I nuovi stivali delle sette leghe sono strane scarpe che assomigliano a gondole, leggerissime, costose, di rapido consumo. Qualcuno sostiene che siano monouso: da buttare dopo 42 chilometri corsi a ritmo folle e crescente. Piastre di carbonio, schiuma sotto i talloni: la ricerca di Adidas e Nike è diventata ossessiva per ottenere modelli che allontanino la fatica e il suo strumento micidiale, l’acido lattico.

C’è chi dice che assicurino progressi valutabili attorno ai tre minuti. A palmi, la maratona è più corta di un chilometro e parametri freschi sono saltati. Oggi chi corre in 2h07’ (uomo) o in 2h20’ (donna) deve rassegnarsi alle posizioni di rincalzo, spesso oltre i primi dieci. Dipende solo da queste scarpe ipertecnologiche da 500 euro, già diventate oggetto del desiderio dagli amanti della corsa, i runner, o da qualcos’altro?

I record di Berlino e Chicago

Di certo c’è che in due settimane lo scenario è cambiato e record del mondo che parevano intoccabili sono saltati per aria ad opera di quasi esordienti. Tigist Assefa, etiope, 2h11’53” a Berlino, 2’11” di progresso sul 2h14’04” di Brigid Kosgei a Chicago nel 2019 (usando un primo modello sperimentale) e Kelvin Kiptum, kenyano, 2h00’35” a Chicago, 34” sul 2h01’09” berlinese, vecchio appena di un anno, di Eliud Kipchoge, il più grande maratoneta della storia, l’unico a varcare, con l’aiuto di una legione di lepri la barriera delle due ore in un “esperimento” non ufficiale al Prater di Vienna: data significativa, il 12 ottobre di quattro anni fa. La scoperta di una nuova frontiera, un sogno reso solido.

Kiptum deve ancora compiere 24 anni: è sbucato dal nulla meno di un anno fa sullo scorrevole percorso di Valencia, diventata in breve una delle capitali della corsa, e ha vinto in 2h01’53”, terzo di tutti i tempi alle spalle di Kipchoge e di Kenenisa Bekele.

Ad aprile ha arricchito il curriculum con uno dei successi più prestigiosi, a Londra, migliorandosi di 28”, arrivando, con 2h01’25” a 16” dal record del mondo e fornendo per la seconda volta una caratteristica micidiale: la seconda parte più veloce della prima. Negative split, dicono gli inglesi.

Diversamente da Kipchoge e da Bekele, Kiptum ha un modestissimo passato in pista e sulla mezza maratona un 58’42” che lo pone attorno al 30° posto all time. Niente di speciale. Sino a quell’esordio valenciano e tonante. Nessuno aveva mai debuttato con una prestazione del genere.

Meno di sei mesi dopo, il 2h00”35 di Chicago, con l’ultimo modello Nike, in vendita dal 1° gennaio. «Avevo in testa il record della corsa (era 2h04’24” di Benson Kipruto), non il record del mondo. Ma sapevo che prima o dopo sarei diventato il primatista. Ed è capitato qui». Ed è capitato alla sua terza maratona: tre delle migliori prestazioni della storia sono sua proprietà, con una media di 2h01’17”.

A Chicago ha corso a lungo in compagnia d Danel Matelko Koech, kenyano e debuttante, e sin dall’inizio il ritmo è stato forte: 28'42” AI 10000, 1H00’48”. Kelvin ha aumentato il numero dei giri nella seconda parte, ha lasciato Matelko attorno ai 30° chilometro scrivendo segmenti memorabili: da annotare e archiviare, con qualche brivido, il 27’50” tra il 30° e il 40°. L’approdo sotto le due ore è stato mancato per 36”, a palmi duecento metri.

Già dopo il traguardo qualcuno ha insinuato dubbi da tramutare in sospetti, abbastanza normale quando di mezzo c’è chi scala i vertici in tempi così sincopati e viene da un’atletica, quella kenyana, che da anni è attraversata da casi crescenti di doping, non meno di 500 nelle due ultime stagioni.

Le stelle e le scarpe

La parabola di Kiptum (a questo punto, continuerà ad aumentare il conto in banca o sfiderà a Parigi il 39enne Kipchoge in cerca del terzo oro olimpico in uno scontro tra generazioni?), è simile a quella di Tigist Assefa, la 29enne etiope che ha regalato al percorso di Berlino il 12° record mondiale. Esordisce sui 42 km un anno e mezzo fa a Riyadh, che non è precisamente uno dei luoghi più freschi della terra e chiude settima in un trascurabile 2h34’01”. Viene ingaggiata dalla Bmw Marathon di Berlino e la domina in 2h15’37”, con un’accoppiata di record, quello nazionale e quello legato al più violento dei progressi personali, otre 18’.

Poco più di due settimane fa, calzando le superleggere da 138 grammi sviluppate dall’Adidas, assesta una svolta storica: 2h11’53”, un tempo che molti maratoneti non possono che invidiarle. Un flashback che non spinge troppo lontano nel tempo: nel 1996, ad Atlanta, Josia Thugwane diede una scarica di gioia a Nelson Mandela vincendo l’oro olimpico in 2h12’36”.

È il più incisivo miglioramento dal tempo di Grete Waitz, quando la maratona era ancora agli albori ed era normale constatare che, in termini di resistenza, la differenza tra uomo e donna non è così profonda come lo è a livello di struttura muscolare.

Tigist capisce che la giornata è perfetta, come lo sono le scorrevoli strade berlinesi: al 17° chilometro va via con un parziale da 2’50” e a metà gara, passata in 1h06:20, la sua protezione è già da record intorno alle 2h12’40”.. Non contenta, offre un’altra sparata da 2:48 e a quel punto prende sempre più forma una seconda parte più veloce della prima: 1h05:33.

Distacchi come non se ne vedono più nel ciclismo: Sheila Chepkurui, 2h17:49, a quasi sei minuti, e Magdalena Shaun, 2h18:41 e record della Tanzania, a quasi sette. Sheila e Magdalena sono andate forte, come le altre cinque finite sotto le 2h20. Tigist è di un’altra dimensione.

I montepremi o l’oro olimpico

Un capitolo a parte per Sifah Hassan l’nfaticabile, l’essenziale figura che ricorda certi bronzi di Alberto Giacometti: a Chicago, con 2h13’44” alla seconda esperienza e venendo a capo di un faccia a faccia con Ruth Chepngetich, che puntava al tris nella città del vento, l’olandese di radici etiopi (arrivò a Eindhoven 14enne come rifugiata di guerra) abbassa di un centinaio di secondi il record europeo (era lo storico e ventennale 2h15’25” di Paula Radcliffe), diventa la seconda di tutti tempi e completa il grande slam dei record europei: 1500, miglio, 3000, 5000, 10000, mezza maratona e ora maratona sono i suoi domini.

Non c’è distanza che le incuta timore, non c’è impegno ravvicinato che la faccia tremare: a Tokyo, oro nei 5000, oro nei 10000, bronzo nei 1500. Ad aprile, primi passi nella maratona a Londra: poco dopo metà gara, crampi dolorosi, una, due fermate prima di riprendere, portarsi sul gruppetto di testa, staccarlo, puntare sul traguardo a un tiro di sasso da Buckingham Palace in poco più di 2h18’. A Chicago, quasi cinque minuti in meno.

Gli impresari delle grandi maratone sono già al lavoro per allestire il duello Hassan-Assefa, a meno che l’una e l’altra non puntino alla gloria olimpica parigina.

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