalità. Con il prevalere della dimensione individuale e la crisi della rappresentanza collettiva è venuto a mancare il sistema di pesi e contrappesi che ha per lungo tempo garantito la dinamica democratica: un tarlo che, in assenza di correttivi, può minare le fondamenta della nostra democrazia.

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