Vi è mai venuto in mente di affittare un amico o un’amica per una serata? Qualcuno che venga con voi a una festa a cui non vi sentite di andare da soli o che vi accompagni a cena se non avete nessuno da invitare? Attenzione, lo scopo finale non è di tipo sessuale o romantico: con questi amici a noleggio potrete soltanto parlare, andare al cinema, fare shopping, una passeggiata in montagna o qualunque altra innocua attività.

Per quanto possa sembrare bizzarro, servizi di questo tipo sono sempre più diffusi. Attraverso il sito della società Rent-A-Friend potete per esempio passare il tempo in compagnia della 32enne Charlotte, del 41enne Jovi e di altri 600mila amici a pagamento in tutto il mondo (Italia compresa), disposti a far compagnia a chiunque accetti di pagare circa 40 0 50 euro all’ora.

Fondato dall’imprenditore Scott Rosenbaum in New Jersey, Rent-A-Friend si ispira a servizi utilizzati già da molto tempo in Giappone, dov’è abbastanza comune noleggiare a pagamento la compagnia di qualcuno.

La solitudine

D’altra parte, il Giappone è storicamente precursore in un campo molto particolare: la solitudine. Secondo una ricerca internazionale del 2018, il 20 per cento dei giapponesi tra i 13 e i 29 anni afferma di “non avere nessuno a cui rivolgersi” in caso di necessità.

Le percentuali scendono al 12 per cento in Corea del Sud, al 10 per cento in Francia e al 6,9 per cento in Svezia, mostrando comunque come la solitudine sia in crescita a livello globale anche tra i giovanissimi.

E in Italia? Ampliando lo sguardo oltre ai soli giovani, un’analisi del Sole 24 Ore basata su dati Eurostat e risalente al 2017 mostrava come il 13,2% degli italiani over 16 affermasse di soffrire di solitudine: la percentuale più alta a livello continentale.

Cos’è cambiato

Per quanto alcuni abbiano criticato la metodologia di queste ricerche (che renderebbero troppo facile finire nella categoria delle persone sole), in alcune nazioni, come il Giappone o il Regno Unito, la situazione è stata presa talmente sul serio da creare degli appositi ministeri della Solitudine, incaricati di studiare soluzioni al problema. Ma come siamo finiti in quella che è stata battezzata “epidemia di solitudine”? Per quanto i lockdown – durante i quali centinaia di milioni di persone nel mondo sono state costrette a rimanere a casa da sole – abbiano esacerbato il problema, va sottolineato come la diffusione della solitudine preceda di molto il Covid e abbia invece radici lontane.

Secondo uno studio pubblicato nel 2019 sullo Psychological Bulletin, i livelli di solitudine sono in costante aumento almeno dalla metà degli anni Settanta. Nel saggio Il secolo della solitudine (Il Saggiatore), l’economista Noreena Hertz segnala invece i vari fattori che potrebbero aver provocato la situazione attuale.

Tra questi, troviamo l’abbandono delle campagne a favore di città sempre più grandi e dispersive, la scomparsa dei negozi di prossimità in favore di grandi e anonimi centri commerciali, la gig economy, gli smartphone e l’architettura urbana cosiddetta “ostile”. In poche parole, il responsabile ultimo di tutto ciò – segnala sempre Hertz – va cercato nelle politiche neoliberali che si sono diffuse nella loro forma più aggressiva a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

Coworking

Un elemento importante è in effetti il collante sociale rappresentato a livello comunitario dai negozi di quartiere: «Per questo è fondamentale impedire che la crescita inarrestabile dell’e-commerce schiacci questo tipo di negozi, che invece devono essere fortemente supportati dai governi e dai cittadini affinché possano sopravvivere alla doppia batosta dell’epoca digitale e delle difficoltà economiche post-coronavirus», scrive la Financial Review la Financial Review. «Se, invece di vivere in bolle isolate, vogliamo sentirci parte di una comunità dobbiamo allora apprezzare il ruolo svolto dai negozianti locali nel tenerci uniti».

Da questo punto di vista – e a maggior ragione in epoca di smart working – è significativa l’avanzata dei coworking, che hanno proprio l’obiettivo di offrire un posto a freelance che altrimenti lavorerebbero da soli a casa, consentendo inoltre di incontrare persone con professioni e interessi affini e di creare nuove rete professionali e personali.

