Ieri 48 procuratori generali statali e la Federal Trade Commission (Ftc) dell’amministrazione Trump hanno intentato una causa antitrust contro Facebook. Le accuse sono due: quella degli stati è più forte, ma entrambe raccontano la stessa storia. Facebook ha acquistato Instagram e WhatsApp per impedire ai nascenti concorrenti di sfidare il suo monopolio nei social network. Ha anche utilizzato una serie di altre tattiche per impedire ai concorrenti che Facebook non poteva comprare di entrare nel mercato e minacciare così il suo dominio.

Poi, dopo essere diventato un monopolio, ha aumentato i prezzi o ridotto l’esperienza dell’utente per trarre profitto dalla cospirazione architettata. La prova dei fatti ha origine dal notevole articolo su Facebook del 2019 della giurista ed ex dirigente pubblicitaria Dina Srinivasan. Nella sua analisi, Srinivasan ha dimostrato come Facebook abbia effettivamente battuto MySpace offrendo agli utenti un prodotto differenziato con migliori garanzie di privacy. Dopo aver monopolizzato il mercato e ucciso i suoi concorrenti, però, Facebook ha immediatamente iniziato a diminuire la qualità del prodotto esercitando un’invadente e indesiderata sorveglianza sugli utenti.

Le denunce delle autorità rispecchiano la sua tesi. Sostengono che le tattiche anticoncorrenziali di Facebook hanno reso il prodotto peggiore, non solo spiando gli utenti quando questi volevano un prodotto che proteggesse la loro privacy, ma anche aumentando il numero di pubblicità che le persone dovevano guardare per accedere ai contenuti. Anche gli inserzionisti sono stati danneggiati, non solo con prezzi più alti, ma anche perché Facebook affiancava i loro annunci a contenuti offensivi.

"Meglio comprare che competere”

Le autorità hanno sostenuto la loro tesi con email interne che mostravano che la società si è impegnata deliberatamente e abitualmente in acquisizioni per eliminare la concorrenza e poi ha eroso la privacy degli utenti quando questi non potevano più andare altrove. La Ftc inizia la sua causa con un’email del 2008 di Zuckerberg in cui scrive: «È meglio comprare che competere». Ed è vero.

Queste fusioni erano dannose per la concorrenza, erano intese a rafforzare il controllo di Facebook sul mercato dei social media. Ecco un altro esempio: nel gennaio del 2012, appena tre mesi prima che Facebook acquisisse Instagram, il Business development manager di Facebook, Amin Zoufonoun, ha detto ai suoi colleghi che ottenere una migliore funzionalità nelle foto era «uno dei modi più importanti per rendere i costi di trasferimento molto alti per gli utenti; se siamo dove sono tutte le foto degli utenti perché le funzionalità di caricamento (mobile e web), modifica, organizzazione e condivisione sono le migliori della categoria, sarà molto difficile per un utente cambiare se non può riprendersi le foto e i dati/commenti ad essi associati». Facebook stava bloccando i suoi utenti.

E l’azienda ha compreso il valore di bloccare i propri clienti, arrivando addirittura a interrompere forme di sorveglianza intrusive quando gli utenti provavano a migrare su altri prodotti. Un dirigente di Facebook ha avvertito che la società non dovrebbe violare la privacy degli utenti mentre è minacciata dalla concorrenza di Google Plus. L’obiettivo era impedire agli utenti di cambiare prodotto bloccandoli nell’ecosistema di Facebook, eliminando i concorrenti e aumentando i costi di trasferimento. Allora l’azienda mostrava loro più annunci e li spiava di più, peggiorando l’esperienza dell’utente, riducendo gli investimenti e l’innovazione nei social media e aumentando i prezzi per gli inserzionisti. Questo è illegale. E fortunatamente per la Ftc e 48 procuratori generali statali, Zuckerberg e l’azienda hanno scritto tutto questo via e-mail.

La principale difesa di Facebook è che il governo innanzitutto ha consentito queste fusioni. Questo è vero e certamente è imbarazzante per le autorità che hanno permesso le fusioni, ma è irrilevante nello stabilire se le fusioni fossero o meno illegali. 

