In futuro potrebbe essere visto come uno spartiacque. Gli attacchi informatici, anche molto sofisticati, si sono moltiplicati negli ultimi anni, ma una breccia di questa portata ha pochi precedenti. Un gruppo di hacker, non identificato con sicurezza, ma dai più ritenuto di origine russa, ha violato i sistemi di alcune delle maggiori organizzazioni governative statunitensi: una lista parziale vede coinvolti il dipartimento di Stato, quelli della Giustizia, delle Telecomunicazioni, del Tesoro e della Sicurezza Interna, parti del Pentagono, il dipartimento dell’Energia e l’agenzia che si occupa della sicurezza dell’arsenale nucleare.

E questa è solo la punta dell’iceberg. L’attacco è stato rivelato solo nei giorni scorsi, ma gli hacker, secondo quando finora hanno potuto appurare finora gli esperti di aziende private come Microsoft e di agenzie di intelligence, si sono aggirati indisturbati nei sistemi di una decina, se non di migliaia di aziende, non solo americane, perlomeno da marzo di quest’anno. La destrezza e le risorse impiegato nell’attacco fanno pensare che gli aggressori siano al servizio di uno Stato straniero.

Come hanno fatto

L’intrusione è avvenuto infettando il sistema di aggiornamenti automatici di un software di Solar Winds, colosso texano della gestione di reti informatiche, con più di 300.000 clienti in tutto il mondo. In una comunicazione alla Sec, l’ente americano che vigila sulle società quotate in Borsa, Solar Winds ha affermato di ritenere che i clienti che potrebbero aver scaricato una versione compromessa del suo software Orion siano poco meno di 18mila. 

I criminali avrebbero poi preso di mira e penetrato più a fondo un ristretto numero di bersagli; Microsoft, che sta indagando sulla vicenda assieme a FireEye, una società di sicurezza informatica anche’essa compromessa nei giorni scorsi, e ad altri partner, ha individuato finora una quarantina di clienti vittima dell’attacco, per la maggior parte con sede negli Usa, ma anche in Canada, Messico, Belgio, Spagna, Regno Unito, Israele ed Emirati Arabi.

Gli enti governativi costituiscono solo una parte, per quanto succulenta, delle prede: il grosso è costituito da società private che vendono prodotti e servizi informatici a cui si aggiungono think-tank, ong e fornitori della Difesa.  

PERCHÈ È DIVERSO DAL SOLITO

Come detto, gli attacchi informatici anche su larga scala, non sono certo una novità. Nel 2015, criminali probabilmente cinesi entrarono nei sistemi dell’Office of Personnel Management, rubando i dati di milioni di impiegati federali americani. Più di recente, sono state prese di mira le aziende che producono i vaccini anti-Covid e in mezzo ci sono state migliaia di piccole e grandi aggressioni cyber.

Quello che differenzia però questa vicenda dalla maggior parte di quelle che la hanno preceduta, è che siamo di fronte a un attacco che prende di mira un’intera filiera e che, potenzialmente, potrebbe aver compromesso una gran parte delle infrastrutture informatiche critiche nazionali degli Usa.

Dato il lasso di tempo in cui gli hacker hanno potuto aggirarsi indisturbati nel sistema e l’elevato livello di accesso che sembrerebbe essere stato da loro acquisito – alcuni, come la Chief Information Officer della presidenza George W. Bush, Theresa Payton, parlano di God Access, accesso illimitato – i malviventi avrebbero potuto non limitarsi a rubare informazioni ma creare danni ingenti, penetrando a fondo nei sistemi e mettendoli fuori uso in tutto o in parte.

Inoltre, la vulnerabilita del software si Solar Winds non è stato l’unico varco attraverso cui i criminali sono entrati nei sistemi e, come spesso, accade, è possibile che abbiano lasciato delle “bombe a tempo”, dei software malevoli che si attiveranno solo in seguito. Ripulire del tutto i sistemi sarà impresa di mesi, ammesso che sia possibile.

PASSARE AL CONTRATTACCO

La presidenza Trump si è concentrata sull’attacco commerciale a quelli che percepiva come “nemici” o concorrenti esterni, come la Cina, a colpi di dazi, divieti e bandi (come quelli emessi nei confronti di Huawei); minore attenzione c’è stata nei confronti dei nemici informatici.

La minaccia russa, in particolare, è stata spesso minimizzata, anche per non mettere in risalto i tentativi da parte di hacker russi di influenzare le elezioni Usa del 2016. Ora la musica potrebbe cambiare. Giovedì la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, l’agenzia che vigila sulla sicurezza informatica e delle infrastrutture, ha pubblicato una nota dettagliata sull’accaduto, mettendo in luce l’entità della minaccia; poco dopo il presidente eletto Biden ha sottolineato come «una buona difesa non sia abbastanza» e come gli Usa debbano scoraggiare i loro avversari nel cyberspazio attaccando per primi.

Non che già non lo facciano, tutti i governi si spiano a vicenda, ma l’anno prossimo probabilmente segnerà un cambio di passo. L’intero panorama delle cyber security, inoltre, negli ultimi anni è mutato. Sono sempre di più, come ha ricordato, fra gli altri, il presidente di Microsoft, Brad Smith, le società private poco scrupolose che mettono le loro capacità di offesa informatica al servizio del migliore offerente.

Questo significa che anche stati che non avrebbero, da soli, la capacità di arrecare danni, ora possono farlo. Per difendersi al meglio e reagire, aziende e governi democratici dovranno far fronte comune e superare diffidenze e frammentazione interna; rivedere, ad esempio, i meccanismi che impediscono agli enti pubblici di condividere fra loro i dati sugli attacchi subiti. Per la gioia degli hacker: un nemico diviso è, da sempre, anche più vulnerabile.

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