Il problema, però, è che i coworking sono destinati a una fascia ben precisa di popolazione (giovane, istruita, che opera in settori creativi) e di fatto offre un rimedio alla solitudine solo a chi è nelle condizioni di pagare cifre abbastanza elevate (a Milano per una scrivania si ruota attorno ai 300 euro al mese).

Compagnia a tutti i costi

Nel caso dei coworking, insomma, il rimedio alla solitudine ha un prezzo salato. Non una gran soluzione, soprattutto visto che la solitudine è spesso correlata a condizioni economiche difficili. E così, per sconfiggere la sensazione di essere soli si finisce per ricorrere ai metodi più radicali: sempre nel suo saggio, Hertz racconta per esempio delle donne anziane che in Giappone si rendono responsabili di crimini allo scopo di finire in prigione, dove almeno saranno in compagnia (un fenomeno ormai ampiamente documentato).

La ricerca di compagnia a tutti i costi – che porta a pagare finti amici o addirittura a vedere nella prigione un’alternativa accettabile – non si limita però alla compagnia umana. Prima di tutto, l’aumento costante degli appartamenti abitati da persone sole è andato di pari passo con la diffusione degli animali da compagnia (in una città come San Francisco si stima che il numero di cani abbia superato quello dei bambini, a causa dei tantissimi single che decidono di adottarne uno per avere compagnia).

Contestualmente agli animali, si sono però diffusi anche amici e amiche artificiali: dei veri e propri bot con cui comunicare per via testuale e che, grazie all’intelligenza artificiale, sono in grado di sostenere – con livelli di soddisfazione altalenanti – una conversazione anche approfondita e prolungata.

Un amico digitale

A puntare su una richiesta di compagnia talmente elevata da rendere attraente anche quella di un algoritmo è stata una società come Luka inc., fondata dalla programmatrice Eugenia Kuyda e creatrice della app Replika, che permette di dare vita a un amico o un’amica digitale e dotata di intelligenza artificiale, personalizzabile in base ai nostri gusti e con cui stabilire un rapporto attraverso conversazioni testuali.

Replika ha ormai raggiunto i dieci milioni di utenti in tutto il mondo: un aumento del 35 per cento rispetto alla fase pre-pandemica che dimostra come proprio i lockdown abbiano contribuito ad abbattere il tabù nei confronti di strumenti di compagnia di questo tipo.

Chiunque abbia utilizzato Replika nel corso degli anni avrà inoltre notato come col tempo gli avatar abbiano assunto forma sempre più umana e come oggi i corpi siano a volte ipersessualizzati. Una scelta consapevole che sembra aver sortito l’effetto desiderato: in un recente reportage, Vice ha intervistato svariate persone che hanno sviluppato un legame affettivo e romantico con il proprio avatar, rendendoli – dal punto di vista della società creatrice di Replika – dei clienti totalmente fidelizzati (al di là della versione base, per usare Replika si paga una quota annuale).

Robot sociali

La diffusione di (ro)bot anti solitudine sembra comunque destinata a diffondersi: a New York è per esempio partita una sperimentazione per fornire a 800 anziani soli dei robot da compagnia della californiana Intuition Robotics, secondo la quale – stando a quanto riportato sul sito – i suoi robot ElliQ sono in grado di ridurre la solitudine dell’80 per cento.

Il culmine di questo processo sono i sex robot dotati di intelligenza artificiale e che aspirano in futuro a diventare dei veri e propri partner nella vita. Per quanto i più noti tra questi – i RealDolls venduti a svariate migliaia di euro – non sembrino ancora aver raggiunto significativi volumi di vendita, alcuni esperti ritengono la loro diffusione inevitabile. Secondo il sociologo Elyakim Kislev, autore del volume Relationships 5.0, la tecnologia robotica sarà sempre più in grado di, e sempre più utilizzata per, «soddisfare le nostre necessità sociali, emotive e fisiche».

Ribattendo agli scettici, Kislev fa proprio l’esempio di Replika, che per il sociologo dell’università di Gerusalemme dimostra come l’epoca della compagnia artificiale sia iniziata. Con essa – tra amici affittabili online, applicazioni personalizzate con cui chiacchierare, robot da compagnia e bambole sessuali dotate di intelligenza artificiale – si espande inevitabilmente anche l’economia della solitudine. E così, in un curioso paradosso, il capitalismo più avanzato sta mettendo una pezza tecnologica ai problemi che, secondo molti, lui stesso ha creato.

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