La parte importante di questo caso è che si tratta di una dichiarazione, da parte dei responsabili politici, che ciò che Facebook ha fatto era illegale. Lo Sherman Act è una legge penale oltre che una legge civile, e mentre questo caso è civile, la monopolizzazione è un comportamento criminale. È una forma di furto, di violenza economica. E Facebook guadagna un sacco di soldi commettendo crimini di varie forme, di cui la monopolizzazione è soltanto uno. Le truffe dilagano sulla piattaforma. Ho notato come l’azienda di calzature Rothy’s sia regolarmente derubata da falsari che pagano Facebook per ottenere il privilegio di rubare. Decine di migliaia di giornalisti sono stati licenziati perché Facebook e Google hanno dirottato le entrate pubblicitarie attraverso la monopolizzazione o semplicemente la truffa.

Le denunce cadute nel vuoto

Eppure per anni i responsabili politici e una piccola associazione di “esperti” tecnocratici di antitrust si sono rifiutati di prendere sul serio qualsiasi legge contro i monopoli. I casi contro Facebook presentati ora sono un’accusa nei confronti di quella associazione, che ha fornito il personale alla Ftc quando ha approvato queste fusioni. L’antitrust e gli economisti antitrust hanno sostenuto e fatto pressioni per l’illegalità e la corruzione, e il risultato di questa illegalità è stato, tra le altre cose, un massiccio crollo dei finanziamenti per la raccolta di notizie, così come le disfunzioni sociali, i violenti conflitti etnici e la manipolazione politica in tutto il mondo.

Cos’è cambiato? Abbiamo difeso lo stato di diritto. Molte persone sono state coinvolte, come Jeff Chester, che all’epoca si era opposto alla fusione di Instagram e WhatsApp. L’elenco delle persone che hanno cercato di fare presente il danno di Facebook è cresciuto ogni anno che ho osservato, e ho iniziato nel 2013 a prestarci attenzione. Abbiamo scritto, studiato e ci siamo battuti contro i monopoli, e contro Facebook in particolare. Per una riunione degli azionisti, abbiamo noleggiato un aereo che volasse nel cielo intorno agli azionisti di Facebook con lo striscione “You broke democracy”, “avete distrutto la democrazia”.

La risposta di Facebook è stata assumere una società per indagare su di noi e poi ha provato a denigrarci sulla stampa come antisemiti nel tentativo di indebolire le nostre argomentazioni. Non siamo gli unici che Facebook ha cercato di prendere di mira. Sospetto che inseguano regolarmente molte persone. Poco prima delle elezioni, Facebook ha citato in giudizio i ricercatori della Nyu che cercavano di studiare come funzionava il targeting degli annunci politici dopo il malfunzionamento “accidentale” del suo archivio pubblicitario. Questo genere di cose sporche è routine, è un business a Washington e sempre di più lo è anche a Bruxelles. È la crosta della corruzione che protegge la melma del monopolio.

Ma quell’era è finita. Ora ci sono due principali cause antitrust, una contro Google e una contro Facebook, ed entrambe chiedono una separazione strutturale. L’associazione antitrust gli sta alle calcagna e le autorità iniziano a farsi avanti a livello globale. Milioni di persone, noi compresi, incominciano a chiedere un’azione e riprendiamo ad usare quei muscoli civici necessari per far funzionare una società democratica.

La dinamica fondamentale è un cambiamento nel modo in cui i politici e gli americani percepiscono le grandi aziende tecnologiche. Per capire a che punto siamo arrivati, nel 2016 Facebook era così amato che Hillary Clinton avrebbe messo Sheryl Sandberg nel suo gabinetto. Oggi per Joe Biden ci sono due di società a cui non è consentito donare denaro per l’inaugurazione: (1) qualsiasi azienda coinvolta nei combustibili fossili e (2) Facebook. L’America sta imparando di nuovo a governare. È un processo lento e incerto e ci saranno passi indietro, ma anche vittorie. Ora però 48 funzionari eletti, più tre commissari della Ftc confermati dal Senato, hanno presentato il caso per scorporare una delle più grandi società d’America, soltanto due mesi dopo che il dipartimento di Giustizia ha chiesto di sciogliere una azienda ancora più grande. E probabilmente ci saranno presto altre cause contro Google. È stata una bella giornata.

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